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La definizione di committente dell’intera opera ex art. 89 D. Lgs. 81/08

La definizione di committente dell’intera opera ex art. 89 D. Lgs. 81/08
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

20/01/2025

L'espressione "per conto" può essere riferita a chi opera "per incarico di, oppure "in nome di", o ancora "a favore di" oppure perché ha stipulato un contratto o perché si avvantaggia di tale realizzazione oppure perché è stato delegato ad occuparsene.

Si dilunga la Corte di Cassazione in questa recente sentenza sugli obblighi e sulla figura del  committente di un’opera edile come definito nell’art. 89 comma 1 lettera b) del D. Lgs. n. 81/2008 perché chiamata a decidere su di un ricorso alla stessa presentato dalla proprietaria di una costruzione, condannata nei due primi gradi di giudizio perché ritenuta responsabile dell’infortunio mortale di un lavoratore artigiano avvenuto a seguito di una caduta dall’alto nel mentre posava in opera delle tavole di legno utilizzate per l’isolamento della copertura in corso di realizzazione dell’ultimo piano del fabbricato in ristrutturazione.

 

L’accusa mossa all’imputata era stata di non avere fatta la verifica tecnico professionale di cui all’art. 90 comma 9 del lavoratore artigiano, che è risultato poi non essere iscritto alla Camera di Commercio e non di avere controllato il possesso da parte dello stesso delle capacità, dei mezzi e delle attrezzature necessarie per l’effettuazione del lavoro da svolgere e di non avere provveduto, in mancanza, alla sua fornitura. L’imputata aveva basata la sua difesa sul fatto che era stata individuata erroneamente nella sua persona la figura del committente in quanto non era stata lei a chiamare l’artigiano ma suo marito.

 

La suprema Corte ha trovata l’occasione per richiamare e ribadire sinteticamente nella sentenza gli obblighi che il legislatore ha posto a carico del committente di un’opera edile sia esso professionale che privato, a partire dalla definizione stessa contenuta nell’art. 89 secondo la quale è il soggetto "per conto del quale l'intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione". La Corte ha precisato, in merito, ai fini di una corretta interpretazione, che l'espressione "per conto di" può essere riferita a chi opera "per incarico di, oppure "in nome di", o ancora "a favore di chi ha interesse alla realizzazione dell'opera, o perché si avvantaggia di tale realizzazione o perché vi è tenuto giuridicamente, oppure perché è stato delegato ad occuparsene o ancor più semplicemente perché ha stipulato il contratto.

 

La suprema Corte comunque ha ritenuto nel caso in esame infondato il ricorso in quanto ha considerata logica e rispondente alle disposizioni di legge la decisione presa dai giudici di merito per avere attribuita all’imputata la qualifica di committente essendo risultato che la stessa aveva firmato mesi prima un contratto di appalto per la realizzazione della costruzione con una impresa edile nel quale era stato indicato specificatamente che una parte dei lavori riguardante in particolare l’isolamento della copertura sarebbe stata effettuata successivamente da altri. La suprema Corte non ha ritenuto peraltro sufficiente a discolparla l’affermazione che fosse stato il marito a chiamare l’artigiano dando per scontato che lo avesse fatto per suo conto.

 

Il fatto e l’iter giudiziario.

La Corte di Appello ha confermata la sentenza pronunciata dal Tribunale nei confronti una committente ritenuta responsabile del reato di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen. per aver cagionato, per colpa, la morte di un lavoratore autonomo. Con la sentenza confermata in appello, l’imputata è stata condannata alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi otto di reclusione previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alla aggravante. È stata inoltre condannata al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili costituite (da liquidarsi in separato giudizio) e al pagamento in favore delle parti civili medesime di provvisionali provvisoriamente esecutive.

