L’obbligo delle misure di prevenzione dopo l’esecuzione delle opere
È un pericolo molto diffuso quello che ha portato all’infortunio di cui alla sentenza della Corte di Cassazione in commento e legato alla presenza di cantieri edili sospesi o abbandonati, privi di recinzione o di recinzioni comunque non idonee ad impedire l’accesso negli stessi di persone estranee in assenza di attività, con solai privi di parapetti a protezione contro la caduta dall’alto o con aperture nei solai prive di intavolati solidamente fissati, misure tutte queste previste dalle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Nel caso in esame era rimasto vittima di un infortunio un minore che, entrato in un cantiere privo di recinzione e salito su un piano sopraelevato, era precipitato da una buca in un solaio priva di protezione ed era quindi caduto al suolo riportando un trauma cranico letale. Il titolare dell’impresa esecutrice, condannato nei due primi gradi di giudizio, ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione per l’annullamento della sentenza di condanna sostenendo che nell’esecuzione dei lavori era subentrata un’altra impresa, che l’attività nel cantiere era sospesa al momento dell’infortunio per un’ordinanza comunale e che le norme di prevenzione infortuni comunque si applicherebbero ai soli cantieri in cui si esplica una attività lavorativa e non ai cantieri ove i lavori sono fermi.
La suprema Corte in risposta, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha ritenuto che la decisione dei giudici di merito fosse stata coerente con il principio in base al quale l'appaltatore di lavori edili, nell'esecuzione della propria attività, deve osservare tutte le cautele necessarie per evitare che non solo i propri dipendenti ma anche terzi riportino danni alla persona precisando che tale obbligo non si limita al periodo di mera esecuzione delle opere appaltate, ma anche alla fase successiva, qualora egli conservi il controllo della zona dei lavori, e che si concreta soprattutto nell'obbligo di non lasciare senza custodia situazioni di grave pericolo, principio dal quale, in caso di eventuale cessione dei lavori, si desume la persistenza della posizione di garanzia in capo all'appaltatore anche nella fase successiva alla cessione stessa e comunque anteriormente al momento in cui l'area interessata dalle opere sia materialmente ed effettivamente entrata nella disponibilità del cessionario.
Il fatto e l’iter giudiziario.
La Corte di Appello ha riformata la sentenza emessa dal Tribunale nei confronti del titolare di un’impresa edile, imputato del reato previsto dagli artt. 113 e 589 c.p., e commesso in danno di un minore, rideterminando la pena in due anni di reclusione e con condanna al risarcimento dei danni nei confronti delle costituite parti civili, da liquidarsi in separato giudizio, con provvisionale esecutiva pari a 10.000 euro. Era stato contestato all’imputato di avere realizzato senza titolo abilitativo tre corpi di fabbrica in cemento armato e di avere abbandonato il relativo cantiere privo di recinzione e di parapetti con tavole fermapiede o intavolato solidamente fissato sui ponti di servizio e sulle aperture presenti sul suolo, misure imposte dalla normativa e necessarie e indispensabili per impedire l'accesso di terzi e/o caduta dall'alto di persone in prossimità dell'apertura di solai, cagionando quindi per colpa generica nonché per colpa specifica (consistente nella violazione del T.U. emesso con D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, artt. 109 e 146), la morte di un minore che, salito sul piano sopraelevato, era precipitato da una buca priva di protezione ed era caduto al suolo riportando un trauma cranico letale.
