Come individuare la responsabilità penale per un infortunio sul lavoro
L'individualizzazione della responsabilità penale impone di verificare non soltanto se vi sia stata la violazione di una norma antinfortunistica ma anche se chi l’ha commessa abbia potuto prevedere con giudizio "ex ante" che potesse causare un evento e quindi attivarsi per evitarlo. Il giudice pertanto dovrà necessariamente verificare se l'evento derivato rappresenti o meno la "concretizzazione" del rischio, che la regola cautelare mirava a prevenire e, se tale evento dannoso, fosse o meno prevedibile da parte dell'imputato.
E’ in applicazione di tale principio che la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da un direttore di un cantiere e dirigente di un’impresa edile, condannato nei due primi gradi di giudizio per il reato di lesioni aggravate dalla violazione delle norme di sicurezza, ritenuto responsabile per l’infortunio occorso a un lavoratore caduto dal tetto di un capannone durante la installazione di un pannello di copertura. A carico dell'imputato, erano stati individuati profili di colpa generica e specifica, non avendo lo stesso imposto al lavoratore di agganciare l'imbracatura alla “linea vita” durante la lavorazione in quota ed avendo altresì violato il POS che prevedeva di non rimuovere la linea vita dal tetto prima del completamento dei lavori.
La suprema Corte ha ritenute, infatti, destituite di fondamento le lamentele sollevate dal ricorrente avendo ritenuto i giudici di merito che quanto accaduto fosse stato prevedibile. Le linee vita installate per l'attività che stava svolgendo il lavoratore, infatti, dovevano essere lasciate sul posto fino a completamento dei lavori per cui era prevedibile una caduta dall'alto in seguito alla loro rimozione.
Il fatto, le condanne, il ricorso per cassazione e le motivazioni.
La Corte di Appello ha confermata la pronuncia di responsabilità emessa a carico di un direttore di cantiere e dirigente di un’impresa edile per il reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. L’infortunio era occorso a un lavoratore il quale, effettuando dei lavori in quota, era caduto dal tetto di un capannone durante la installazione di un pannello di copertura. A carico dell'imputato erano stati individuati profili di colpa generica e specifica, non avendo lo stesso imposto al lavoratore di agganciare l'imbracatura alla linea vita durante la lavorazione in quota ed avendo violato il POS, che prevedeva di non rimuovere la linea vita dal tetto prima del completamento dei lavori.
Avverso la pronuncia di condanna l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, affidando le proprie deduzioni ad alcune motivazioni. Lo stesso ha lamentata innanzitutto una erronea applicazione degli artt. 40 e 41 del codice penale per non avere i giudici tenuto conto della condotta abnorme tenuta dal lavoratore. Le testimonianze rese dalle persone escusse nel dibattimento di primo grado, infatti, avrebbero reso palese che la caduta dall'impalcatura e le conseguenti lesioni personali erano dipese in via esclusiva da un comportamento dello stesso lavoratore imprevedibile e consapevolmente inadempiente delle prescrizioni datoriali in materia di sicurezza sul lavoro, ragion per cui non poteva sussistere alcuna colpa da parte sua. Il P.M. nel giudizio di primo grado, del resto, ha precisato l’imputato, aveva chiesto la sua assoluzione sostenendo, al riguardo, che la condotta negligente, imperita e imprudente del lavoratore era stata tale da escludere il nesso di causalità tra la condotta addebitata all’imputato stesso e l'evento lesivo; ciò in quanto l'obbligo di vigilanza non determina la necessità di un controllo e di una vicinanza continua al lavoratore.
Del tutto corretto era apparso infatti tale assunto, atteso che l'istruttoria svolta in primo grado aveva reso lampante che il lavoratore infortunato, allorquando è salito sull'impalcatura "soltanto per mettere due viti in più", pur indossando l'apposita cintura-imbracatura, aveva deciso spontaneamente di non agganciarsi ai dispositivi di sicurezza, non ritenendolo necessario ed in ogni caso per perdere meno tempo. A ciò era inoltre da aggiungersi, ha evidenziato il ricorrente, che aveva comunque messo il lavoratore e gli altri dipendenti nelle condizioni di poter operare in altezza in tutta sicurezza, dotando il cantiere delle varie misure necessarie, così come confermato anche dagli esiti delle indagini effettuate dall'ASL competente. Era quindi del tutto imprevedibile che il lavoratore decidesse, per adempiere più velocemente al suo compito, di non assicurare l'imbracatura ai punti vita ed era inesigibile la pretesa di una sorveglianza continuativa da parte sua.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione che lo ha pertanto rigettato. La suprema Corte ha ritenuto l’assunto del giudice d'appello corretto e conforme ai principi più volte affermati in proposito dalla Corte di legittimità, ampiamente richiamati anche nella sentenza impugnata. E' infatti orientamento costante in materia di infortuni sul lavoro, ha precisato la stessa, quello in base al quale la condotta colposa del lavoratore infortunato non possa assurgere a causa sopravvenuta, da sola sufficiente a produrre l'evento, quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore presenti caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute. Pertanto, può definirsi abnorme, ha sottolineato la Sezione IV, soltanto la condotta del lavoratore che si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e sia assolutamente estranea al processo produttivo o alle mansioni che gli siano state affidate.
