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L.215/2021: il preposto e la modifica dei comportamenti non conformi

L.215/2021: il preposto e la modifica dei comportamenti non conformi
Anna Guardavilla

Autore: Anna Guardavilla

Categoria: Sentenze commentate

17/02/2022

L’obbligo del preposto di sovrintendere e vigilare e i conseguenti doveri di intervento correttivo secondo il nuovo art.19 D.Lgs.81/08 e le sentenze di Cassazione che sottolineano la centralità del DVR in relazione a tale vigilanza.

La Legge 215/2021 all’articolo 13 ha riformulato l’obbligo di sovrintendenza e di vigilanza del preposto, sostituendo integralmente la lettera a) dell’articolo 19 comma 1 del D.Lgs.81/08.

 

A seguito di tale revisione, attualmente il preposto ha l’obbligo di “sovrintendere e vigilare sull’osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di rilevazione di comportamenti non conformi alle disposizioni e istruzioni impartite dal datore di  lavoro  e  dai  dirigenti  ai  fini  della  protezione collettiva e individuale, intervenire per modificare il comportamento non conforme fornendo le necessarie indicazioni  di sicurezza.  In caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza dell’inosservanza, interrompere l’attività del lavoratore e informare i superiori diretti”.

 

Dunque la nuova norma ha ratificato l’obbligo del preposto - già desumibile dal più generale obbligo di vigilanza con cui si apriva e si apre la lettera a) dell’articolo 19 ma ora esplicitato ed accentuato - di “intervenire per modificare il comportamento non conforme fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza” allorché ricorra la “rilevazione di comportamenti non conformi alle disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro e dai dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale”.

 

L’analisi di alcuni casi giurisprudenziali in materia di vigilanza del preposto può aiutarci ad approfondire tale tematica (partendo in ordine cronologico dai casi più recenti ai più risalenti).

 

Prima di esaminarli, occorre tenere a mente l’insegnamento della Suprema Corte secondo cui “con il termine “sovrintendere”, secondo il concorde orientamento della dottrina e della giurisprudenza, si indica l’attività rivolta alla vigilanza sul lavoro dei dipendenti per garantire che esso si svolga nel rispetto delle regole di sicurezza.

Non spetta al preposto adottare misure di prevenzione, ma fare applicare quelle predisposte da altri, intervenendo con le proprie direttive ad impartire le cautele da osservare.

Con l’articolo 90 del Decreto Legislativo 626/94, così come modificato dal Decreto Legislativo 242/96 è stato ampliato il precetto prevenzionale diretto al preposto [ulteriormente ampliato dal D.Lgs.81/08 così come ora modificato dalla Legge 215/2021, n.d.r.], ma perché possa essere chiamato a risponderne in concreto occorre che utilizzando il criterio guida dell’effettività egli abbia in concreto il potere di intervenire nei compiti precettati, per cui l’area della sua responsabilità viene circoscritta dagli effettivi poteri a lui spettanti, indipendentemente dalle più ampie indicazioni normative” (Cassazione Penale, Sez. IV, 21 aprile 2006 n.14192).


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Movimentazione dei carichi in quota e responsabilità di un preposto per aver omesso di sovrintendere e vigilare in relazione alle previsioni del Documento di Valutazione dei Rischi

Con Cassazione Penale, Sez.IV, 8 giugno 2021 n.22271 la Corte ha ribaltato la sentenza d’appello che aveva assolto un preposto (F.F.) dal reato di lesioni personali colpose in danno di A.F., accogliendo il ricorso della parte civile che aveva impugnato tale pronuncia limitatamente agli effetti civili nonché le argomentazioni del Procuratore Generale.

 

Questi i fatti: “l’infortunio è accaduto all’interno di uno stabilimento della L.M. s.r.l. nel corso delle operazioni di allestimento di una zona di esposizione di prodotti promozionali. L’infortunato si era trovato su una struttura metallica (rack) senza uso del mezzo usualmente utilizzato per la movimentazione dei carichi in quota e ne era caduto procurandosi le lesioni”.

 

In particolare era risultato “provato che, nell’occorso, l’A.F. stava procedendo alla collocazione di merce su apposito rack (espositore), struttura che andava allestita in altezza, utilizzando all’uopo una scala. Il lavoratore era caduto perché aveva perso l’equilibrio a causa del colpo ricevuto in testa per la rottura di una delle tavole provvisoriamente posizionate sul piano di quell’espositore per ovviare alla rottura di quelle preesistenti.”

