L’obbligo del POS per le imprese di fornitura del calcestruzzo
Finalmente, viene da dire nel leggere questa sentenza della Corte di Cassazione perché la stessa nel decidere in merito a un ricorso presentato per un infortunio per folgorazione di un lavoratore avvenuto in un cantiere edile, nel quale erano in corso delle operazioni di getto del calcestruzzo mediante un autobetonpompa, a causa del contatto di una parte dell’attrezzatura stessa con una linea elettrica che attraversava il cantiere medesimo, ha avuto modo di esprimersi in merito all’obbligo o meno della redazione del piano operativo di sicurezza (POS) da parte delle imprese che provvedono alla fornitura del calcestruzzo.
Finalmente perché è un argomento questo sempre al centro di discussioni fra gli operatori di sicurezza, molto spesso sollevate, a dire il vero, strumentalmente da chi sostiene l’insussistenza di tale obbligo e sul quale si è già espresso anche il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con una nota del 10/2/2016, indirizzata alle Direzioni Interregionali e Territoriali del Lavoro, con la quale lo stesso ha fornito appunto dei chiarimenti concernenti la redazione del POS da parte di aziende fornitrici di calcestruzzo nei cantieri temporanei o mobili.
Sono assoggettate agli obblighi delle imprese esecutrici, ha sostenuto la suprema Corte in questa sentenza, e quindi a quello di redigere il POS, anche le imprese che effettuano la fornitura e posa in opera di materiali nei cantieri edili quali sono la fornitura e il getto di calcestruzzo con l’autobetonpompa. Mettere a disposizione dell’impresa richiedente la fornitura, ha inoltre aggiunto la Corte di Cassazione, anche dei lavoratori, come è avvenuto nel caso in esame, con l’incarico di azionare la macchina e di comandare a distanza il braccio snodabile comporta un contributo tecnico ed esecutivo da parte del personale della ditta fornitrice certamente eccedente la fornitura dei materiali e delle attrezzature.
Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in cassazione
La Corte di Appello ha riformato, unicamente quoad poenam, la sentenza di condanna emessa dal Tribunale nei confronti del datore di lavoro di un’impresa esecutrice operante in un cantiere edile, nonché del datore di lavoro di un’impresa fornitrice del calcestruzzo, dell’operatore posto al comando dell’attrezzatura utilizzata per il getto del calcestruzzo stesso, dipendente dell’impresa fornitrice, e del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione (CSP) e di esecuzione (CSE), imputati del delitto di omicidio colposo con cooperazione colposa in violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (artt. 113, 589, commi 1 e 2, cod.pen.).
Oggetto del giudizio é stato un infortunio nel quale era rimasto vittima un lavoratore alle dipendenze della ditta esecutrice, verificatosi in un cantiere edile ove era in corso la realizzazione di alcune unità abitative, durante una gettata di calcestruzzo per la realizzazione di una soletta fuori terra, operazione che veniva eseguita mediante l'impiego di un'autobetoniera messa a disposizione dalla ditta fornitrice. Tale apparecchiatura era munita di una pompa estensibile per il getto, telecomandata dal dipendente della ditta fornitrice mentre il lavoratore infortunato, dipendente dell’impresa esecutrice, aveva il compito di indirizzare il getto di calcestruzzo posizionando il terminale del braccio. Durante l'operazione tale ultimo lavoratore, nell'accingersi a procedere a un nuovo getto, veniva investito da una fiammata, causata dal contatto del braccio estensibile con la linea elettrica che correva sopra l'area ove si stavano svolgendo i lavori che ne provocava la morte.
Il reato contestato al datore di lavoro della vittima, il quale assisteva all'operazione, era stato quello di avere tollerato che i lavori si svolgessero in prossimità di una linea elettrica (in violazione dell'art. 11 del D.P.R. n. 164/1956) nonché al coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione dei lavori quello di essersi limitato a prescrivere quanto disposto dall'art. 11 del D.P.R. n. 164/1956, senza eseguire alcun accertamento su come e con quali mezzi si sarebbero svolti i lavori, al legale rappresentante della ditta fornitrice di non aver redatto il piano operativo di sicurezza (POS), cui era tenuto poiché la sua ditta non si limitava a fornire materiali o attrezzature ma partecipava a varie fasi lavorative con propri mezzi e proprio personale, e infine al dipendente dell’impresa fornitrice di avere eseguito le operazioni in luogo e con modalità rischiose e di non avere segnalato la situazione di pericolo. La Corte di Appello aveva ridotto la pena nei loro confronti, stabilendola per tutti nell'identica misura di otto mesi di reclusione, restando ferma per tutti la sospensione condizionale della pena, sul rilievo che ciascuno di loro aveva contribuito in egual misura al decesso della vittima.