A ciò deve aggiungersi, ha ribadito ancora la suprema Corte, che la condotta imprudente o negligente del lavoratore, in presenza di evidenti criticità del sistema di sicurezza approntato dal datore di lavoro non potrà mai spiegare alcuna efficacia esimente in favore dei soggetti destinatari degli obblighi di sicurezza. Ciò in quanto, tali disposizioni, secondo orientamento conforme della giurisprudenza, sono dirette a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua colpa, dovendo, il datore di lavoro, prevedere ed evitare prassi di lavoro non corrette e foriere di eventuali pericoli. Nel caso in esame, in particolare, è risultato evidente che il comportamento del lavoratore non potesse essere inquadrato nell'ambito delle condotte connotate da abnormità ed esorbitanza, come evidenziato in maniera appropriata dalla Corte territoriale, non essendosi realizzato, tale comportamento, in un ambito avulso dal procedimento lavorativo a cui era stato addetto.
E’ vero, ha aggiunto la Sezione IV, che l’infortunato si era assunto tutte le responsabilità asserendo che era stata sua l'iniziativa di non agganciarsi per finire in fretta il lavoro ma la Corte territoriale ha richiamato l'esito del sopralluogo della ASL effettuato il giorno dell'infortunio, con relativo corredo fotografico, che aveva consentito di accertare l'assenza delle linee vita la cui mancanza, peraltro, era stata rilevata anche durante l'ispezione di alcuni giorni prima. I rilievi della ASL erano, del resto, confortati dalle dichiarazioni di altro dipendente che aveva riferito che le linee-vita erano state rimosse lo stesso giorno perché non più necessarie, atteso il completamento della copertura. Nella sentenza, infatti, viene censurata la intempestiva rimozione delle linee vita prima che il lavoro sul tetto fosse veramente completato e la loro assenza, in una fase delicata e pericolosa dell'attività, avrebbe richiesto una rigorosa vigilanza da parte del datore di lavoro.
Quanto alla prevedibilità dell'evento, è indubbio, ha precisato la suprema Corte, che l'applicazione del principio di colpevolezza, escluda qualunque automatismo rispetto all'addebito di responsabilità colposa a carico del garante. Sotto questo profilo, si impone la verifica, in concreto, sia della violazione, da parte del soggetto agente, della regola cautelare da osservarsi, sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso, che la regola cautelare mira a prevenire, secondo il principio della cd. "concretizzazione" del rischio.
L'individualizzazione della responsabilità penale, pertanto, “impone di verificare, non soltanto se la condotta abbia concorso a determinare l'evento (aspetto che si risolve nell'accertamento della sussistenza del nesso causale) e se la condotta sia stata caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare, ma anche se l'autore della stessa abbia potuto prevedere, con giudizio ‘ex ante’ quello specifico sviluppo causale ed attivarsi per evitarlo”. In tale ambito ricostruttivo, ha così concluso la Corte di Cassazione, oltre all'accertamento della violazione della regola cautelare e della sussistenza del nesso di condizionamento tra la condotta e l'evento, il giudice deve necessariamente verificare se l'evento derivato rappresenti o meno la ‘concretizzazione’ del rischio, che la regola cautelare mirava a prevenire e, se tale evento dannoso, fosse o meno prevedibile, da parte dell'imputato.
Seguendo un ragionamento immune da vizi logici e ossequioso dei principi sopraindicati, i giudici di merito hanno in definitiva ritenuto che l’evento verificatosi fosse prevedibile: le linee vita, previste per l'attività che stava svolgendo il lavoratore, dovevano essere lasciate sul posto fino a completamento dei lavori per cui era prevedibile una caduta dall'alto in seguito alla loro rimozione.
Per quanto sopra detto la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’imputato e ha condannato lo stesso al pagamento delle spese processuali.
Gerardo Porreca
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