 

Il procedimento aveva avuto ad oggetto un infortunio di un lavoratore artigiano che, secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, doveva posare in opera nel giorno dell’evento delle tavole di legno facenti parte del "pacchetto di isolamento della copertura del tetto" in corso di realizzazione "sopra un terrazzo ubicato all'ultimo piano dell'edificio" di proprietà dell’imputata. Dalle sentenze di primo e secondo grado è emerso che, per realizzare il tetto, la proprietaria dell'edificio aveva stipulato un contratto di appalto con un'impresa edile il cui titolare era stato pure imputato nel procedimento ma che era stato assolto in primo grado, con sentenza divenuta irrevocabile, "per non aver commesso il fatto". L'appalto prevedeva il rifacimento del tetto dell'edificio, ma non comprendeva la posa in opera delle tavole di legno costituenti la copertura interna del tetto che, per espressa previsione contrattuale, sarebbe stata affidata ad altri. Il corpo dell’infortunato era stato trovato disteso sulla pavimentazione del sottotetto e, secondo quanto accertato in giudizio, il decesso fera stato determinato da gravissime lesioni riportate a seguito di una caduta che, in ragione dell'entità delle lesioni, doveva essere avvenuta da un'altezza non minima.

 

La proprietaria era stata ritenuta responsabile della morte del lavoratore, nella qualità di committente dei lavori, per averli affidati a un artigiano benché privo dei necessari requisiti tecnico-professionali consentendogli lo stesso l'ingresso in cantiere. Secondo i giudici di merito, l'imputata aveva pertanto violato l'art. 90, comma 9, lett. a) del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 in base al quale, anche quando si affida a un lavoratore autonomo, il committente deve verificarne "l'idoneità tecnico-professionale. Non era risultato, infatti, essere iscritto alla Camera di commercio, industria e artigianato e i giudici di merito avevano ritenuto che tale omessa verifica avesse avuta una rilevanza causale nel verificarsi dell'evento. Secondo la tesi accusatoria, l’imputata, quale committente, avrebbe dovuto inoltre rispondere anche della violazione dell'art. 90, commi 3 e 4 del D. Lgs. n. 81/08 per non aver provveduto alla nomina del coordinatore della sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione dei lavori, dovendo operare nel cantiere oltre all'artigiano anche una impresa edile; tale profilo di colpa, tuttavia, era stato escluso dal Tribunale secondo il quale la violazione, pur sussistente, non aveva avuto rilevanza causale nel verificarsi dell'infortunio che non fu determinato dalla concretizzazione di un rischio interferenziale.



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Il ricorso per cassazione e le motivazioni.

Contro la sentenza della Corte di Appello l’imputata ha proposto tempestivo ricorso per mezzo del difensore di fiducia munito di apposto mandato. Con un primo motivo, la difesa si è lamentata per il fatto che era stata attribuita all'imputata la qualifica di committente ai sensi dell'art. 89 del D. Lgs. n. 81/2008. Secondo la stessa, infatti, i giudici di merito avevano identificato nell’imputata la committente dei lavori solo perché era proprietaria dell'immobile e aveva sottoscritto un contratto di appalto con una impresa edile senza che fossero emersi elementi idonei a comprovare che fosse stata proprio lei a conferire l'incarico di prestazione d'opera al lavoratore autonomo e che, proprio lei, avesse assunto in concreto compiti di direzione e sorveglianza dei lavori.

 

La difesa ha sostenuto inoltre che, come emerso dalle concordi deposizioni dei testimoni esaminati in giudizio, il lavoratore infortunato era stato contattato da suo marito e ha sottolineato, altresì, che gli operatori della prevenzione intervenuti sul luogo dell'incidente non vi avevano trovato l’imputata, ma proprio il marito. La circostanza, secondo la difesa, che l’imputata avesse sottoscritto il contratto di appalto era stata una conseguenza del fatto che l'immobile oggetto di ristrutturazione era di sua proprietà; questo dato obiettivo, però, non era però sufficiente per attribuire a lei il ruolo di committente, non essendovi prova che ella si fosse ingerita nell'esecuzione delle opere. L’affermazione inoltre contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale la scelta dell'artigiano fu "al più decisa e condivisa da entrambi i coniugi", sarebbe stata comunque illogicamente motivata. La difesa ha ancora osservato che non può ritenersi sufficiente ai fini dell'attribuzione all'imputata della qualifica di committente la constatazione che i lavori svolti dall’artigiano erano pertinenti al rifacimento del tetto oggetto di un contratto di appalto stipulato dall'imputata mesi prima con una diversa impresa edile. La difesa ha rilevata, inoltre, che non potesse avere alcun rilievo in tal senso la circostanza che, dieci anni prima dei fatti, l’imputata si fosse fatta dare da un'amica il recapito dell’artigiano al quale aveva poi affidato un lavoro.