La Corte territoriale aveva rilevato che, sulla base delle risultanze dibattimentali acquisite nel primo grado di giudizio, era emerso che i lavori erano stati affidati originariamente alla ditta facente capo all'imputato e che non erano mai subentrate altre imprese nella gestione del cantiere, contrariamente a quanto dallo stesso sostenuto nel presentare l’appello. La Corte aveva quindi ritenuto condivisibile l'argomentazione del giudice di primo grado in base alla quale, già da tempo non erano state predisposte procedure idonee a evitare che soggetti terzi potessero avere libero accesso al cantiere e, in particolare, al solaio sopraelevato nel quale, sulla base della documentazione fotografica in atti, erano presenti plurime aperture di forma quadrata, prive di idonei meccanismi di protezione atti a prevenire il pericolo di cadute accidentali. La stessa Corte territoriale aveva inoltre rilevato che l’imputato, anche all'esito della cessione del contratto concluso con l’impresa subentrata, non aveva provveduto a rimuovere dal cantiere i beni di sua proprietà e che quindi aveva mantenuto la titolarità di uno specifico obbligo di sorveglianza e vigilanza sullo stato dei luoghi; aveva quindi ritenuto che non sussistesse alcun presupposto per rivisitare, in senso critico, quanto sancito dal giudice di primo grado, essendo stata la ditta dell’imputato l'unica appaltatrice ad avere mai conservato la materiale disponibilità del cantiere in questione e ad assumere pertanto la posizione di garanzia; la Corte aveva altresì ritenuto meritevole il motivo di appello inerente al trattamento sanzionatorio, rideterminandolo nel senso suddetto.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni.
L’imputato ha presentato ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza della Corte territoriale, tramite il proprio difensore, articolandolo con due motivi di impugnazione.
Come primo motivo ha dedotto l'erronea applicazione dell'art. 589 c.p., comma 2, con vizio di motivazione in punto di contraddittorietà e di travisamento della prova, sia testimoniale che documentale. Lo stesso ha dedotto, più in particolare, che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che non aveva più alcuna titolarità sul cantiere all'interno del quale era avvenuto l'evento letale; ha dedotto altresì che, dalla documentazione in atti, era risultato che era stato concluso un contratto di cessione dei lavori dalla sua ditta a altra società, che i lavori erano stati sospesi da parte del responsabile dell'ufficio tecnico del Comune e che era sopravvenuta la dichiarazione di fallimento della sua ditta, con successivo susseguirsi di altre società per l'esecuzione delle opere con contestuale nomina di altri direttori dei lavori. Ha quindi dedotto ancora che, per effetto della cessione del contratto e. della successiva presentazione all'autorità amministrativa di un progetto in sanatoria e in variante, i relativi obblighi di garanzia fossero stati assunti dalla nuova società.
Con un secondo motivo di impugnazione il ricorrente ha dedotto l'inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 589 c.p., comma 2, e il vizio di motivazione della sentenza in quanto, per effetto dell'ordinanza di sospensione dei lavori, il cantiere sarebbe rimasto nella esclusiva disponibilità dell'ente locale e in quanto la fattispecie prevista dallo stesso art. 589 c.p. si applicherebbe ai soli cantieri in cui si esplichi attività lavorativa e non ai cantieri ove i lavori siano fermi.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
I motivi di ricorso sono stati ritenuti inammissibili dalla Corte di Cassazione. La stessa, in premessa, ha osservato che i giudici di merito hanno fatto applicazione del consolidato principio in base al quale le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell'interesse di tutti, finanche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell'impresa con la conseguenza che, in caso di lesioni e di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale, il quale ricorre tutte le volte che il fatto sia ricollegabile alla inosservanza delle norme stesse secondo i principi dettati dagli artt. 40 e 41 c.p..
In tale evenienza, quindi, dovrà ravvisarsi di conseguenza l'aggravante di cui all'art. 589 c.p., comma 2, e art. 590 c.p., comma 3, nonché il requisito della perseguibilità d'ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590 c.p., u.c., anche nel caso di soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, purché la presenza di tale soggetto nel luogo e nel momento dell'infortunio non abbia tali caratteri di anormalità, atipicità ed eccezionalità da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante e purché, ovviamente, la norma violata miri a prevenire incidenti come quello in effetti verificatosi.
