L’esercizio dell’azione penale in caso di violazioni del D. Lgs. 758/1994
A più di venticinque anni dalla sua entrata in vigore il D. Lgs. 19/12/1994 n. 758, contenente le modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro, è ancora oggetto di precisazioni e di chiarimenti sulla sua applicazione da parte della Corte di Cassazione che spesso è intervenuta ad annullare sentenze emanate dai Tribunali in quanto risultate non conformi alle disposizioni impartite dal decreto legislativo medesimo.
La violazione della procedura amministrativa estintiva prevista dal D. Lgs. n. 758/1994, ha precisato la suprema Corte, non può condizionare l'esercizio dell'azione penale; un contrario orientamento appare infatti incompatibile con il principio di obbligatorietà dell'azione penale. Del resto, in caso di mancato perfezionamento della procedura prevista dal citato decreto legislativo, il contravventore può ben fruire dell'estinzione del reato in sede giudiziaria nella stessa misura agevolata.
E’ quello che in questa sentenza ha ribadito la Corte di Cassazione chiamata a decidere su di un ricorso presentato dal legale rappresentante di una società che era stato contravvenzionato per avere omesso di richiedere il rilascio del certificato di prevenzione incendi e che aveva sostento che nel caso in esame fosse improcedibile l’azione penale. Sull’obbligatorietà dell’azione penale si era già pronunciata in analogo modo la suprema Corte in una precedente sentenza, la n. 3671 del 25 gennaio 2018 della III Sezione penale, commentata dallo scrivente e pubblicata sul quotidiano del 16/4/2018, nella quale la Cassazione aveva rivisto l’orientamento contrario seguito in precedenza in più espressioni della stessa Corte (da ultimo con la sentenza della Sez. III n. 37228/2016 del 15/9/2015).
Il caso, la condanna e il ricorso in cassazione
Il Tribunale ha dichiarata la penale responsabilità del legale rappresentante di una società per avere omesso di richiedere il rilascio del certificato di prevenzione incendi. Avverso la sentenza il suo difensore ha proposto ricorso per cassazione deducendo alcune motivazioni. Lo stesso si è dapprima lamentato che il Tribunale non aveva valutata una sua memoria difensiva depositata avanti al Tribunale nella quale aveva eccepito di non avere avuto l’avviso di poter ricorrere all'oblazione ai sensi del D Lgs n. 758 del 1994, tenuto conto del disposto di cui all'art. 301 del D. Lgs. n. 81 del 2008 che avrebbe dovuto trovare applicazione in relazione alla contestazione di cui all'art. 20 comma 1 del D. Lgs. n. 139/2006, punita con una pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda. Come altra motivazione il ricorrente si è lamentato perché non era stata pronunciata la sentenza di non doversi procedere per la mancanza di condizione di una procedibilità dell'azione penale ai sensi del D. Lgs. n. 758 del 1994. Il Procuratore generale, da parte sua, ha chiesto in udienza il rigetto del ricorso.
Le decisioni della Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione ha ritenuto non fondato il ricorso per quanto riguarda il primo motivo. L'omessa considerazione da parte del giudice di una memoria difensiva, ha infatti chiarito la Corte, non comporta, per ciò solo, una nullità per violazione del diritto di difesa, ma può determinare un vizio della motivazione per la mancata valutazione delle ragioni nella stessa. Detta omissione può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato per vizio di motivazione laddove questa risulta viziata per la mancata considerazione di quanto illustrato con la memoria, in relazione alle questioni devolute con l'impugnazione.
Con riferimento al secondo motivo di ricorso con il quale l’imputato ha sostenuto la improcedibilità dell'azione penale per mancanza delle condizioni di procedibilità ai sensi del D. Lgs. n. 758 del 1994 la Corte suprema ha sottolineato che la giurisprudenza di legittimità, modificando un precedente orientamento, ha stabilito, con riferimento a una serie di sentenze pregresse, che la violazione della procedura amministrativa da parte dell'organo di vigilanza non sia causa di improcedibilità dell'azione penale
L'art. 20 del D. Lgs. n. 758 del 19 dicembre 1994, ha ricordato la Sez. III, le cui disposizioni sono applicabili in virtù dell'espresso richiamo contenuto nell'art. 301 de. D. Lgs. n. 81 del 2008 secondo cui "alle contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro previste dal presente decreto, nonché da altre disposizioni aventi forza di legge, per le quali sia prevista la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero la pena della sola ammenda, si applicano le disposizioni in materia di prescrizione ed estinzione del reato di cui agli articoli 20, e seguenti, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758", che prevede, ai commi 1 e 2, che "allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l'organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all'art. 55 del codice di procedura penale, impartisce al contravventore un'apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario (comma 1); prescrizione con la quale l'organo può imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro (comma 3).