 

In sintesi, secondo la difesa, la sentenza impugnata non avrebbe fatto buon governo dei principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alla figura del committente dei lavori. Nel caso di specie, infatti, i giudici di merito avrebbero fatto discendere il dovere di sicurezza dalla mera sottoscrizione di un contratto di appalto (conseguenza legale della qualità di proprietaria), mentre tale obbligo dovrebbe discendere dalla concreta ingerenza nella esecuzione dei lavori appaltati.

 

Con un secondo motivo, la difesa ha dedotto vizi di motivazione e violazione degli artt. 40 e 43 cod. pen. per la ritenuta sussistenza del nesso causale tra l'ipotizzata violazione di norme di prevenzione e l'evento. Secondo la difesa, infatti, la circostanza che l’infortunato non fosse titolare di una impresa artigiana regolarmente iscritta alla Camera di commercio non implica, da sé sola, che egli non avesse le capacità tecnico-professionali per eseguire i lavori che gli erano stati affidati. Come era stato infatti riferito da tutti i testimoni esaminati in giudizio si trattava di un artigiano esperto nella lavorazione del legno e a lui era stato affidata la realizzazione della copertura interna del tetto proprio in ragione delle sue specifiche competenze. Secondo la difesa, i giudici di merito avrebbero omesso di verificare se la violazione delle norme di prevenzione ritenuta sussistente avesse avuto effettiva incidenza sul verificarsi dell'evento. Ha osservato in proposto il difensore che non è obbligo del committente quello di garantire il rispetto della normativa infortunistica da parte delle imprese cui i lavori vengono affidati.

 

Sotto altro profilo, la difesa ha dedotta carenza di motivazione quanto alla ricostruzione della dinamica dell'incidente. Ha osservato che, secondo i giudici di merito, il lavoratore era caduto dalla trave sommitale del tetto sulla quale si era messo a cavalcioni; ma a questa conclusione si è giunti sulla base di dati probatori incerti e meramente ipotetici, sicché non si poteva escludere che egli fosse caduto da una impalcatura presente in loco. (alta un metro e settanta centimetri), nel qual caso le norme in materia di lavori in quota non sarebbero applicabili (perché il luogo di lavoro sarebbe stato collocato ad altezza inferiore ai due metri) e la circostanza che il lavoratore non fosse dotato di cintura di sicurezza sarebbe stata priva di rilievo. Doveva inoltre aggiungersi, secondo la difesa, che, se realmente il lavoratore si era arrampicato sulla trave sommitale del tetto e vi si era messo a cavalcioni, allora l'infortunio sarebbe stato determinato da un comportamento così imprudente da poter essere qualificato abnorme e idoneo ad interrompere il nesso causale tra l'ipotizzata omissione e l'evento.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione. Secondo la stessa l’imputata con la sottoscrizione del contratto di appalto con l’impresa edile era stata ritenuta committente, oltre che dei lavori contemplati dal contratto stesso, anche dei lavori che l’artigiano avrebbe dovuto svolgere  successivamente perché "comunque afferenti all'oggetto del contratto di appalto". La difesa ha contestato tali conclusioni e l'attribuzione di tale qualifica sostenendo che l’imputata avesse sottoscritto il contratto di appalto quale proprietaria dell'immobile, ma non vi era alcuna prova che ella si fosse mai interessata della concreta esecuzione dei lavori e ne avesse assunto la direzione e che, in ogni caso, non era stata lei a incaricare l’artigiano della posa in opera della copertura in legno. A sostegno di tali rilievi critici la difesa ha osserva che, come emerso dall'istruttoria dibattimentale, era stato il marito dell'imputata a prendere contatti con lo stesso che il giorno dei fatti, tra l’altro, era presente in cantiere.