 

Al preposto F.F. “si era addebitato di avere, nella qualità di responsabile dei reparti di falegnameria e sistemazione dello stabilimento in questione, omesso di sovrintendere e vigilare sulla osservanza delle disposizioni aziendali sull’uso dei mezzi di protezione individuali e collettivi a disposizione”.

 

Secondo la Cassazione, la Corte d’Appello (che aveva assolto il preposto) “ha ritenuto accertata la qualità dipreposto dell’imputato, ma non vi ha ricondotto gli obblighi propri di quella posizione, […] vale a dire quello di vigilanza sulla osservanza da parte dei lavoratori delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e, segnatamente, di quella che prevede l’uso dei presidi collettivi e individuali disponibili per movimentare i carichi in quota.

Trattasi di un obbligo espressamente contemplato dall’art.19 c. 1 lett.a), d.lgs.81/08”.

 

Ancor più nello specifico, nella sentenza d’appello “l’obbligo del preposto andava, nella specie, commisurato alla previsione del documento di valutazione dei rischi - al quale la corte d’appello omette ogni accenno, limitandosi a parlare genericamente di “regolamenti” - circa l’utilizzo di appositi presidi per la esecuzione di lavori in quota, una volta accertato, per come emerge dalla stessa sentenza, che - nell’occorso - era stata certamente utilizzata una scala a libro, in luogo di un elevatore, e dovendo l’attenzione focalizzarsi non solo sulla quota raggiungibile attraverso i due diversi presidi, ma anche sulla tipologia degli strumenti, a seconda, cioè, che essi fossero o meno dotati di un piano di calpestio che consentisse al lavoratore di procedere all’allestimento senza accedere all’interno della scaffalatura.”

 

Dunque, “così facendo, la Corte di merito ha trascurato, da un lato, la centralità del documento di valutazione dei rischi, vero e proprio statuto della sicurezza aziendale, nel quale confluisce l’analisi preventiva dei rischi di cui all’art.28 del d.lgs.81/08 e la previsione delle misure che il datore di lavoro appronta a garanzia delle singole aree lavorative; dall’altro, il contenuto dell’addebito mosso al F.F. in imputazione, quello, cioè, di non aver vigilato affinché l’A.F. si astenesse dall’esecuzione della lavorazione in assenza del presidio previsto per la movimentazione dei carichi in quota.”

 

Condanna di due preposti che hanno “incentivato” prassi non conformi rispetto al contenuto del Documento di Valutazione dei Rischi e del direttore di stabilimento che ha istituito un’organizzazione del lavoro atta ad agevolare tali prassi

Con Cassazione Penale, Sez.IV, 16 ottobre 2020 n.28726, la Corte ha confermato la condanna di “S.G. quale direttore dello stabilimento della ditta C. S.p.a., con delega in materia di sicurezza del lavoro dal 19.05.2009, B.A. quale preposto, capo officina, C.M. quale preposto capo reparto carpenteria-saldatura”, per avere, cagionato la morte del dipendente P.R.

 

Il giorno dell’incidente “E.A., gruista, ha operato da solo senza avvalersi dell’ausilio del collega P.R., lo spostamento con carroponte della terza (n.3126) di cinque travi metalliche a T della lunghezza di 13 metri e del peso di circa tre tonnellate ciascuna, posizionate in verticale l’una vicina all’altra”.

 

Egli “ha, quindi, urtato nella manovra la trave immediatamente adiacente che si ribaltava e provocava a sua volta, per il cd. effetto domino, il ribaltamento anche della prima trave, quella vicina al muro perimetrale dello stabilimento che travolgeva il P.R. che in quel momento si trovava nell’area situata tra le travi ed un armadietto metallico addossato al muro perimetrale e rimaneva schiacciato decedendo”.

 

Agli imputati è stato contestato di “aver omesso di sovraintendere e vigilare, nelle rispettive qualità, sull’osservanza da parte dei lavoratori delle norme di condotta individuate dal documento di valutazione dei rischi, Rev.3 adottato dall’azienda a partire dal 22.12.08 […], secondo cui le manovre di movimentazione di travi, superiori a 10 metri di lunghezza, dovevano essere eseguite con la partecipazione di due persone una delle quali in funzione di coordinatore”.