Avverso la sentenza della Corte di Appello i quattro imputati hanno presentato ricorso alla Corte di Cassazione avanzando diverse motivazioni. Il datore di lavoro dell’impresa esecutrice e del lavoratore infortunato ha sostenuto di avere redatto il POS, di essersi attenuto alle prescrizioni di un professionista appositamente incaricato che aveva autorizzato lo svolgimento dei lavori e di essersi rivolto a una ditta fornitrice che aveva provveduto ad operare con propri mezzi e con proprio personale qualificato. Secondo il ricorrente era stato il CSE che aveva omesso di individuare, analizzare e valutare i rischi e che aveva autorizzata la costruzione del solaio in attesa dello spostamento dei cavi elettrici e che inoltre era stata la ditta fornitrice che aveva scelto ove collocare la betonpompa e inoltre che la causa dell'incidente era da addebitare a una manovra maldestra e imprevedibile dell'operatore della ditta fornitrice nell'azionare e movimentare il braccio snodabile.
Il datore di lavoro dell’impresa fornitrice, da parte sua, ha sostenuto di non essere obbligato alla redazione del POS in qualità di fornitore, che tale documento viene redatto in seguito alla redazione del PSC e che il PSC redatto dal CSP non prevedeva, tra l’altro, alcun rischio di elettrocuzione. Come altra motivazione ha sostenuto di non aver ricevuto istruzioni dalla committenza sul come operare in cantiere. Il coordinatore, a sua difesa, ha evidenziato che il PSC conteneva l’indicazione dell'esatta posizione della linea elettrica e della distanza da osservare rispetto ad essa e che spettava poi alla committenza, al direttore dei lavori e all'impresa appaltatrice e non a lui definire le modalità di esecuzione dei lavori e trasferirle nel POS. Come altre motivazioni il coordinatore ha sostenuto di avere impartite specifiche disposizioni con riferimento al rischio poi concretizzatosi (disposizioni tutte disattese dall'impresa esecutrice), e che l’impresa fornitrice non era in alcun modo tenuta a redigere il POS e, quindi, non vi era a suo carico il dovere di esigerlo e di verificarlo.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Con riferimento al ricorso avanzato dal datore di lavoro dell’infortunato la Corte di Cassazione ha ricordato che qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno é per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica é addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione e inoltre che la responsabilità del datore di lavoro non é esclusa dal comportamento di altri destinatari degli obblighi di prevenzione che abbiano a loro volta dato occasione all'evento, quando quest'ultimo risulti comunque riconducibile alla mancanza od insufficienza delle predette misure e si accerti che le stesse, se adottate, avrebbero neutralizzato il rischio del verificarsi di quell'evento.
Perciò del tutto infondato è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione il motivo addotto dal datore di lavoro in ordine al fatto che egli avrebbe consentito l'impiego dell'autobetoniera in zona attraversata da linee elettriche in quota sulla base delle rassicurazioni di soggetti qualificati avendo assunto nella sua qualità un appalto di opere edili nell'ambito di un cantiere situato in un'area caratterizzata dalla presenza di cavi elettrici di alta tensione ed essendo comunque nelle condizioni di prevedere che ciò comportava un rischio significativo per la sicurezza e l'incolumità dei lavoratori, specie ove si consideri che in detta area sarebbe stato impiegato un mezzo meccanico munito di braccio, come quello affidato al lavoratore dipendente di altra ditta e presso il quale prestava la sua opera il lavoratore infortunato e cioè un mezzo che, se manovrato in modo non corretto, avrebbe potuto entrare in contatto con i cavi elettrici e cagionare gravi danni alle persone, come in effetti è accaduto. Ciò avrebbe dovuto suggerire al datore di lavoro, secondo la Sez. IV, di adottare cautele adeguate, al fine di impedire il concretizzarsi di detto rischio e che avrebbe potuto indicare anche al momento dell’incidente, atteso che egli era presente.
