Gli elementi di distinzione fra il regime del distacco e del subappalto
Riguarda il caso di un distacco improprio questa sentenza della Corte di Cassazione chiamata a decidere su di un ricorso presentato dal datore di lavoro di un’impresa subappaltatrice che per difendersi dall’accusa di omicidio colposo per l’infortunio subito da un suo dipendente aveva sostenuto che al momento dell’evento infortunistico lo stesso operava quale distaccato e non per conto della sua impresa.
La suprema Corte ha colto l’occasione per evidenziare la distinzione che c’è fra il regime del distacco e quello del subappalto e, nel rigettare il ricorso ha sottolineato come la posizione di dipendente dell’infortunato fosse emersa dalla lettura del contratto che legava il subappaltatore con la sua committente a seguito della quale era emerso che lo stesso si era impegnato a svolgere i lavori “con le proprie attrezzature”.
La Cassazione ha così confermata la decisione assunta dalla Corte di Appello non ritenendo applicabile l’art. 3 comma 6 del D. Lgs. n. 81/2008, riguardante i lavoratori distaccati, e ha fatto presente che comunque, ammesso pure che venisse riconosciuto il distacco del lavoratore, il D. Lgs. n. 81/2008, fermo restando gli obblighi di sicurezza posti a carico del distaccatario, non esonera totalmente il distaccante dall'obbligo di garantire l'incolumità del proprio dipendente avendo imposto allo stesso l’obbligo di formarlo e informarlo sui rischi specifici connessi ai luoghi di lavoro presso i quali viene distaccato e su quelli ai quali sarà esposto nello svolgimento delle sue mansioni.
Il fatto, il ricorso per cassazione e le motivazioni
La Corte di appello, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale, ha rideterminata la pena inflitta al legale rappresentante di una società in quella di 9 mesi di reclusione, riconosciuta l'ulteriore attenuante del risarcimento del danno in rapporto di equivalenza con le ritenute aggravanti. All’imputato era stato contestato il delitto di omicidio colposo, in concorso con altri coimputati giudicati separatamente, per avere, quale datore di lavoro, cagionato il decesso di un lavoratore dipendente avvenuto in seguito a delle lesioni gravissime subite al torace nel corso delle operazioni che lo stesso stava svolgendo all'interno di un capannone industriale della società committente consistite nel movimentare ed accatastare con un carro ponte alcune putrelle in ferro, del peso di 4-5 tonnellate ciascuna, che cadendo lo avevano schiacciato. All'imputato era stato rimproverata la mancata valutazione dei rischi in relazione alla lavorazione indicata, nonché il difetto di cooperazione con l'impresa committente nell’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi incidenti sull’attività lavorativa dell’infortunato e la mancata predisposizione delle misure necessarie alla salvaguardia della sua tutela in relazione all'utilizzo del carroponte, oltre alla omessa sua formazione e informazione.
Avverso la pronuncia di condanna della Corte di Appello l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore adducendo alcune motivazioni. Lo stesso, in particolare, ha posto l'accento sulla natura del rapporto contrattuale che lo legava all’impresa appaltante, sostenendo che, nel caso in esame, dovesse trovare applicazione l'istituto del distacco dei lavoratori disciplinato dall'art. 30 del D. Lgs. n. 276/2003. Secondo l’imputato era stato di fatto realizzato un trasferimento del proprio potere organizzativo e direttivo in capo alla distaccataria ponendo il lavoratore alle dipendenze e sotto la direzione del suo datore di lavoro il quale ne riceveva le prestazioni per cui secondo l’art. 30 del D. Lgs. n. 276/2003, tutti gli obblighi di prevenzione e protezione erano a totale carico del distaccatario.
Il ricorrente ha altresì prospettata una dinamica alternativa di svolgimento dell'infortunio che non sarebbe stata adeguatamente valutata dalla Corte territoriale. Nessuno, secondo lo stesso, aveva visto l’infortunato adoperare il carroponte e i testimoni, i tecnici ed i consulenti avevano concordemente dichiarato che era impossibile che un solo uomo potesse manovrare travi di notevoli dimensioni come quelle prodotte nello stabilimento poggiandole su una instabile base di legno. Più plausibile era da ritenere che il lavoratore, dopo aver terminato il lavoro di saldatura di sua competenza, fosse stato chiamato ad aiutare a spostare le travi da uno dei carpentieri abilitati all'uso del carroponte.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato rigettato dalla Corte di Cassazione che ha ritenute manifestamente infondate le motivazioni dedotte dal ricorrente. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, correttamente i giudici di appello avevano ritenuto non applicabile l’art. 3 del D. Lgs. n. 81/2008, poiché dall'analisi del contenuto del contratto intervenuto tra le aziende appaltatrice e subappaltatrice non era emerso alcun elemento dal quale si potesse desumere che fosse avvenuto un "distacco" propriamente detto del lavoratore.
“L'istituto del distacco evocato in maniera inappropriata in relazione al caso in esame”, ha tenuto infatti a precisare la suprema Corte, “non si traduce in un totale esonero, per il datore di lavoro distaccante, dall'obbligo di garantire l'incolumità del proprio dipendente nei luoghi di lavoro presso i quali è distaccato. Invero, l'art. 3, comma 6, d.lgs. 81/2008, nel prevedere che tutti gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico del distaccatario, fa comunque salvo l’obbligo a carico del distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato". Pertanto, tutte le argomentazioni difensive enunciate dal ricorrente hanno tratto spunto da una premessa errata dell'avvenuto distacco del dipendente.
Parimenti inammissibili ha ritenuto la Sez. IV l’altra motivazione addotta dal ricorrente riguardante una dinamica alternativa di svolgimento dell’infortunio. La Cassazione infatti, ha precisato la Sez. IV, non è giudice delle prove, pertanto non può sovrapporre la propria valutazione a quella espressa dai Giudici di merito, essendo chiamata a stabilire, nell'ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato, se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano dato esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, se nell'interpretazione del materiale istruttorio abbiano correttamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire una giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso quindi è conseguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
Gerardo Porreca
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Rispondi Autore: Dani Mass - likes: 0 | 29/06/2020 (07:29:21) |
Non capisco, il rischio del carroponte era legato al luogo di lavoro ospitante, come è possibile prevedere il rischio di una azienda diversa? |
Rispondi Autore: Giovanni Bersani - likes: 0 | 29/06/2020 (19:13:39) |
Sig. Dani Mass: senza poterci chiarire troppo le idee nel dettaglio poiché l'articolo è sintetico, il testo indica che le cause della condanna sono la mancata valutazione dei rischi della lavorazione specifica, e il mancato coordinamento con l'ospitante. Parrebbe infatti che tale lavorazione sia stata giudicata 'propria' del lavoratore deceduto e non 'esterna' a lui (come chiesto invece dalla difesa), pertanto con tale premessa vale giustamente anche l'imputazione di assenza di valutazione, e non solo di mancato coordinamento. |