La responsabilità per infortunio su un ponteggio modificato
Non è facile stabilire fin quando la responsabilità per l’infortunio accaduto a un lavoratore è da attribuirsi esclusivamente a un garante della sicurezza o se al verificarsi dell’evento abbia contribuito anche l’infortunato stesso per avere tenuto un comportamento scorretto, abnorme e tale comunque da interrompere il nesso di causalità fra l’evento lesivo subito e una eventuale condotta omissiva del garante stesso.
Il caso di cui alla sentenza in commento riguarda un infortunio di un lavoratore accaduto perché, benché il datore di lavoro avesse provveduto ad adottare tutte le dovute misure di sicurezza a protezione di un rischio di caduta dall’alto, le stesse sono state modificate dai lavoratori a sua insaputa così determinando l’insorgere del rischio che si è poi concretizzato in occasione dell’evento infortunistico.
Condannato il datore di lavoro di un’impresa armatrice di una motonave per essere stato ritenuto responsabile dell’accaduto con una sentenza del Tribunale poi confermata dalla Corte di Appello sia pure con una riduzione della penalità, lo stesso ha ricorso per cassazione sostenendo che i lavoratori dipendenti, per potere operare con più facilità, avevano volontariamente rimossi alcuni componenti di un ponteggio sul quale si trovavano allo scopo di portare a terra dalla motonave stessa una attrezzatura che doveva servire per fare la manutenzione allo scafo allorquando uno di essi è scivolato ed è caduto dal ponteggio infortunandosi.
La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso e lo ha pertanto rigettato incentrando la propria decisione sulla questione vertente ad individuare se fosse da considerarsi o meno abnorme il comportamento tenuto dai lavoratori oppure imprevedibile e tale comunque da interrompere il nesso di causalità fra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento verificatosi. La suprema Corte in questa occasione ha ritenuto di richiamare alcuni principi fissati in materia in precedenti espressioni citando in particolare le sentenze nelle quali sono stati evidenziati e che qui di seguito vengono riportati:
- il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, ha ricordato la suprema Corte, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (sentenza n. 7267 del 10/11/2009 Sez. IV);
- in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (sentenza n. 5794 del 26/01/2021 Sez. IV);
- in linea di principio, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio proprio della lavorazione svolta e di conseguenza il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore e le sue conseguenze presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive di organizzazione ricevute (sentenza n. 25532 del 23/05/2007 Sez. IV e n. 21587 del 23/03/2007 Sez. IV);
- in tema di rilevanza esclusiva del comportamento del lavoratore, può essere considerato imprudente e quindi abnorme ai fini causali anche il comportamento che rientri nelle mansioni che sono proprie ma che sia consistito in qualcosa di radicalmente e ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e quindi prevedibili imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (sentenza n. 15124 del 13/12/2016 Sez. IV e n. 5007 del 28/11/2008 Sez. IV).
Nella giurisprudenza di legittimità si possono comunque riscontrare anche decisioni della suprema Corte aventi un diverso orientamento nel senso che se il lavoratore si è infortunato per aver preso, nello svolgimento delle proprie mansioni, iniziative contrarie alle disposizioni impartitegli dal datore di lavoro il suo comportamento è stato considerato abnorme e tale da farlo ritenere responsabile, a volte anche esclusivo, di quanto accadutogli, come nel caso di cui alla sentenza n. 7267 del 23 febbraio 2010 della Sez. IV, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ La Cassazione sulla responsabilità del lavoratore”. In questa sentenza, infatti, la Cassazione, discostandosi da quello che ha costituito sempre un suo indirizzo generale, ha affermato invece che quando la condotta tenuta dai lavoratori è del tutto imprevedibile ed è connotata da assoluta imprudenza e quando il rischio che ne consegue non è governabile dal datore di lavoro, non sussiste una responsabilità di quest’ultimo per l’evento lesivo verificatosi. In quella circostanza era accaduto che il lavoratore che si era infortunato invece di utilizzare attrezzatura prevista appositamente per lavorare in quota, in quanto al momento non disponibile, si è fatto sollevare con le forche di un muletto condotto da un altro lavoratore dalle quali è poi caduto da una altezza di circa cinque metri decedendo.
Nel caso in esame la responsabilità per l’accaduto è stata attribuita al datore di lavoro per non avere vigilato e per non avere previsto la presenza nel cantiere di un preposto o, quantomeno, di un caposquadra, che impedisse modifiche imprudenti destinate a compromettere la sicurezza dei lavoratori, come poi effettivamente è accaduto tramite lo smontaggio di alcuni componenti del ponteggio. Incombe sul datore di lavoro, ha infatti sostenuto la suprema Corte, il compito di vigilare, anche mediante la nomina di un preposto o di un delegato, sulle modalità di svolgimento del lavoro in modo da garantire la corretta osservanza delle disposizioni atte a prevenire infortuni sul lavoro. D’altro canto era stata esclusa l’abnormità del comportamento del dipendente e degli altri lavoratori, in quanto l'impropria modifica attuata non era radicalmente ed ontologicamente lontana dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro né aveva integrato un fatto assolutamente eccezionale.