Né può affermarsi, ha così proseguito la suprema Corte, che la condotta del lavoratore che manovrava il braccio dell'autobetoniera e quella dello stesso infortunato, benché sicuramente negligente, fosse caratterizzata dalla cosiddetta abnormità, ossia da quel comportamento del lavoratore che assume valenza interruttiva del nesso di causalità fra la condotta eventualmente omissiva del garante in tema di sicurezza e l'evento dannoso verificatosi a suo danno, in quanto tale condizione, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza della stessa suprema Corte, “si verifica non perché il comportamento del lavoratore qualificato come abnorme sia ‘eccezionale’ ma perché esso risulta eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante é chiamato a governare”. Dunque nell’occasione non si è ravvisata in alcun modo la descritta condizione di "eccentricità" del comportamento dei lavoratori sia rispetto alle mansioni alle quali essi erano stati assegnati, sia rispetto alla tipologia di rischio affidato alla gestione dell’imputato nella sua posizione datoriale.
Circa il ricorso avanzato dal datore di lavoro dell’impresa fornitrice del calcestruzzo in merito all'addebito dell'omessa redazione del POS la Corte di Cassazione lo ha ritenuto infondato. La società di cui lo stesso era legale rappresentante, non si era limitata alla fornitura di calcestruzzo e dell'autobetoniera, ma aveva messo a disposizione anche due dipendenti e, in particolare, un lavoratore esperto con l'incarico di azionare la macchina e di comandare a distanza il braccio snodabile, un'operazione ben precisa che comportava un contributo tecnico ed esecutivo, da parte di personale della ditta, sicuramente eccedente la fornitura di materiale e attrezzature. A ben vedere, ha precisato ancora la Sez. IV, anche la lettura della circolare del 2007 del Ministero del Lavoro prevede l'obbligo di redazione del POS in capo alle ditte che partecipino in maniera diretta all'esecuzione di lavori di costruzione in muratura rientranti (come sicuramente nel caso in esame) fra quelli elencati nell'allegato 1 dell'allora vigente D. Lgs. 14/8/1996 n. 494. Del resto anche la Corte distrettuale aveva evidenziato in merito che, in base alle Linee guida del coordinamento tecnico interpretative del decreto legislativo n. 494/1996, “erano assoggettate agli obblighi delle imprese esecutrici (fra i quali rientra la redazione del POS) anche quelle che effettuano una fornitura e posa in opera di materiali (fornitura e getto di calcestruzzo con autobetonpompa)”.
Parimenti infondato è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione il ricorso avanzato dal lavoratore che era al comando del braccio dell’autobetoniera. Sul punto, é stato ritenuto sufficiente da parte della stessa Corte di Cassazione richiamare la giurisprudenza di legittimità in base alla quale, in materia di infortuni sul lavoro, il lavoratore, per effetto di quanto previsto dall'art. 5, commi primo e secondo, lett. b), del D. Lgs. 19/9/1994 n. 626, é garante, oltre che della propria sicurezza, anche di quella dei propri colleghi di lavoro o di altre persone presenti, quando si trova nella condizione di intervenire per rimuovere le possibili cause di pericolo, in ragione di una posizione di maggiore esperienza.
Con riferimento, infine, al ricorso presentato dal coordinatore la suprema Corte di Cassazione lo ha ritenuto anche esso infondato ponendo in evidenza che lo stesso cumulava sulla sua persona sia la posizione di coordinatore in fase di progettazione che in fase di esecuzione con la connessa responsabilità di indicare non solo il rischio elettrico presente in zona, ma anche i modi di evitarlo e, soprattutto, di verificare l'applicazione delle norme antinfortunistiche e di vigilanza sulla esatta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza. Lo stesso, ha così concluso la Corte suprema, ha sostanzialmente omesso di verificare quali fossero le caratteristiche del macchinario destinato ad essere usato in un cantiere caratterizzato dalla presenza di un elettrodotto in quota e se l'impiego di detto macchinario potesse o meno entrare in contatto con i cavi dell' alta tensione. Il fatto che allo stesso coordinatore spettasse l'alta vigilanza sull'esecuzione dei lavori, se non significa (come riconosciuto dalla stessa Corte di merito) che egli dovesse essere costantemente presente in cantiere, non lo esimeva dai compiti sopra richiamati e specificamente indicati dalle disposizioni di legge.
