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Prospettive di cambiamento del lavoro nell'era digitale
Già a partire dagli ultimi decenni, l’automazione e la robotizzazione hanno favorito la trasformazione del lavoro tradizionalmente inteso, innescando, recentemente, un processo di diffusione di nuove forme di lavoro come, ad esempio, il lavoro a distanza, sotto forma di telelavoro, “smart working” e lavoro virtuale, i quali comportano come vedremo nuove ed ulteriori sfide. Anche se la trasformazione è tuttora in corso e, quindi, risulta ancora incompiuta, la digitalizzazione dell'economia ha già modificato notevolmente la natura e l'organizzazione del lavoro in tutta Europa, compresi:
-l'orario di lavoro,
-l'orario di lavoro,
-il luogo di lavoro,
-l'uso delle tecnologie informatiche e delle comunicazioni (TIC, la “piattaformazione”)
-le forme di status occupazionale (EU-OSHA, 2018; McKinsey Global Institute, 2020)
Lo smart working, o lavoro agile, può essere definito come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato al di fuori dai locali del datore di lavoro, caratterizzato in origine dall'assenza di vincoli orari o spaziali, e reso possibile dall'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, come smartphone, tablet, laptop e computer desktop e dallo sviluppo di piattaforme di social collaboration. Come già accennato, negli ultimi anni le varie forme di lavoro da remoto hanno subito un aumento progressivo ed esponenziale, evidenziando nella pratica, come anche da letteratura sul tema, diversi vantaggi oggettivi e svantaggi sia per il datore di lavoro che per il lavoratore, come illustrato nella Tabella 1.
L'articolo è tratto da:
Lo smart working, o lavoro agile, può essere definito come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato al di fuori dai locali del datore di lavoro, caratterizzato in origine dall'assenza di vincoli orari o spaziali, e reso possibile dall'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, come smartphone, tablet, laptop e computer desktop e dallo sviluppo di piattaforme di social collaboration. Come già accennato, negli ultimi anni le varie forme di lavoro da remoto hanno subito un aumento progressivo ed esponenziale, evidenziando nella pratica, come anche da letteratura sul tema, diversi vantaggi oggettivi e svantaggi sia per il datore di lavoro che per il lavoratore, come illustrato nella Tabella 1.
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Il fenomeno dell’affermarsi del lavoro da remoto, può essere spiegato – oltre agli sviluppi delle tecnologie dell’informazione e comunicazione (le cosiddette ICT, Information and Communication Technologies) - con una diminuzione di alcune resistenze manageriali, riconducibili a fattori culturali, che precedentemente ne avevano ostacolato la diffusione. Va poi considerato che l'emergenza sanitaria da COVID-19 ha ulteriormente accelerato la diffusione nelle aziende italiane dell’impiego del lavoro da remoto, facendo prevedere ulteriori estensioni applicative per il futuro.
Se è vero, pertanto, che il lavoro da remoto offre indubbi vantaggi a datori di lavoro e lavoratori, è anche possibile che questi vantaggi, a seconda delle specificità della situazione e della sua mancata o inadeguata gestione, possono trasformarsi in svantaggi, esponendo i lavoratori ad un aumento dei rischi professionali. Il progressivo aumento del lavoro eseguito da macchine, ad esempio, in sostituzione di quello fisicamente impegnativo per l’essere umano, oltre a rappresentare la rimozione dei lavoratori da ambienti pericolosi, costituisce un’importante opportunità per il miglioramento della sicurezza e la salute sul lavoro. Come risvolto della medaglia, però, potrebbero determinarsi, al tempo stesso, contestuali condizioni di isolamento sociale e, più in generale, un moltiplicarsi di fattori di stress psicosociale. (EU-OSHA, 2018; Robelski e Sommer, 2020; Neumann et al., 2021)
Secondo uno studio di previsione (EU-OSHA, 2018) la digitalizzazione e l’innovazione del lavoro rappresentano eventi globali paragonabili al “Giano bifronte”, ossia ad un fenomeno con due facce: una positiva e l’altra negativa, talmente probabili entrambe che, anche a distanza di pochi anni, sarebbe difficile prevedere quale delle due potrebbe prevalere. Come si è potuto leggere dalle informazioni riportate in tabella, il lavoro da casa o comunque da remoto può avere un impatto sulla sicurezza e salute sul lavoro e, dunque, presentare alcuni rischi, ivi compresi quelli psicosociali.