Il fatto e l’iter giudiziario.
Con sentenza del Tribunale la titolare di un’impresa individuale, armatrice di una motonave, è stata condannata nella sua qualità di datore di lavoro, alla pena, condizionalmente sospesa, di 3 mesi e 15 giorni di reclusione in relazione ai reati di cui agli artt. 81, 590, comma terzo, in relazione all'art. 583, n. 1, cod. pen., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, aveva cagionato l'infortunio di un lavoratore dipendente che, a causa di una caduta dovuta al fondo reso sdrucciolevole dalla pioggia e dalla concomitante assenza del corrente intermedio e del battitacco dalla "torretta" (costruita con componenti di ponteggio) realizzata per consentire l'accesso all'imbarcazione, era caduto al suolo e aveva riportato un "trauma cranico con frattura frontale ed ematoma extra durale e frattura D3" con conseguente incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a quaranta giorni, e artt. 81, 112, comma primo, in relazione all'art. 159, comma 2, lett. b), del D. Lgs. n. 81 del 2008, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, non aveva provveduto affinché le opere provvisionali fossero allestite a regola d'arte e conservate in efficienza per l'intera durata del lavoro in quanto, nello specifico, non avevano garantito che il parapetto posto a circa quattro metri di altezza dal suolo, a protezione del lato maggiore del solaio di sommità della "torretta" di accesso all'imbarcazione fosse stato mantenuto in efficienza con il corrente intermedio e il battitacco mantenuti in posizione.
La Corte di appello successivamente, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, aveva dichiarato di non doversi procedere in relazione a reati che si erano prescritti e aveva ridotto a 3 mesi di reclusione la pena inflitta all’imputata.
Con riferimento alla dinamica dell’accaduto era stato accertato che il lavoratore, per mezzo del ponteggio, stava scendendo dalla motonave ove si era recato per prendere una chiave che gli serviva per il lavoro di manutenzione, ed era scivolato e, poiché in quel punto il ponteggio era privo della tavola fermapiede e di un corrente del parapetto, era caduto a terra procurandosi varie fratture. La nave si trovava nel cantiere per alcuni interventi di manutenzione che gli operai eseguivano da terra, ma essi salivano abitualmente a bordo, per prelevare gli attrezzi necessari per il lavoro e perché erano autorizzati ad utilizzare la motonave come loro dimora.
Il ponteggio era stato montato da una ditta diversa che lo aveva consegnato al personale del cantiere il quale ne aveva verificato l'idoneità e la completezza; era stato montato secondo le regole, con tutte le tavole, il fermapiede e i parapetti completi. Uno dei testi aveva anche asserito di aver visto quella mattina un membro dell'equipaggio della motonave salire a bordo, usando il ponteggio in modo scorretto, scavalcando tramite questo il parapetto della nave anziché salire dall'apposito accesso laterale. La ASL, nelle sue indagini, aveva rilevato che la tavola fermapiede mancante era a terra, ma non presentava danneggiamenti e il corrente mancante sul parapetto era sganciato solo da un lato ed ancora attaccato al ponteggio dall'altro per cui questi pezzi non si erano né sganciati né rotti al momento dell'infortunio, ma erano stati rimossi in modo volontario.
Il giudice, quindi, aveva ritenuto che gli stessi marinai avevano rimosso della motonave quelle parti del ponteggio, per poter accedere più facilmente all'interno della stessa, convergendo le prove verso tale ricostruzione del fatto, e aveva pertanto ritenuto responsabile dell'infortunio l’imputata, datore di lavoro dell'infortunato, per avere omesso di assicurarsi che il ponteggio venisse mantenuto in perfetta efficienza, pur essendo prevedibile che i propri dipendenti lo usassero in modo improprio o addirittura lo modificassero per ragioni di praticità. Avrebbe dovuto, quindi, accertarsi che il ponteggio fosse conforme a tutte le prescrizioni di sicurezza, che venisse mantenuto tale e che il proprio personale lo utilizzasse in modo corretto e non pericoloso.
La rimozione di parti del ponteggio da parte dei suoi dipendenti inoltre, secondo il giudice, non poteva essere ritenuta una condotta abnorme, stante la ampia prevedibilità di un comportamento del lavoratore volto a semplificare il proprio lavoro, anche a scapito della loro sicurezza. Il datore di lavoro avrebbe dovuto verificare che il ponteggio fosse montato correttamente prima di consentirne l'utilizzo ai suoi dipendenti, che questi ultimi lo usassero in modo regolare e che non lo modificassero comportando tale omissione una violazione dell'art. 112 del D. Lgs. n. 81 del 2008. Il giorno dell’infortunio avrebbe dovuto essere presente sul posto, anche a mezzo di un proprio delegato, per controllare che esso fosse stato correttamente montato prima di farvi accedere i propri dipendenti. Era apparso credibile inoltre che gli stessi dipendenti avessero alterato e modificato il ponteggio per cui tale condotta non poteva essere qualificata come abnorme, essendo prevedibile che il lavoratore modificasse i presidi di sicurezza per velocizzare o facilitare il proprio lavoro.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni.