Alla luce di quanto sopra indicato la Corte di Cassazione ha annullata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'appello di provenienza, limitatamente al punto concernente il beneficio della non menzione della condanna nei riguardi del datore di lavoro dell’infortunato, del datore di lavoro della ditta fornitrice del calcestruzzo e del lavoratore che comandava il braccio dell’attrezzatura rigettando nel resto i ricorsi dagli stessi presentati e ha rigettato altresì il ricorso del coordinatore condannandolo al pagamento delle spese processuali.
Gerardo Porreca
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Rispondi Autore: SIMONE BIANCHI - likes: 0 | 19/06/2017 (16:43:13) |
Mi trovo totalmente d'accordo, ma mi chiedo: "Per qual motivo, qualche anno fa, il Ministero ha dedicato tempo ed energie per la predisposizione di una Procedura Ministeriale (peraltro sempre difficoltosamente applicata) per queste specifiche lavorazioni? |
Rispondi Autore: Lino Emilio Ceruti - likes: 0 | 25/06/2017 (12:39:35) |
Va premesso che l'infortunio si è concretizzato in ambito 494/96 dove risultavano obblighi riconducibili al 626 e ad altre precedenti normative prevenzionali in vigore prima della loro abrogazione da parte Dell' 81/08... comunque... le motivazioni della sentenza stante l'eziologia dell'accadimento illustrato non avrebbero portato ad un risultato molto diverso. L’utilizzo delle specifiche procedure di sicurezza per la fornitura di cls. previste nella nota circolare del 10-02-2011 del MinLav richiamata dalla propria, successiva, del 12-02-16 (quest'ultima indirizzata dalla Direzione Generale per l'Attività Ispettiva agli ex Ispettorati del Lavoro e ai Carabinieri per la Tutela del Lavoro) risultano di difficile applicazione per diversi motivi: Carenza nella capacità di organizzare le lavorazioni da parte delle imprese. Il cls. infatti, solitamente viene ordinato solo ALL'ULTIMO MOMENTO (quando il capo cantiere sarà quasi certo del tempo necessario a rendere ricevibile la zona destinata al getto di cls... in particolare il tempo necessario alla posa del ferro) perché il "fermo" delle attrezzature di scarico oltre i minuti concessi in funzione della quantità da scaricare, vengono addebitati "al minuto" all'impresa esecutrice con costi legittimi ma non certo "popolari". Errori di valutazione circa il tempo necessario a preparare la zona al ricevimento del cls. portano a vedere molto (troppo) spesso operazioni di getto con la squadra di ferraioli ancora presente con la posa del ferro non ancora conclusa. Quanto sopra si può constatare frequentemente in cantiere e, pur se rappresentano procedure non giustificabili (le interferenze fra queste due fasi/sottofasi di lavoro potrebbero portare a "frenesie di finitura collettive" dovute a tempistiche contingentate che potrebbero portare ad un aumento importante di pericoli alle diverse quote di getto o in luoghi ristretti) risulta, comunque, comprensibile (sottolineando “comprensibile” e “non giustificabile”) in quanto il fornitore di cls. non essendo sempre lo stesso (dipende dalle zone dove è ubicato il cantiere) non sempre è in grado di soddisfare le richieste d'ordine dell'impresa esecutrice. Si potrebbe, quindi, facilmente assistere a telefonate di questo tenore fra il capo cantiere e il fornitore: Capocantiere alle 11,30 del mattino: "mi servono 14 mc. di cls. a 30 N/mm2 (quando non richiesto ancora, ad esempio, a 350 kg.) per domani mattina alle 7,30" Fornitore: "Mi spiace... a quell'ora ho tutte le "macchine" fuori. Posso fornirtelo domani pomeriggio alle 17,15 oppure posso fartelo "saltar fuori" oggi alle 14,30" OVVIAMENTE, per l’impresa diviene impensabile attendere le 17,15 del giorno dopo... così... "Se non puoi domani mattina mandamelo oggi alle 14,30 che vedo di finire quel che devo fare... se mi manca qualcosa dì al tuo pompista di stare attento" Fornitore: "Ricordati che ogni autobetoniera ha a disposizione, per lo scarico, i soliti 15 minuti... oltre i quali scatta il sovrapprezzo" Il capo cantiere accetta e saluta lamentandosi con i soliti 4 porconi. Risultato: L'autobetoniera scarica nel "cestello" dell'autopompa il cls. che viene pompato sul