La centralità del concetto di rischio nella gestione della sicurezza
Il concetto di rischio nell’ambito della sicurezza sul lavoro, la sua gestione e la responsabilità nel caso che si sia prodotto un evento illecito per i pericoli connessi allo stesso sono l’oggetto di questa sentenza della Corte di Cassazione che ha dovuto decidere sul ricorso presentato da un datore di lavoro condannato dal Tribunale, con sentenza confermata dalla Corte di Appello. per avere omesso di adottare misure idonee atte a garantire la sicurezza nonché di fornire una formazione sufficiente e adeguata a un lavoratore dipendente infortunatosi per essere caduto nel mentre si accingeva a scendere da una scala utilizzata per affiggere un cartellone stradale e finito poi in un canale di scolo delle acque situato nelle adiacenze.
Rispetto ad ogni area di rischio, ha precisato la suprema Corte, esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; il "garante è il soggetto che gestisce il rischio" ed è a lui, quindi, che deve essere imputato, sul piano oggettivo, l'illecito, qualora l'evento si sia prodotto nell'ambito della sua sfera gestoria. Il D. Lgs. n. 81/2008, nell’ambito della sicurezza sul lavoro ha consentito di individuare la genesi e la conformazione della posizione di garanzia, e, conseguentemente, la responsabilità gestoria che, in ipotesi di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale.
Il fatto e l’iter giudiziario.
Il Tribunale ha dichiarato l’amministratore unico di una società colpevole del reato di cui all'art. 590, commi 1, 2 e 3, c.p., e lo ha condannato alla pena di tre mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese del procedimento, condanna poi confermata dalla Corte di Appello. L’imputato era stato tratto a giudizio per rispondere di tale reato perché, proprietario di un cartellone pubblicitario stradale, per imprudenza, negligenza e imperizia e in violazione degli artt. 28, comma 2, lett. b), e 37, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2008, omettendo l'adozione di misure idonee atte a garantire la sicurezza dei lavoratori nonché di fornire una formazione sufficiente ed adeguata, aveva cagionato a un lavoratore dipendente gravi lesioni personali che avevano comportato un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo pari a 94 giorni, atteso che, nel mentre scendeva da una scala in alluminio estendibile, poneva un piede in fallo cadendo rovinosamente dalla stessa e finendo in un canale di scolo delle acque situato nelle adiacenze.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni
Avverso la sentenza della Corte di Appello l’amministratore unico ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore, sostenendo di avere sempre impartita la formazione e informazione ai lavoratori della sua azienda e di averli edotti sulle misure di prevenzione da adottare durante l'attività lavorativa, nonché di avere vigilato sugli stessi. Lo stesso ha sostenuto ancora che la decisione assunta dalla Corte territoriale era contrastante con quanto statuito dal D. Lgs. n. 81/2008, che ha individuato nel lavoratore il primo responsabile della propria nonché dell’altrui sicurezza. Il lavoratore infortunato del resto, ha aggiunto il ricorrente, aveva già prestato all'epoca dei fatti opera di volontario presso i Vigili del Fuoco e aveva frequentato per accedere a tale Corpo un corso di 120 ore di addestramento abbinate alla pratica costante, tanto da renderlo particolarmente esperto nella gestione di condizioni lavorative critiche come nel caso di utilizzo di determinate attrezzature quali le scale.
La Corte del merito, ha sostenuto altresì il ricorrente, non ha considerata l'assoluta impossibilità da parte di un datore di lavoro di poter valutare i rischi di ogni singolo sito in cui la squadra si reca per allestire un cartellone pubblicitario, luogo, che può anche avere subito delle sostanziali modificazioni ad opera di terzi. Non è risultato, inoltre, dagli atti alcuna prova documentale in merito al fatto che possa attribuirsi a lui una condotta negligente per non aver adeguatamente formato i propri dipendenti per cui conseguentemente, non gli si poteva rimproverare di avere fatto affidamento sulla professionalità del soggetto a cui aveva affidato il lavoro da compiersi.