 

Ciò detto, la Sezione IV ha precisato che la figura del committente, alla quale i giudici di merito avevano attribuito rilevanza ai fini dell'affermazione della penale responsabilità dell'imputata, è definita dall'art. 89, comma 1, lett. b) del D. Lgs. n. 81/2008 in base al quale è "committente" il soggetto "per conto del quale l'intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione". Nell'interpretare questa norma, la giurisprudenza di legittimità ha osservato che l'espressione "per conto" può essere riferita a chi opera "per incarico di, oppure "in nome di", o ancora "a favore di"; sicché committente è colui "che ha interesse alla realizzazione dell'opera" o perché ha stipulato il contratto o perché si avvantaggia di tale realizzazione o perché vi è tenuto giuridicamente, oppure perché è stato delegato ad occuparsene.

 

Ha sottolineato ancora la suprema Corte che la definizione prevista dal D. Lgs. 81/2008, riguarda la materia della sicurezza sul lavoro ed è volta a delineare i compiti e le responsabilità che il committente assume in questo ambito, ma, nonostante ciò, si sovrappone alla generalissima figura civilistica di colui che commissiona un lavoro, sicché è ben possibile che il committente non sia il proprietario del bene, ma colui a vantaggio del quale l'opera è realizzata. Muovendo quindi da questa premessa, la giurisprudenza in esame ha concluso che gli obblighi di sicurezza posti a carico del committente, sono strettamente connessi all'affidamento dell'opera e il dovere di sicurezza che sul committente incombe ai sensi del D. Lgs. n. 81/2008 riguarda i rischi che, in ragione della propria qualifica, egli è in grado di governare. La sua responsabilità può dipendere, dunque: o dalla individuazione di un contraente inadeguato; o dalla effettiva ingerenza nell'esecuzione del contratto. Si è ritenuto pertanto che il committente, su cui gravano gli obblighi di sicurezza nell'esecuzione del contratto d'opera o d'appalto, sia "il soggetto che ha affidato i lavori, anche se diverso dal proprietario del bene che si avvantaggia delle opere affidate e anche in assenza di un mandato a contrarre o di una delega di funzioni e in mancanza di un potere di spesa.

 

Così delineata la figura del committente la suprema Corte ha sostenuto, valorizzando il contenuto del D. Lgs. n. 81/2008 ed in specie dell'art. 90, comma 9, lett. a) (cui anche la sentenza impugnata fa riferimento), si è ritenuto che, a differenza del committente professionale, il committente privato non professionale che affida in appalto lavori di manutenzione domestica non sia tenuto a conoscere le singole disposizioni tecniche previste dalla normativa prevenzionale e, tuttavia, abbia "l'onere di scegliere adeguatamente l'impresa, verificando che essa sia regolarmente iscritta alla C.C.I.A., che sia dotata del documento di valutazione dei rischi e che non sia destinataria di provvedimenti di sospensione o interdittivi ai sensi dell'art. 14, del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, altrimenti assumendo su di sé tutti gli obblighi in materia di sicurezza".

 

L'art. 90, comma 9, lett. a) del D. Lgs. n. 81/2008 ha stabilito che, quando un'opera è affidata ad un lavoratore autonomo, il committente ne deve verificare "l'idoneità tecnico-professionale". L'allegato XVII al D. Lgs. n. 81/2008 prevede, al punto 2, che, ai fini della verifica dell'idoneità tecnico-professionale, i lavoratori autonomi debbano esibire almeno: "a) iscrizione alla camera di commercio, industria ed artigianato con oggetto sociale inerente alla tipologia dell'appalto; b) specifica documentazione attestante la conformità alle disposizioni di cui al presente decreto legislativo di macchine, attrezzature e opere provvisionali; c) elenco dei dispositivi di protezione individuali in dotazione; d) attestati inerenti la propria formazione e la relativa idoneità sanitaria ove espressamente previsti dal presente decreto legislativo; e) documento unico di regolarità contributiva di cui al Decreto Ministeriale 24 ottobre 2007.

 

L’art. 90, comma 9, lett. a), ha però anche precisato che queste disposizioni incontrano una deroga "nei cantieri la cui entità presunta è inferiore a 200 uomini giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari di cui allegato Xl". Anche in questi casi, la verifica dell'idoneità tecnico professionale di chi riceve l'appalto deve essere compiuta, ma è sufficiente che l'impresa o l'artigiano incaricato dei lavori presentino al committente "il certificato di iscrizione alla Camera di commercio, industria e artigianato" oltre al "documento unico di regolarità contributiva corredato da autocertificazione in ordine al possesso degli altri requisiti previsti dall'allegato XVII.