luogo di destinazione dove operatori dell'esecutrice lo spargono a poca distanza dai ferraioli intenti a posare il ferro spesso senza riuscire a legarlo (se non addirittura a posarlo) in modo corretto. In questi casi, a parere, risulterebbe palese la "fornitura e posa" e non la sola “mera fornitura” vista la partecipazione attiva del pompista nelle operazioni di getto attraverso le manovre del braccio nelle diverse zone… però… la circolare del 12-02-16 del MinLav appare fuorviante (rispetto alla personale interpretazione) quando afferma: "La citata Lettera Circolare (ndr: la 10-02-2011), inoltre, impartisce precise indicazioni sulle procedure di sicurezza che deve rispettare il lavoratore dell’impresa fornitrice che, nel caso di “mera” fornitura, “NON DEVE PARTECIPARE IN NESSUN MODO ALLA POSA IN OPERA DEL CALCESTRUZZO e NON DEVE TENERE E MANOVRARE la benna o il secchione O IL TERMINALE IN GOMMA DELLA POMPA... omissis...” Ci si dovrebbe chiedere se qualcuno abbia mai visto un pompista manovrare il braccio dell'autopompa e contemporaneamente riuscire a TENERE E MANOVRARE la "proboscide" (terminale in gomma) durante il getto; cosa quest’ultima sempre vista eseguire da operatori dell’esecutrice non foss’altro per il fatto che gli infortuni gravi e mortali si contano solo tra queste mansioni. Questa indicazione, si presume, abbia offerto la possibilità a Massimiliano Pescosolido Dell'Associazione Tecnico Economica del Calcestruzzo Preconfezionato (ATECAP) di potersi sentire in armonia con la circolare sostenendo che: "La posizione dell’Associazione è allineata a quella che il Ministero del Lavoro ha espresso in diverse circolari esplicative... omissis... Nel caso specifico del pompaggio, OGGETTO DELLA RECENTE SENTENZA della Cassazione, la posa in opera avviene quando il dipendente dell’impresa fornitrice TIENE IL TERMINALE DELLA POMPA ovvero la parte finale in gomma e NON QUANDO MANOVRA IL BRACCIO, che è invece una SEMPLICE OPERAZIONE facente parte delle fasi di CONSEGNA del calcestruzzo mediante pompa... omissis..." In queste condizioni, secondo il Segretario Generale dell’ ATECAP non dovrebbe risultare necessario il POS in quanto tali operazioni rappresenterebbero solamente delle “semplici mere forniture” Dalle carenze organizzative dell’impresa sopra esplicitate si associano, in conseguenza, quelle relative alla carenza o addirittura assenza di riunioni di coordinamento (in caso di mancata previsione nel PSC) e di sopralluoghi da parte del CSE (in caso di obbligatoria designazione) il quale, tuttavia, difficilmente risulta in grado di applicare l’art. 92 c. 1 nelle sue lett. e) ed f). In primo luogo la lett. f): sospensione dei lavori Non è così frequente trovarsi di fronte ad un “pericolo grave, imminente e direttamente riscontrato”. Tutte e tre le condizioni devono presentarsi per essere applicata la lett. f) durante una fase/sottofase di getto e non certo può essere applicata questa lettera nel caso di assenza del POS della fornitrice. L’assenza di questo documento, certamente importante, non è sinonimo di “pericolo grave, imminente e direttamente riscontrato”… un operatore, ad esempio, si fa male se cade dall’alto per la mancanza di un parapetto non per la mancanza di un documento. Ci si può trovare di fronte un’impresa senza POS che sta lavorando in sicurezza… e, purtroppo, viceversa. In secondo luogo la lett. e): segnalazione al committente/rdl previo…omissis… Nel caso in cui la fornitrice non avesse ottemperato all’assodato obbligo della redazione del POS, al CSE spetterebbe di intervenire con la lett. e). L’assenza del POS rientra, infatti, nelle “inosservanze” del Datore di Lavoro che il CSE è tenuto a verificare. Dice, infatti, l’art. 92 c. 1 lett. e). “segnala al committente o al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle imprese e ai LA interessati, le INOSSERVANZE alle disposizioni degli articoli… 96 …omissis…”. Il 96, a sua volta, afferma al c. 1 lett. g): “(ndr: i DdL) redigono il piano operativo di sicurezza… omissis…” i Datori di lavoro che non ottemperano a questo, COMMETTONO UN’INOSSERVANZA. Ma, prima che l’iter procedurale della lett. e) venga a conclusione… il getto è terminato. OVVIO