Come altra motivazione il ricorrente si è lamentato per la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. non potendo l'entità delle lesioni subite dal lavoratore costituire, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte del merito un limite alla applicabilità della disposizione invocata.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato rigettato dalla Corte di Cassazione la quale ha rammentato che, nell'ambito della sicurezza sul lavoro, emerge la centralità del concetto di rischio, in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli connessi al fatto che l'uomo si inserisce in un apparato disseminato di insidie. Rispetto ad ogni area di rischio, ha aggiunto la suprema Corte, esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; il "garante è il soggetto che gestisce il rischio" e, quindi, è colui al quale deve essere imputato, sul piano oggettivo, l'illecito, qualora l'evento si sia prodotto nell'ambito della sua sfera gestoria. Proprio nell'ambito in parola, e cioè in quello della sicurezza sul lavoro, il D. Lgs. n. 81 del 2008 (così come la precedente normativa in esso trasfusa) ha consentito di individuare la genesi e la conformazione della posizione di garanzia, e, conseguentemente, la responsabilità gestoria che, in ipotesi di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale.
Nel caso in esame, ha ribadito la Sez. IV, l'imputato aveva assunto la "posizione di garanzia" nella materia prevenzionale ed era il gestore del rischio; l'evento quindi si era verificato nell'alveo della sua sfera gestoria. L’ipotetica condotta abnorme del lavoratore infortunato non poteva considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento poiché essa non si era collocata al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. In altri termini, la sua complessiva condotta non era stata eccentrica rispetto al rischio lavorativo che il ricorrente quale titolare della ditta era stato chiamato a governare. In definitiva nella condotta del lavoratore non non si potevano riscontrare i requisiti di eccezionalità ed imprevedibilità poiché si era trattata di manovra realizzata nel contesto della lavorazione cui lo stesso era stato addetto e finalizzata (sia pure imprudentemente) a completare il lavoro.
Ineccepibilmente, ha sostenuto la Sez. IV, la Corte territoriale aveva ritenuto che la vicinanza ad un canale di scolo delle acque aveva rappresentato il fattore di rischio che l’imputato aveva omesso di considerare, sia nella formazione dei lavoratori che nella valutazione dei rischi, omettendo conseguentemente di provvedere a munire i lavoratori di dispositivi atti a garantire la sicurezza dei lavoratori a fronte di tale situazione di pericolo e di dare le necessarie istruzioni, né era risultato che i lavoratori fossero stati formati e istruiti sul rischio suddetto, cioè sul rischio conseguente alla vicinanza del cartellone a canali di scolo o fossi. La mancanza di informazione su quel rischio specifico ha trovato inoltre conferma indiretta anche nel documento di valutazione dei rischi non essendo stato fatto in esso alcuna menzione e previsione né valutazione del rischio di cadute in canali e fossi.
In merito, infine, alla lamentela per non essere stata consentita l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131- bis c.p., la Corte di Cassazione ha precisato che la questione era già stata sottoposta al giudice del merito che aveva, incensurabilmente, escluso l'applicabilità dell'istituto in parola. In particolare, la Corte territoriale aveva, tra l'altro e ineccepibilmente, affermato di aver valutato che l’offesa arrecata al lavoratore non poteva infatti ritenersi di "particolare tenuità" visto che le lesioni subite lo hanno costretto all'inattività per più di novanta giorni e ne hanno imposto il ricovero in codice rosso. La suprema Corte ha ritenuto questa argomentazione corretta e priva di errori in diritto, poiché, se è vero che in astratto la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. è applicabile anche al reato di lesioni, è anche vero che la norma citata, ai fini della sua applicabilità, fa riferimento, fra l'altro, al criterio della "esiguità del danno o del pericolo" derivante dal reato con la conseguenza che i danni del reato di lesioni devono essere necessariamente valutati al fine di stabilire se ricorra un'ipotesi di "particolare tenuità" del fatto. Ebbene nel caso in esame la Corte di merito aveva correttamente considerato le conseguenze dannose del reato, valutandole non "esigue", alla luce del lungo periodo di inattività derivante dalla gravità delle lesioni subite dalla persona offesa.
Per i citati motivi in conclusione la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Gerardo Porreca
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