 

Essi avevano invece “consentito che sistematicamente tale manovra venisse eseguita da un solo operatore e che nell’area destinata allo stoccaggio di materiale da lavorare o lavorato vi fosse la presenza di un armadietto metallico e ciò in contrasto con le prescrizioni secondo le quali le aree dovevano essere sgombre da attrezzature ed intralci”.

 

Con specifico riferimento al ruolo del dirigente S.G. e dei due preposti, è stato accertato che “proprio l’organizzazione del lavoro che dipendeva dallo S. rendeva prevedibile il verificarsi di situazioni di rischio per il mancato rispetto della procedura corretta relativa alla movimentazioni delle travi e aveva reso praticabile l’avvio di una prassi non conforme al documento di valutazione dei rischi non solo avallata ma incentivata dai preposti, in particolare dal B.A., che utilizzava un solo lavoratore per l’operazione di movimentazione e mostrava fastidio di fronte alle richieste di affiancamento che i dipendenti gli rivolgevano.”

 

In sintesi, “proprio la condotta colposa e negligente di aver tollerato, avallato e non corretto prassi lavorative pericolose ha costituito il presupposto dell’infortunio mortale in quanto sia la movimentazione della trave lunga oltre 10 metri da parte di un solo operatore che la presenza dell’armadietto metallico nell’area di stoccaggio e movimento terra non erano percepite dai preposti e dagli operai addetti come rischiose per la incolumità fisica essendo mancata quella attività di formazione, sensibilizzazione, vigilanza e organizzazione specifica che competeva allo S. nella sua qualità di Direttore.”



Prassi per cui “non solo gli addetti mulettisti ma anche i tecnici riparatori manovravano i muletti”: responsabilità del preposto il quale, nonostante ne fosse a conoscenza, “non era mai intervenuto” per imporne la cessazione

Con Cassazione Penale, Sez.IV, 6 dicembre 2017 n.54825 la Corte si è pronunciata sulle responsabilità di un preposto (C.M.) di una Società esercente attività di somministrazione di alimenti a mezzo di distributori automatici, il quale “cagionava a A.F., tecnico riparatore, lesioni gravi consistenti nello schiacciamento del piede”.

 

In particolare quest’ultimo, “con mansioni di tecnico riparatore di distributori automatici, dopo avere provveduto alla pulizia di una gabbia di protezione dei distributori, si accingeva a caricarla sul muletto condotto da M.G., quando, inclinata la gabbia per consentire al M.G. di caricarla veniva attinto dalle forche al piede sinistro, che rimaneva schiacciato fra la gabbia e le forche medesime.”

 

Ciò in quanto “presso lo stabilimento si era instaurata una prassi, in forza della quale non solo gli addetti mulettisti ma anche i tecnici riparatori quali il M.G. ed il A.F., manovravano i muletti per le incombenze loro affidate, prassi di cui il C.M. - peraltro presente il giorno dell’incidente - era a perfetta conoscenza e per evitare la quale non era mai intervenuto.”

 

Anna Guardavilla

Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro

 

Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 22271 del 8 giugno 2021 (u.p. 26 maggio 2021) - Pres. Piccialli – Est. Cappello – P.M. Casella - Ric. A.F. - Nelle strutture complesse l’infortunio è in genere riconducibile alla responsabilità del preposto se occasionato dall’attività lavorativa, del dirigente se legato alla organizzazione aziendale e del datore di lavoro se derivante da scelte gestionali.

 

Corte di Cassazione Penale, Sez.IV – Sentenza n. 28726 del 16 ottobre 2020 - Infortunio mortale durante la movimentazione di travi. Responsabilità del direttore di stabilimento colpevole di aver tollerato, avallato e non corretto prassi lavorative pericolose.

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 54825 del 6 dicembre 2017 (u.p. 15 novembre 2017) - Pres. Piccialli – Est. Nardin – Ric. M.C. – Il preposto è responsabile dell’infortunio occorso a un lavoratore attinto dalle forche di un carrello elevatore condotto da un operatore sfornito della specifica abilitazione se, pur sapendolo, non è intervenuto ad impedire l’uso dell’attrezzatura.





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