E SCONTATO che se durante un getto (soggetto a POS) nei confronti del quale il CSE ha l’obbligo di applicare la lett. e) riscontrasse comportamenti nell’esecuzione rientranti nel “pericolo grave, imminente e direttamente riscontrato, l’obbligo dell’applicazione della lett. f) –sospensione dei lavori- DIVIENE OBBLIGATORIA CONSEGUENZA. La difficoltà per un CSE di interrompere un getto in atto (al di là del sicuro malumore e possibili conseguenze del committente/rdl) quasi mai risulta tecnicamente applicabile; il fermo e la ripresa (dopo quanto tempo non è dato di saperlo), comprometterebbe di sicuro le funzioni della parte strutturale dell’opera con conseguenze inimmaginabili ma, soprattutto e certamente, con situazioni di pericoli maggiori rispetto a quelli del lasciarli continuare. NON CERTO NELLE SITUAZIONI DI CUI ALLA SENTENZA Reati d’evento o mortali che avvengono in queste circostanze denotano, a parere, solamente una conduzione di cantiere pericolosamente superficiale. Non può essere concepibile una sola fase/sottofase di lavoro in prossimità di linee elettriche in attesa della disattivazione della linea. Averne richiesto la disattivazione significa non avere nessuna possibilità di lavorare in sicurezza. |
Autore: Simone Bianchi | 26/06/2017 (15:24:20) |
Dentro a queste precisazioni mi sono perso e ritrovato più volte, ma non trovo risposta al mio quesito. Sull'organizzazione della logistica di cantiere, la precisione temporale e la lungimiranza organizzativa sfonda una porta aperta. Preoccupa molto di più invece la questione burocratica correlata al tema. Chiedere la redazione di un Piano Operativo di Sicurezza all'impresa fornitrice di calcestruzzo non sempre risolverà il problema. Quante di queste avranno nel loro organico anche solo un dipendente autista? E quanti "padroncini" verranno effettivamente informati e formati su gli specifici documenti? In sintesi, a mio personale parere, molto meglio un PSC dettagliato, organico e attinente al cantiere a cui può essere collegato un altrettanto dettaglio e specifico POS dell'impresa Affidataria ed una corretta applicazione della Procedura Ministeriale. L'importanza è che tali documenti vengano "spulciati" ed applicati alla lettera, con cognizione di causa. |
Rispondi Autore: Cristian Capuani - likes: 0 | 25/06/2017 (22:34:35) |
Grazie Lino Emilio, gran bel approfondimento che condivido in pieno. |
Rispondi Autore: Giorgio Gallo - likes: 0 | 26/06/2017 (01:49:27) |
Concordo con Cristian. Grazie Lino. G. |
Rispondi Autore: Lino Emilio Ceruti - likes: 0 | 26/06/2017 (17:57:06) |
Simone Bianchi, la gestione "burocratica" relativa al tipo di documentazione con i corretti contenuti per un getto di cls. utilizzando autobetoniera, autobetoniera + autopompa, autobetonpompa, viste le oggettive difficoltà organizzative e di controllo a disposizione, non è cosa semplice e, a parere e purtroppo, anche attraverso le documentazioni da lei indicate. Cerco di argomentarlo. Iniziando dal PSC: Lei sa bene che quando il CSP redige il cronoprogramma dei lavori all'interno del PSC (con l'individuazione, l'analisi e l'eliminazione o riduzione dei rischi interferenziali dovuti, fra le altre cose, alle fasi/sottofasi di lavoro) LO FA SAPENDO CHE PUO' SOLO INVENTARLO. Solo per il fatto che nessun CSP ha la sfera di cristallo per sapere mesi e mesi prima come potrà essere esattamente il cantiere, in quale stato d'avanzamento, con quali presenze, quali interferenze... il giorno tal del tali del mese tal dei tali dell'anno successivo all'inizio dei lavori. Ma, la Legge lo richiede e i CSP l’accontentano inventandolo. In queste situazioni, risulta estremamente difficile (impossibile) dettagliare un PSC con una contestualizzazione precisa per ogni getto da eseguire. Appare necessario, allora, attivare le cosiddette riunioni di coordinamento ogni volta che dovrà essere realizzato un getto al fine di verificare la situazione del cantiere, le lavorazioni in atto, quelle che già presentano rischi interferenziali ed aggiungere, a seguito della loro individuazione e analisi, quei rischi propri d'impresa esecutrice e fornitrice (quest'ultima se obbligata) che in quello specifico contesto