Le principali fonti di stress sono: orari di lavoro lunghi ed intensi, difficoltà di organizzazione del lavoro, l'offuscamento dei confini tra lavoro e vita privata e isolamento sociale. Quest’ultimo, inoltre, può avere potenziali effetti negativi, oltre che sull’efficacia lavorativa, anche sulla salute, sul benessere del lavoratore ed è per questo motivo che risulta fondamentale garantire la qualità della comunicazione interna all’organizzazione. Al tempo stesso, la flessibilità oraria può diventare uno svantaggio se non s’impone un limite di tempo all’impegno lavorativo. Le persone che lavorano individualmente da remoto si trovano spesso senza un contatto diretto e costante con i colleghi, quando addirittura si scoprono essere in concorrenza con essi. Chi lavora da remoto, quindi, nonostante l'iper-connettività, potrebbe veder anche ridurre le interazioni, soprattutto quelle informali, con colleghi o dirigenti, rischiando in poco tempo l’isolamento sociale (EU-OSHA, 2021c). Senza contare i disturbi a carico dell’apparato muscolo scheletrico, derivati da un’integrazione di fattori, quali quelli fisici e biomeccanici, organizzativi e psicosociali, oltre che individuali.
I datori di lavoro hanno delle responsabilità in materia di salute e sicurezza, come per qualsiasi altro lavoratore, anche per chi lavora da remoto. In generale, le responsabilità in materia di salute e sicurezza includono l'identificazione e la gestione dei rischi professionali, tra cui lo stress e il benessere mentale. In particolare per il lavoro da remoto, i datori di lavoro devono essere consapevoli dei rischi associati a tale tipologia di lavoro per poterli affrontare, adottando adeguate misure di prevenzione e controllo, ove possibile, oltre che renderne edotti i lavoratori. Come in tutte le trasformazioni epocali, gli effetti che si producono possono essere semplicemente avvertiti, ovvero subiti, ma possono anche essere governati, a patto che se ne conoscano i meccanismi e le implicazioni che, in questo caso, coinvolgono principalmente le imprese, tuttavia gli effetti si producono sia a livello individuale sia organizzativo.
Innovazione o nuovo taylorismo digitale?
Il nuovo orizzonte è rappresentato dall’industria 4.0, la quale si basa su digitalizzazione, automazione dei compiti e integrazione delle TIC, come ad esempio Internet of Things (IoT) che sta per “interconnessione tra oggetti e persone” mediante reti di comunicazione; e poi sull’intelligenza artificiale (AI), sui sistemi basati su cloud, sulla robotica collaborativa (cobot), sulla produzione additiva, sui “big data analisys” e sui sistemi cyber-fisici (Neumann et al., 2021). Questi sistemi consentono nuove forme di organizzazione del lavoro e nuove modalità di lavoro, come le "fabbriche intelligenti" e le "piattaforme online", in cui uomini, macchine e prodotti comunicano costantemente tra loro attraverso mezzi fisici e virtuali (EU-OSHA, 2019c).
Assistiamo, dunque, all’affermarsi del fenomeno della "piattaformazione", ossia dell’utilizzo di piattaforme digitali aventi sia la funzione di 'intermediario' tra lavoratori autonomi e datori di lavoro, sia di gestione di ambienti virtuali, allo scopo di allocare compiti ai dipendenti e monitorarne le prestazioni, fino a rappresentare essa stessa un nuovo modello di business: la platform economy (Degryse, 2017; Bérastégui, 2021).
In che modo la psicologia del lavoro e delle organizzazioni può fornire delle risposte efficaci che aiutino a trovare il migliore equilibrio possibile tra le variabili in campo, anche al fine di promuovere la correzione di eventuali effetti dannosi?
L’aspetto critico, spesso trascurato, è che le organizzazioni altamente flessibili richiedono pratiche di “gestione partecipativa”. Queste sono generalmente promosse per favorire l’engagement, ovvero il coinvolgimento, senso di appartenenza all’azienda da parte dei lavoratori; tanto più tali pratiche si rendono indispensabili laddove si riscontra una mancanza di interazioni in presenza.
Non però sempre le organizzazioni hanno dato seguito a tali approcci gestionali: in talune aziende, al contrario, si è optato per una gestione delle risorse umane attraverso forme di "taylorismo digitale", basate su prescrizioni di lavoro molto rigide e un severo ‘monitoraggio digitale della prestazione dei lavoratori’. Era scontato che questa soluzione non poteva che produrre scarsi risultati a lungo termine, per il semplice fatto che a nessuno piace essere trattato in modo così “impersonale e distaccato”. Le pratiche di gestione algoritmica e di sorveglianza digitale, infatti, oltre ad avere l’effetto concreto di ridurre il margine di azione discrezionale dei lavoratori, generano una crescente frammentazione delle mansioni lavorative e una più generale tendenza al lavoro precario e, oltretutto, nuovi rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori.