A mente dell'art. 21 del D. Lgs. n. 758 del 1994, rubricato "verifica dell'adempimento", entro e non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza verifica se la violazione è stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione (comma 1). Quando risulta l'adempimento alla prescrizione, l'organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione accertata. Entro centoventi giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza comunica al Pubblico Ministero l'adempimento alla prescrizione nonché l'eventuale pagamento della predetta somma (comma 2) quando, invece, risulta l'inadempimento alla prescrizione, l'organo di vigilanza ne dà comunicazione al Pubblico Ministero e al contravventore entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione (comma 3).
Ai sensi del successivo art. 23 inoltre, ha ricordato la suprema Corte, rubricato "sospensione del procedimento penale", il procedimento penale per la contravvenzione è sospeso dal momento dell'iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen., fino al momento in cui il Pubblico Ministero riceve una delle comunicazioni di cui all'art. 21, commi 2 e 3. Infine, secondo il disposto di cui all'art. 24, rubricato "estinzione del reato", se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dall'art. 21, comma 2, la contravvenzione si estingue e il Pubblico Ministero richiede l'archiviazione della notitia criminis.
Muovendo da un'interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina dettata dagli artt. 20 ss. del D. Lgs. n. 758/1994, ha così proseguito la Sez. III, anche in relazione all'art. 112 della Costituzione, è stato affermato che la violazione della procedura amministrativa estintiva non può condizionare l'esercizio dell'azione penale. Il contrario orientamento, da ultimo affermato dalla sentenza della Sezione III n. 37228 del 15/09/2015 secondo cui «in tema di reati contravvenzionali in materia di legislazione sociale e lavoro, l'omessa fissazione da parte dell'organo di vigilanza di un termine per la regolarizzazione, come previsto dall'art. 20, comma primo, del D. Lgs. 19 dicembre 1994 n. 758, è causa di improcedibilità dell'azione penale», appare infatti incompatibile con il principio di obbligatorietà dell'azione penale. Ma non solo, in caso di mancato perfezionamento della procedura il contravventore ben può fruire dell'estinzione del reato in sede giudiziaria nella stessa misura agevolata.
Infatti, come ricordato nella sentenza n. 3671 del 25 gennaio 2018 della III Sezione penale, in tema di sicurezza ed igiene del lavoro, alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 19 e seguenti del D. Lgs. n. 758/1994, l'organo di vigilanza deve ammettere il contravventore al pagamento della sanzione amministrativa, con effetto estintivo del reato contravvenzionale, anche in caso di tempestiva eliminazione delle sue conseguenze dannose o pericolose con modalità diverse da quelle stabilite nella prescrizione di regolarizzazione e in motivazione, la Corte ha altresì escluso che la violazione di tale obbligo da parte dell'autorità di vigilanza sia causa di improcedibilità dell'azione penale, potendo l'imputato estinguere il reato mediante oblazione in sede giudiziaria ai sensi dell'art. 24, comma 3, del citato decreto legislativo.
Quanto al caso in esame, ha così concluso la Corte di Cassazione, il ricorrente non ha dimostrato, né con la memoria difensiva né con il ricorso per cassazione, di avere richiesto e ottenuto il certificato di prevenzione antincendio, sicché esclusa l'improcedibilità e la possibilità di fruire dell'estinzione del reato mediante oblazione in sede giudiziaria, per assenza dei presupposti, le censure presentate nel ricorso non sono risultate fondate. Pertanto, in definitiva, la Cassazione ha rigettato il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Gerardo Porreca
I contenuti presenti sul sito PuntoSicuro non possono essere utilizzati al fine di addestrare sistemi di intelligenza artificiale.