potrebbero divenire interferenziali. Fino ad allora il CSE ha a disposizione solo il POS dell'impresa esecutrice (quella che ordina il cls) contenente solo i SUOI RISCHI PROPRI d'impresa e non quelli relativi alla fornitura (mera fornitura) o fornitura e posa del cls. che da un punto di vista contrattuale non potrà che essere un subappalto (preventivamente autorizzato) oltre a dover tener presente che, nel caso di fornitura e posa, l'impresa del cls. non sarà solamente FORNITRICE ma diverrebbe impresa ESECUTRICE. ... e questo, ammesso che in cantiere arrivino delle attrezzature di scarico della fornitrice del cls. con un proprio dipendente. Nel caso, invece, la fornitrice del cls. utilizzasse i famosi "padroncini" non potrebbe essere classificata neppure "impresa ESECUTRICE" e, al di là dell'impegno del MinLav di licenziare gli allegati della circolare 10-02-2011 non sarebbe, comunque, tenuta all'obbligo della redazione del POS in quanto tale obbligo ricadrebbe in capo al Datore di Lavoro (DdL) delle sole “esecutrici” (art. 89 c. 1 lett. i-bis) i "padroncini" vengono identificati dall'81/08 come Lavoratori Autonomi (LA) e come tali spetterà al CSE (se designato) dare quelle indicazioni necessarie a svolgere le loro lavorazioni in sicurezza Ma, se il CSE non fosse stato designato? Oggi il mio fegato è sereno e non vorrei aumentare il sanguinamento della piaga. Pertanto, solo nel momento in cui l’impresa esecutrice evidenzia l’intenzione di eseguire un getto, la riunione di coordinamento potrà essere fatta ma… si riuscirà ad avere il tempo di organizzarla prima di vedere le autobetoniere / autopompe entrare in cantiere per i motivi di organizzazione e di difficoltà procedurali in capo al CSE illustrati nel precedente intervento? A parere no e, infatti, nessun collega (purtroppo) risulta in grado di affermare che ci riesce. (se, però, qualche fortunato potesse garantirci positivi risultati esperienziali e potesse illuminarci, gliene saremmo certamente grati.) Ed è conseguentemente ovvio che gli allegati (non dico il POS in caso di “fornitura e posa” da parte della ditta fornitrice con propri dipendenti) se ne vanno a ramengo o meglio restano negli uffici della ditta fornitrice. Questo significa che i fornitori di cls. rappresentano delle mine vaganti in cantiere? Certamente no. Ma per rendere inservibile la “spoletta d’innesco” occorre rassegnarsi e cercare di fare quello che l’intera normativa prevenzionale sottolinea in continuazione come obbiettivo da raggiungere: Sicurezza durante le lavorazioni. Personalmente è questo che cerco. Ciò che faccio in questi frangenti non è conforme alla Legge… è conforme al suo obbiettivo: SICUREZZA DURANTE QUESTE LAVORAZIONI attraverso la VALUTAZIONE DEL RISCHIO. |
Rispondi Autore: Stefano Fiori - likes: 0 | 04/07/2017 (15:09:57) |
Mi risultano strane le parole dell'ing Porreca quando dice, "Finalmente, viene da dire nel leggere questa sentenza della Corte di Cassazione ...." ...Che a chiarire le norme debba essere la Corte di Cassazione, mi fa veramente piangere! La determinazione di un reato deve essere ben enunciato da una legge e non chiarito da una sentenza! Finché così sarà NON potremo dire di avere una giustizia giusta! Peraltro le norme decretano in modo chiaro che in ambito penale la "non chiarezza" della norma, non può portare ad una colpa!. Non voglio fare il giurista, per questo lascio il mestiere ad avvocati e magistrati, competenti in materia. Evidenzio solo che la sentenza si riferisce ad un periodo in cui era parere comune tra i tecnici che l'impresa incaricata della fornitura del CLS tramite betompompa dovesse redigere il POS. E' chiaro che dovendo giudicare un caso di infortunio mortale, in assenza di POS ed in assenza di qualsiasi altra misura di coordinamento, la suprema corte non poteva che ribadire i concetti espressi. Oggi però non possiamo ignorare le indicazioni del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, "nota 10 febbraio 2016, n. 2597 - Redazione del POS per la mera fornitura di calcestruzzo" che sull'argomento sembra aver fatto sufficiente chiarezza. Quindi, a mio personale parere, la sentenza non ha chiarito un bel niente! Anzi! |