 

Così delineato il quadro normativo e giurisprudenziale al cui interno ci si deve muovere nell'esaminare la vicenda oggetto del ricorso, si deve subito osservare, ha aggiunto la suprema Corte, che la sentenza impugnata e quella di primo grado hanno attribuito alla imputata la qualifica di committente in ragione del fatto che era stata lei a dare incarico all'impresa edile di realizzare il tetto, sicché non si era limitata ad avvantaggiarsi dell'opera quale proprietaria dell'immobile, ma l'aveva anche commissionata ad una impresa e, nel conferire questo incarico, aveva specificato che una parte dei lavori - in specie la posa in opera del "perlinato" e del "pacchetto di isolamento della copertura" sarebbe stata eseguita da altri.

 

Essendo stato quindi previsto che fosse contenuta in un contratto di appalto sottoscritto dall'imputata i giudici di merito hanno desunto che ella non era rimasta estranea all'esecuzione dei lavori e non era estranea neppure al conferimento dell'appalto per la realizzazione dei lavori di posa in opera della copertura interna ("perlinato" e "pacchetto di isolamento") che, per espressa previsione contrattuale - si sarebbero aggiunti, integrandoli, a quelli commissionati all'impresa edile. Muovendo da questa premesse, i giudici di merito hanno escluso che, con riferimento a questi lavori integrativi ("comunque afferenti all'oggetto del contratto di appalto" stipulato mesi prima), l’imputata potesse essere considerata una proprietaria non committente. Hanno ritenuto, per questo, che la responsabilità dell'imputata non fosse esclusa dalla constatazione che, come accertato nel corso del giudizio, era stato suo marito a contattare il lavoratore autonomo. I giudici di merito hanno preso atto che il contratto d'appalto con l'artigiano infortunato non era stato stipulato in forma scritta e hanno ritenuto che a questa scelta, diversa da quella adottata per l’impresa edile, la proprietaria dell'immobile non fosse estranea, atteso che lei stessa aveva deciso di non far realizzare all’impresa stessa la copertura interna. In altri termini la circostanza che l'imputata abbia personalmente, stipulato mesi prima il contratto di appalto è stata ritenuta idonea ad affermare che l’imputata non era rimasta estranea alla scelta dell'artigiano incaricato della realizzazione delle opere escluse da quel contratto e aveva mantenuta mantenuta la qualità di "proprietaria committente" anche in relazione all'incarico conferito all'artigiano pur essendosi avvalsa del marito per contattarlo.

 

Si tratta di una motivazione congrua, ha precisato la suprema Corte, che non presenta profili di contraddittorietà o manifesta illogicità e, in coerenza con le premesse soprindicate i giudici di merito hanno ritenuto la responsabilità dell'imputata per violazione dell'art. 90, comma 9, lett. a) del D. Lgs. n. 81/2008 e, quindi, per una "culpa in eligendo" consistita nel non aver verificato l'idoneità tecnico-professionale del lavoratore autonomo. Questa disposizione, infatti, è inequivoca nel senso indicato perché, facendo rinvio all'allegato XVII, richiede, oltre alla iscrizione alla Camera di commercio, anche una verifica, almeno documentale, in ordine alla disponibilità di attrezzature idonee allo svolgimento del lavoro ricevuto in appalto e di dispositivi di protezione individuali. Nel caso in esame quindi il rischio concretizzatosi è stato esattamente quello che la norma cautelare violata mirava ad evitare. L'art. 90, comma 9, del D. Lgs. n. 81/2008, infatti, vieta di affidare l'esecuzione di opere a lavoratori autonomi, ancorché competenti, abili ed esperti del proprio lavoro, se gli stessi non sono in grado di documentare nelle forme di legge la possibilità di eseguire quelle opere in condizioni di sicurezza e in questo senso deve essere interpretata la verifica della idoneità tecnico-professionale che il legislatore richiede al committente. Com'è evidente perciò, se questa norma fosse stata rispettata l’artigiano non avrebbe potuto ricevere l'incarico di posare in opera la copertura del tetto e l'evento non si sarebbe verificato.