Tanto premesso, nel caso in esame, ha così proseguito la suprema Corte, in punto di configurabilità della responsabilità colposa, va rilevato come il motivo di ricorso abbia del tutto omesso di raffrontarsi con gli elementi documentali richiamati nelle sentenze di merito e specificamente attinenti alla rilevanza, nel caso in questione, della scrittura privata con la quale era stata pattuita la cessione del contratto di appalto dalla ditta facente capo all’imputato nei confronti della nuova impresa. Difatti, nella sentenza di primo grado era stato dato atto del tenore testuale della predetta scrittura privata e, in particolare, di quanto pattuito ai relativi punti 3) e 5); nei quali, specificamente, era stata prevista la necessità che la cessione medesima venisse accettata da parte del contraente ceduto, accettazione pattuita come condizione risolutiva; era stato altresì previsto che l'impresa dell’imputato dovesse liberare da cose e beni di sua proprietà il cantiere entro e non oltre una certa data essendo il relativo obbligo pure pattuito a titolo di condizione risolutiva del contratto.
Ne è conseguito che il giudice di merito, con motivazione coerente e non manifestamente illogica, ha quindi dato atto del fatto che non vi fosse prova dell'accettazione della cessione da parte del contraente ceduto mentre, con argomentazione in fatto pure intrinsecamente coerente, la Corte di Appello ha rilevato che l’imputato aveva omesso di ottemperare allo specifico obbligo indicato al punto 5) del contratto di cessione, non avendo rimosso dal cantiere i beni di sua proprietà, come risultante dalla allegata documentazione fotografica riproducente lo stato dei luoghi e dalle dichiarazioni dei testi escussi in dibattimento, sulla base delle quali era risultata la presenza all'interno del cantiere della gru appartenente alla ditta dell'imputato, elemento di fatto idoneo comunque a perfezionare la condizione risolutiva ivi pattuita e, in ogni caso, il venire meno ex tunc dell'efficacia del contratto di cessione. Quindi la Sezione IV ha ritenuto del tutto immune da censure la motivazione dei giudici di merito, nella parte in cui hanno ritenuto che il predetto contratto di cessione non abbia, di fatto, mai assunto efficacia, con conseguente permanenza in capo alla ditta dell'imputato degli obblighi di garanzia connessi alla custodia del cantiere.
D'altra parte, la Corte di Cassazione ha rilevato che la conclusione dei giudici di merito si è comunque appalesata coerente con il principio in base al quale “l'appaltatore di lavori edili, nell'esecuzione della propria attività e in base al principio del neminem laedere, deve osservare tutte le cautele necessarie per evitare che non solo i propri dipendenti, ma anche i terzi, riportino danni alla persona; rilevando che tale obbligo non si limita al periodo di mera esecuzione delle opere appaltate, ma anche alla fase successiva, qualora egli conservi il controllo della zona dei lavori, ma soprattutto si concreta nell'obbligo di non lasciare senza custodia situazioni di grave pericolo”, principio dal quale si desume la persistenza della posizione di garanzia in capo all'appaltatore anche nella fase successiva alla eventuale cessione dei lavori e anteriormente al momento in cui l'area interessata dalle opere sia materialmente ed effettivamente entrata nella disponibilità del cessionario.
Con riferimento poi agli obblighi di sorveglianza del cantiere la suprema Corte ha osservato che gli stessi incombono sul titolare della posizione di garanzia, da identificare, nel caso concreto e sulla base delle predette considerazioni, nell'odierno ricorrente, anche nel caso in cui i lavori non siano in corso di esecuzione; essendo attuali anche in tale fase gli obblighi di recinzione preordinati a prevenire l'ingresso di terzi sull'area interessata (previsto dal D. Lgs. n. 81 del 2008, art. 109) e tanto in coerenza con il principio richiamato in ordine al quale le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell'interesse di tutti, finanche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo.
Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso è quindi conseguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e non sussistendo elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", al pagamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
Gerardo Porreca
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Rispondi Autore: Fabio Ganz - likes: 0 | 29/01/2024 (14:22:26) |
e per il Coordinatore? |