L’imputata ha ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore proponendo alcune motivazioni di impugnazione. La stessa ha dedotto in particolare che non era stata dimostrata la modifica volontaria del ponteggio da parte del lavoratore infortunato né era stata provata la facilitazione del lavoro derivante dall'eventuale rimozione degli elementi del ponteggio e malgrado ciò il Tribunale aveva affermato che la decisione dei dipendenti di modificare il ponteggio, asportandone temporaneamente alcuni elementi, non era da considerarsi abnorme, ma prevedibile stante la loro connaturale tendenza a semplificare il proprio lavoro. Né era provato che i marinai avessero utilizzato il ponteggio in modo scorretto e che il ponteggio, montato solo per consentire ai marinai di sostare sulla barca durante le pause dalla lavorazione, fosse servito per trasportare "macchinari" occorrenti alla lavorazione da svolgere sull'imbarcazione. La prova della non congruità del comportamento di smontare parti essenziali del ponteggio era stata fornita proprio dalla parte offesa dal reato il quale, sentito quasi nell'immediatezza del fatto, riferiva: "mentre il collega stava lavando lo scafo, ero salito sull'imbarcazione per prendere delle chiavi che servivano per rimuovere i piombi dallo scafo".
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile dalla Corte di Cassazione che lo ha pertanto rigettato. La questione da affrontare per decidere sul ricorso, ha subito sottolineato la suprema Corte, è quella relativa al comportamento dell’infortunato e stabilire fin quando lo stesso fosse prevedibile o abnorme o comunque tale da interrompere il nesso causale fra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento verificatosi. La Cassazione ha quindi nella sentenza richiamato e ribadito tutti i principi ormai consolidati in materia citando le principali precedenti sentenze nelle quali sono stati evidenziati.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, ha infatti ricordato, il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (sentenze Sez. IV n. 7188 del 10/01/2018 e Se. IV n. 7267 del 10/11/2009).
In tema di prevenzione antinfortunistica, inoltre, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia ( sentenza Sez. IV n. 5794 del 26/01/2021) e perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (sentenza n. 27871 del 20/03/2019 Sez. IV).
In linea di principio, ha ancora ricordato, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio proprio della lavorazione svolta e di conseguenza il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore e le sue conseguenze presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive di organizzazione ricevute (sentenza n. 25532 del 23/05/2007 Sez. IV e n. 21587 del 23/03/2007 Sez. IV).
Poi è stato affermato, sempre in tema di rilevanza esclusiva del comportamento del lavoratore, secondo un primo orientamento interpretativo circoscritta a condotte tenute in ambito del tutto eccentrico rispetto alle mansioni affidate e come tali imprevedibili da parte del garante che può essere considerato imprudente e quindi abnorme ai fini causali anche il comportamento che rientri nelle mansioni che sono proprie ma che sia consistito in qualcosa di radicalmente e ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e quindi prevedibili imprudenti scelte dei lavoratore nella esecuzione del lavoro (sentenza n. 15124 del 13/12/2016 Sez. IV e n. 5007 del 28/11/2008 Sez. IV).
Alla luce quindi dei citati principi giurisprudenziali operanti in materia, la soluzione offerta dalla Corte di Appello è stata ritenuta dalla suprema Corte sufficiente ed adeguata a sostenere la pronuncia di responsabilità dell'imputata, avendo fatto buon governo dei principi stessi. In ordine alla responsabilità del datore di lavoro, infatti, le opere provvisionali devono essere allestite con buon materiale ed a regola d'arte, proporzionate ed idonee allo scopo; devono essere conservate in efficienza per l'intera durata del lavoro mentre, come evidenziato nella sentenza impugnata e non negato dalla stessa imputata, era emerso incontrovertibilmente che il ponteggio non fosse a norma in quanto privo, proprio nel punto di caduta del lavoratore, della tavola fermapiede e di un corrente del parapetto e tale dato aveva costituito il nucleo della compiuta pronuncia di condanna. La responsabilità del datore di lavoro, in conclusione, era emersa in quanto non aveva vigilato e non aveva previsto la presenza sul posto di un preposto o, quantomeno, di un caposquadra, che impedisse modifiche imprudenti al cantiere destinate a compromettere la sicurezza dei lavoratori, come poi effettivamente è accaduto tramite lo smontaggio di alcuni pezzi del ponteggio.
A seguito della inammissibilità del ricorso il ricorrente è stato di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ragioni di esonero, al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Gerardo Porreca
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