 

Né maggior pregio ha avuto il motivo di ricorso col quale la difesa ha sostenuto che la ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale e condivisa dalla Corte di appello sarebbe stata intrinsecamente contraddittoria. Secondo i giudici di merito, infatti, il lavoratore era caduto al suolo da un'altezza di tre metri dopo essersi messo a cavalcioni sulla trave sommitale del tetto. L'ipotesi alternativa, secondo la quale egli stava lavorando su un "cavalletto" presente in loco e stava in piedi su tavole poste a una altezza inferiore ai due metri, era stata dagli stessi esclusa con motivazione congrua, non manifestamente illogica e non contraddittoria; avevano osservato, infatti, che solo operando dalla trave sommitale era possibile posare in opera le tavole di legno che dovevano costituire la copertura del tetto, che l'entità delle lesioni e la localizzazione delle stesse facesse propendere per una caduta da un'altezza maggiore rispetto a quella ove erano collocate le tavole appoggiate sul "cavalletto".

 

A ciò deve aggiungersi che, come riferito anche dalla difesa nell'atto di ricorso, l'infortunio si era verificato nel primo giorno di lavoro del lavoratore e che era stato lo stesso a collocare sopra il cavalletto metallico che era già in loco le tavole di legno sulle quali stava lavorando e dalle quali sarebbe caduto dopo averle raggiunte tramite una scala a pioli. Da ciò ne è conseguito che la committente, dopo aver conferito l’incarico a un artigiano la cui idoneità tecnico-professionale non era stata valutata nella prospettiva della capacità di operare in sicurezza, non gli aveva neanche fornito strutture idonee a raggiungere il tetto. Comunque, alla luce di queste considerazioni, la responsabilità della ricorrente non sarebbe venuta meno se il lavoratore fosse caduto dal cavalletto sul quale lui stesso aveva dovuto sistemare qualche tavola. Se l'incarico professionale invero fosse stato conferito nel rispetto dell'art. 90, comma 9, del D. Lgs. n. 81/2008, la committente avrebbe verificato, oltre alla iscrizione alla Camera di commercio, anche la disponibilità di attrezzature idonee allo svolgimento del lavoro e di dispositivi di protezione individuale. Solo all'esito di questa verifica, la proprietaria-committente avrebbe potuto disinteressarsi delle concrete modalità di svolgimento del lavoro e delle attrezzature utilizzate, ma poiché questa verifica non fu eseguita, la stessa era obbligata a mettere a disposizione del lavoratore attrezzature idonee allo svolgimento del lavoro e a consentirgli di raggiungere il tetto in condizioni di sicurezza.

 

Con riferimento, infine, al comportamento ritenuto abnorme da parte del lavoratore la Corte di Cassazione ha sostenuto che l'evento verificatosi, per quanto esposto, non può essere considerato quale manifestazione di un rischio eccentrico rispetto a quello che la proprietaria-committente era chiamata a governare, né poteva ritenersi che il comportamento del lavoratore abbia avuto efficacia interruttiva del nesso causale. La stessa Corte ha osservato in proposito che, in tema di reati colposi omissivi impropri, l'effetto interruttivo del nesso causale può essere determinato solo da circostanze che introducono un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare e tale non è certamente quello relativo al comportamento imprudente di un artigiano quando, come nel caso di specie, si sia omesso di verificare se egli disponeva di attrezzature idonee per svolgere in sicurezza il lavoro affidatogli e non ci si sia curati di fornirgliene, citando come precedente il contenuto della sentenza della IV Sezione penale  n. 123 del 3 gennaio 2019, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo " La responsabilità per un infortunio dovuto a un cancello non a norma".

 

Al rigetto del ricorso è conseguita la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili costituite nel grado di giudizio di legittimità.

 

Gerardo Porreca

 

 

 

Corte di Cassazione Sezione IV penale - Sentenza n. 46718 del 19 dicembre 2024 (u. p. 3 dicembre 2024) -  Pres. Ciampi  – Est. Vignale – Ric. A.A..  - L'espressione "per conto" può essere riferita a chi opera "per incarico di, oppure "in nome di", o ancora "a favore di" oppure perché ha stipulato un contratto o perché si avvantaggia di tale realizzazione oppure perché è stato delegato ad occuparsene.

 

 




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