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Come determinare il valore di un reperto museale

Come determinare il valore di un reperto museale
Adalberto Biasiotti

Autore: Adalberto Biasiotti

Categoria: Security

22/07/2020

I security manager delle strutture museali, possono essere talvolta chiamati in causa per determinare il valore di un reperto museale ai fini fini assicurativi, ma anche per determinare il livello delle misure di sicurezza che proteggono questo reperto.

I security manager sanno bene che, fra le tante misure di sicurezza che possono proteggere un reperto museale, vi è certamente anche una adeguata polizza assicurativa. Esistono delle compagnie assicurative, di rilevanza mondiale, con le quali ho più volte collaborato, che sono proprio specializzate in queste attività, afferenti ad esposizioni permanenti e ad esposizioni temporanee.

 

L’affermazione, che talvolta sento provenire da esperti archeologi e di storia dell’arte, che certi reperti non hanno prezzo, può essere comprensibile sul piano culturale ed emotivo, ma certamente non è utilizzabile da parte di un professionista della security, che deve offrire un’assistenza basata su valutazioni oggettive.

 

Lo spunto per scrivere questa notizia mi giunge da una sentenza, pubblicata dalla corte di appello dell’11º circuito degli Stati Uniti, il 25 marzo 2020, afferente alle modalità di determinazione del valore di un reperto museale, costituito da una lingotto d’oro, recuperato da un galeone affondato al largo delle Florida Keys.

 

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Esistono numerosi lingotti di questo tipo, recuperati da altri galeoni affondati, tra i quali si mette in particolare evidenza il galeone Nuestra Señora de Atocha; ad una prima analisi, il valore di questo soggetto potrebbe essere determinato per confronto con altri oggetti similari.

 

Alcuni di questi oggetti sono stati venduti all’asta ad un prezzo che si aggirava sui 100.000 $. Può essere quindi legittimo ritenere, come ritenne la compagnia assicuratrice, che il valore di tale oggetto, che era esposto al pubblico in un museo proprio dedicato ai reperti storici afferenti all’epoca coloniale spagnola, si aggirasse su questa cifra.

 

Aggiungo un particolare: negli Stati Uniti, la pena cui un ladro viene condannato dipende da una serie di parametri, tra i quali è incluso anche il valore della refurtiva. Ecco perché gli avvocati difensori dei due ladri avevano tutto l’interesse a indicare un basso valore del reperto in questione, in quanto questo valore era determinante per stabilire gli anni di carcere, cui il ladro avrebbe dovuto essere condannato.

 

La direzione del museo affermò invece che il valore dell’oggetto si aggirava sul mezzo milione di dollari offrendo le seguenti motivazioni:

  • questo reperto era esposto in una teca, ed era accessibile al pubblico, che poteva toccarlo e poteva perfino sollevarlo. L’attrattiva di questo oggetto era confermata dal fatto che, nell’arco di alcuni anni, alcuni milioni di visitatori avevano visitato il museo, soprattutto perché attratti dalla possibilità di poter prendere in mano questo reperto e sollevarlo, facendosi fotografare.

 

Il reperto rubato era irrecuperabile, perché i ladri lo avevano nel tempo tagliuzzato, vendendo pezzetti di oro ai banchi dei pegni e quindi non era sostituibile con un oggetto similare.

 

La valutazione offerta dalla direzione del museo era basata sul fatto che quella reperto costituiva un’attrazione eccezionale, rispetto a tutti gli altri reperti presenti nel museo  ed era infatti la principale attrazione che portava migliaia di visitatori nel museo. Il valore del reperto doveva quindi essere basato anche  sul valore iconico, e non solo sul valore di altri oggetti analoghi, ma meno valorizzati, nel contesto museale.

 

Prima di addentrarmi della sentenza sopra menzionata, mi permetto di ricordare ai lettori, sulla base della mia pluriennale esperienza come esperto Unesco per la protezione del patrimonio culturale, che in Italia il valore dei reperti, soprattutto archeologici, viene determinato in fase di acquisizione del reperto e in pratica non viene quasi aggiornato. Ricordo perfettamente che il valore, registrato nell’archivio nazionale, per una antica chiave romana di eccellente fattura, corrispondeva più o meno a 1/10 del valore di una chiave simile sul libero mercato. Qualora questa chiave fosse stata, ad esempio, smarrita, il responsabile dello smarrimento avrebbe dovuto rimborsare lo Stato per un importo certamente non corrispondente al valore commerciale dell’oggetto. Credo sia opportuno non approfondire questo tema.

Tornando quindi al tema prima affrontato, la direzione del museo fece presente che esisteva un sistema di attribuzione di punteggi ai reperti museali, basato su una serie di fattori, che vengono analizzati in uno schema, assai popolare negli Stati Uniti ed applicabile direttamente a questa particolare tipologia di reperti: si tratta del Mel Fisher Investor Division’s point system. Ricordo ai lettori che Mel Fisher è il titolare di un’azienda, che svolge proprio l’attività di recupero di reperti da navi affondate al largo della costa degli Stati Uniti.

 

La corte di appello dell’11º circuito ha dichiarato che le modalità di calcolo, che portavano a più di mezzo milione di dollari il valore del reperto, ere determinato da un sistema, in cui il punteggio utilizzato, pilotato da un’azienda che effettuava recuperi sottomarini, poteva tendenzialmente essere assai più elevato di quell’effettivo, proprio perché così l’azienda in questione avrebbe ricavato un maggior utile dalla propria attività di recupero subacqueo.

 

In assenza quindi di un metodo oggettivo e ragionevolmente imparziale di determinazione del valore, i giudici decisero che il valore commerciale era quello reperibile da analisi oggetti, venduti all’asta. Se la direzione del museo non fosse stata in grado di presentare una valutazione oggettiva, legata al fatto che questo reperto costituiva il punto di attrazione principale del museo, il valore non avrebbe potuto essere incrementato. La direzione non fu in grado di trasformare in una valutazione ragionevolmente oggettiva la componente attrattiva del reperto; i giudici emisero la sentenza, determinando in 100.000 $ il valore del reperto. Ricordo che, sulla base del sistema penale americano, la differenza tra la durata del carcere inflitto ad un ladro di un oggetto che valeva 100.000 $ era 1/3 della durata sarebbe stata inflitta, se il valore avesse superato mezzo milione di dollari.

 

A chiusura dell’articolo, ricordo che questa mega compagnia di assicurazione, che opera in tutto il mondo, si allineò a questa valutazione e  rimborsò al museo questo importo.

  

Adalberto Biasiotti



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