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Regret e processi decisionali

Regret e processi decisionali

Il vissuto di rammarico ha la capacità di bloccare o compromette i processi decisionali. Si tratta di un’emozione diffusa e sulla quale occorre un’attenzione specifica per garantire efficaci risposte a molteplici problemi che possono sorgere in azienda.

Nel campo dei processi decisionali uno degli aspetti più rilevanti riguarda ciò che pensiamo che proveremo dopo aver fatto la nostra scelta (Baron e Hershey, 1988). Proprio per questo si evidenzia sempre di più l'effetto del rammarico (regret) sul processo decisionale (Simonson, 1992).

 

Il rammarico si presenta a fronte della constatazione che avremmo potuto decidere diversamente, senza che comunque la decisione presa abbia procurato danno a noi stessi, ad altri o violato norme condivise. Si tratta di un’emozione molto importante, perché causa molto stress e una continua ruminazione riguardo a quanto è accaduto (Savitsky, Medvec e Gilovich 1997; Torges, Stewart e Miner-Rubino 2005; Wrosch e Heckhausen 2002) con la conseguenza di una diminuzione del benessere persone e un aumento della secrezione di cortisolo (ormone dello stress) che vi si associa (Wrosch e altri, 2007).

Si tratta di un fenomeno connaturato con il funzionamento del cervello tanto che non insorge prima dei 7 anni, quando l’organizzazione cognitiva è sufficientemente complessa da consentire la simulazione di eventi contro fattuali.

 

Per quanto possiamo essere consapevoli di avere questa inclinazione al rammarico, la previsione di viverlo ha una notevole importanza nelle scelte che facciamo. Infatti, il regret incide anche sulle nuove decisioni che ci troviamo a dover prendere perché ci si orienta verso quelle che ci mettono al riparo da questa esperienza (Loomes e Sugden 1982; 1986; Savage 1951). Carmon, Wertenbroch e Zeelenberg (2003) affermano che il semplice atto di scegliere produce un senso immediato di regret, generato da un improvviso aumento di attrattiva dell’alternativa scartata, anche se nessun elemento nell’ambiente ci dice come le cose sarebbero andate nello scegliere o una o l’altra opzione.

In più, potrebbe capitare che il pensiero di provare il rammarico ci induca a non scegliere (come se anche questo non fosse già di per sé una scelta), o addirittura ad affidarci a soluzioni preconfezionate rispetto le quali abbiamo una tendenza a ritenerle sempre valide in quanto opzioni di default (Samuelson e Zeckhauser, 1988).

 

Inoltre, decidere di non fare nulla non fa altro che spostare in avanti il problema e far divenire, con il passare del tempo, sempre più urgente la necessità di trovare una soluzione con il conseguente aggravio della situazione (Ritov e Baron, 1992), considerando poi che, con l'inevitabile avvicinarsi del momento nel quale la decisione non è più rinviabile, aumenta la propensione a prendere decisioni rischiose, anche se, al momento, il rinvio non appare grave.

 

Connolly, Reb e Zeelenberg (2005) hanno distinto tre forme di rammarico attraverso le quali il decisore può anticipare o sperimentare il rammarico: rispetto all’esito, quando questo non soddisfa i suoi obiettivi; rispetto all’opzione scelta, che può non corrispondere all’intenzione originaria; rispetto al processo decisionale, quando ritiene di non aver riflettuto adeguatamente su tutti gli elementi (Connolly e Zeelenberg, 2002).

 

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Questo fenomeno evidenzia ancor di più i legami inevitabili tra processi cognitivi ed emozioni. Fin dai lavori di Damasio (1994) sappiamo che l'elaborazione emotiva che facciamo di un'esperienza vissuta incide nell'efficacia dei processi decisionali, e con Finucane e colleghi (2000) abbiamo la consapevolezza che quando ci troviamo di fronte a una situazione già vissuta come densa di rischi, siamo spinti ad associare alla stessa un'immagine a cui viene collegata un'emozione negativa. Questo ci spinge a vivere la situazione che abbiamo di fronte come molto più pericolosa di quanto non sia in realtà.

 

Il motivo è che l’emozione arriverebbe ad attivare i meccanismi dell’attenzione selettiva e la conseguenza prossima consiste in una deformazione del mondo percepito fino a comportare una modificazione nella relazione tra la memoria e la percezione del presente. L’emozione diviene così una sorta di filtro percettivo che influisce sulla decisione stessa. Le nostre decisioni dipendono in larga misura da ciò che percepiamo, dagli elementi del mondo che il nostro cervello campiona, e dal modo in cui mette in relazione gli oggetti percepiti con il passato.

Infatti la funzione principale del cervello è quella di prevedere le conseguenze dell’azione in funzione dei risultati di azioni passate: la memoria serve essenzialmente a prevedere il futuro, non soltanto a ricordare il passato (Bellelli e Di Schiena, 2012). Per questo motivo è importante programmare, in specie dopo una decisione particolarmente difficile, un momento di rielaborazione emotiva che permetta, con una guida esperta, di dare il corretto peso a quanto vissuto.

 

Esiste un evidente rapporto tra regret e pensiero controfattuale perché in entrambi i casi facciamo riferimento al confronto tra la scelta compiuta e il suo esito (Kahneman e Miller 1986; Roese 1997; Zeelenberg, van Dijk e Manstead 1998) attribuendo un valore negativo a tale confronto. Forse si sarebbe potuto sceglie meglio, si sarebbero potuto esaminare con maggior attenzione i dati a disposizione, si sarebbe potuto ascoltare il consiglio di una data persona, ma questo processo rischia di non mettere abbastanza in luce la situazione nella quale quella decisione è stata presa.

 

D'altra parte occorre prestare attenzione a non confondere il rammarico con la delusione: il primo è legato al riconosce che l’esito della situazione è collegato a una scelta consapevole di cui ci sentiamo responsabili. La delusione si manifesta quanto l’esisto dell’evento lo si attribuisce a decisioni di altri (Frijda, Kuipers e ter Shure 1989; Zeelenberg, van Dijk e Manstead 1998).

 

Il tema centrale è come comportarsi in presenza di queste emozione affinché non arrivi a determinare eccessivi danni nei processi decisionali in azienda.

Da una lato si potrebbe pensare di usare il regret come monito per i comportanti pericolosi o scorretti. Da questo punto di vista le ricerche non sono univoche e, comunque, mettono in evidenza come l’utilizzo del rammarico abbia efficacia solo per tempi brevi.

 

Certamente offrire un supporto a una persona che sta prendendo una decisione può essere una valida strategia in considerazione del fatto che la stessa evoluzione dell’evento, in specie se sempre più incerta o addirittura negativa, spinge il decisore a sentirsene sempre più responsabile e a correre dei rischi in più pur di mettersi al riparo da questa situazione (Inman e Zeelenberg 2002; Ritov e Baron, 1995).

 

Successivamente è importante non utilizzare la logica del senno del poi per analizzare una decisione prese da un collaboratore perché utilizzare questa logica accresce il rammarico e con tutta probabilità lo “bloccherà” a fronte di decisioni future.

 

 

Antonio Zuliani

 

Tratto da   PdE, rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente.




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