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Come alimentare gli apparati Internet of Things

Come alimentare gli apparati Internet of Things
Adalberto Biasiotti

Autore: Adalberto Biasiotti

Categoria: Security

25/06/2018

Con l’acronimo IoT si fa riferimento a piccoli apparati poco più grandi di un francobollo, che trasmettono e ricevono dati via Internet. Le piccole dimensioni rendono difficile l’alimentazione di questi apparati, ma esistono attraenti soluzioni.


Le previsioni di mercato parlano di miliardi di apparecchi IoT, che cominceranno a funzionare nei prossimi anni. Questi apparati vanno da dispositivi che vengono applicati sul corpo umano, per monitorare in permanenza funzioni importanti, sino a sensori ambientali, che tengono sotto controllo la temperatura e umidità, trasmettono questi dati alle centraline di comando e controllo degli impianti di climatizzazione e quindi ottimizzano le condizioni ambientali.

 

Fare un elenco di tutte le possibili applicazioni di questi apparati comporterebbe la scrittura di pagine e pagine di esempi, ma credo che ormai i lettori siano già familiari con le tecniche di produzione ed utilizzo di questi sensori. Alcuni di questi sensori hanno dimensioni estremamente piccole, poco più grandi di un francobollo e si pone il problema di alimentare questi dispositivi. L’utilizzo di batterie crea sicuramente dei problemi per la manutenzione, nel tempo, ed ecco perché molte aziende specializzate, soprattutto Startup, hanno cominciato ad individuare nuove possibili soluzioni, che possono alimentare questi piccolissimi dispositivi, sfruttando l’energia presente nell’ambiente.

 

Questa tecnica, che in inglese viene chiamata energy harvesting, vale a dire mietitura di energia, sfrutta brillanti ed innovativi modi per catturare l’energia presente nell’ambiente, che in qualche modo viene raccolta e trasmessa al dispositivo da alimentare.

Ad oggi sono tre le categorie principali di cattura di energie:

  • cattura di energia solare,
  • cattura di energia cinetica,
  • cattura di energia termica.

 

Nel primo caso l’energia della luce ambiente può essere convertita in energia elettrica, utilizzando delle minuscole celle fotovoltaiche. È evidente che queste applicazioni sono tanto più efficienti, quanto minore è l’assorbimento energetico della circuiteria elettronica del sensore ed ecco perché le aziende specializzate lavorano sui due fronti.

 

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L’energia cinetica viene invece prodotta per i movimenti del supporto, sul quale ad esempio è fissato il sensore. Movimenti laterali, di rotazione e di vibrazione generano energia elettrica, che può essere catturata grazie a sensori piezoelettrici o elettromagnetici. Ad esempio, questa soluzione non è utilizzabile per sensori fissati su un muro, mentre invece è utilissima per sensori fissati su autovetture o addirittura sul corpo umano.

 

Infine, la terza modalità di cattura e conversione di energia fa riferimento all’energia termica. In questo caso i convertitori di energia posti a bordo del sensore funzionano sul principio di Peltier, che si basa sulla produzione di energia elettrica, dovuta ad una differenza di temperatura fra due parti della stessa cella. Questa applicazione va bene anche per sensori fissi al muro, ad esempio, in quanto si può sfruttare la differenza di temperatura fra il muro, sul quale è fissato il sensore, e l’aria circostante.

 

In quasi tutti i casi occorre utilizzare dei sistemi di accumulo dell’energia, perché l’energia prodotta con queste tecnologie può avvenire in modo graduale e distribuito nel tempo, oppure in maniera brusca, come ad esempio quando una cella solare viene investita da un’intensa luce.

Un’altra tecnica che occorre mettere a punto, in fase di progettazione del sensore, riguarda la riduzione al minimo della corrente di riposo utilizzata dall’elettronica del sensore stesso, aumentando l’assorbimento di energia solo quando il sensore viene chiamato in causa per trasmettere i dati, che ha accumulato.

 

Oggi si sono raggiunti livelli assolutamente incredibili, per cui le correnti di riposo di alcuni sensori possono raggiungere i 100 nanoamperes, con un miglioramento di 10.000 volte rispetto a tecniche precedentemente utilizzate.

 

Anche la messa a punto di speciali protocolli, che possono trasmettere rapidamente i dati accumulati dal sensore, rappresenta un aspetto che migliora l’efficienza energetica del sensore stesso. Se infatti non si presta attenzione a questi aspetti, utilizzando i normali protocolli per trasmettere un dato di un sensore, lungo un byte, occorre aggiungere la bellezza di 48 byte di dati del protocollo di trasmissione.

 

Sono sfide alle quali stanno lavorando alcune delle menti più brillanti del pianeta e sono certo che risultati sempre più efficienti ed efficaci potranno essere raggiunti a breve termine.

 

 

Adalberto Biasiotti

 



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