Si prevede, infatti, che l'economia digitale intensificherà ulteriormente il lavoro nella maggior parte dei settori e delle occupazioni in Europa, rispetto agli ultimi decenni (EU-OSHA, 2018). Da un lato ci si aspetta che la diffusione dell’AI (Artificial Intelligence) e dell’ICT (Information and Communication Technologies), l’automazione avanzata e le pratiche di gestione basate sugli algoritmi aumentino la produttività. Dall’altro la regolazione dell'assegnazione dei compiti dei lavoratori basata su algoritmi e la massimizzazione dei carichi di lavoro cognitivi e fisici potrebbe portare ad un'intensificazione del lavoro e ad un sovraccarico cognitivo (EU-OSHA, 2019b).
L’elevata domanda di produttività, unita allo scarso controllo da parte dall’uomo, potrebbe tradursi in una domanda psicologica troppo elevata, legata ad esempio al sovraccarico cognitivo e/o alla pressione emotiva.Questa dimensione, la quale assume una posizione importante del modello di Karasek JDC (Job Demand-Control), è in grado di esporre i lavoratori meno qualificati ad una situazione di stress lavorativo.
Vi è il rischio reale, dunque, che il sovraccarico cognitivo, l’affaticamento digitale, l’esaurimento mentale e varie altre forme di 'tecnostrain,' definito come l’insieme delle reazioni psicosociali cognitive, affettive e comportamentali negative all'uso delle ICT, possano riguardare ampi settori.
Secondo uno studio di previsione (EU-OSHA, 2018) la digitalizzazione e l’innovazione del lavoro rappresentano eventi globali paragonabili al “Giano bifronte”, ossia ad un fenomeno con due facce: una positiva e l’altra negativa, talmente probabili entrambe che, anche a distanza di pochi anni, sarebbe difficile prevedere quale delle due potrebbe prevalere. Come si è potuto leggere dalle informazioni riportate in tabella, il lavoro da casa o comunque da remoto può avere un impatto sulla sicurezza e salute sul lavoro e, dunque, presentare alcuni rischi, ivi compresi quelli psicosociali.
Le principali fonti di stress sono: orari di lavoro lunghi ed intensi, difficoltà di organizzazione del lavoro, l'offuscamento dei confini tra lavoro e vita privata e isolamento sociale. Quest’ultimo, inoltre, può avere potenziali effetti negativi, oltre che sull’efficacia lavorativa, anche sulla salute, sul benessere del lavoratore ed è per questo motivo che risulta fondamentale garantire la qualità della comunicazione interna all’organizzazione. Al tempo stesso, la flessibilità oraria può diventare uno svantaggio se non s’impone un limite di tempo all’impegno lavorativo. Le persone che lavorano individualmente da remoto si trovano spesso senza un contatto diretto e costante con i colleghi, quando addirittura si scoprono essere in concorrenza con essi. Chi lavora da remoto, quindi, nonostante l'iper-connettività, potrebbe veder anche ridurre le interazioni, soprattutto quelle informali, con colleghi o dirigenti, rischiando in poco tempo l’isolamento sociale (EU-OSHA, 2021c). Senza contare i disturbi a carico dell’apparato muscolo scheletrico, derivati da un’integrazione di fattori, quali quelli fisici e biomeccanici, organizzativi e psicosociali, oltre che individuali.
I datori di lavoro hanno delle responsabilità in materia di salute e sicurezza, come per qualsiasi altro lavoratore, anche per chi lavora da remoto. In generale, le responsabilità in materia di salute e sicurezza includono l'identificazione e la gestione dei rischi professionali, tra cui lo stress e il benessere mentale. In particolare per il lavoro da remoto, i datori di lavoro devono essere consapevoli dei rischi associati a tale tipologia di lavoro per poterli affrontare, adottando adeguate misure di prevenzione e controllo, ove possibile, oltre che renderne edotti i lavoratori. Come in tutte le trasformazioni epocali, gli effetti che si producono possono essere semplicemente avvertiti, ovvero subiti, ma possono anche essere governati, a patto che se ne conoscano i meccanismi e le implicazioni che, in questo caso, coinvolgono principalmente le imprese, tuttavia gli effetti si producono sia a livello individuale sia organizzativo.
Innovazione o nuovo taylorismo digitale?
Il nuovo orizzonte è rappresentato dall’industria 4.0, la quale si basa su digitalizzazione, automazione dei compiti e integrazione delle TIC, come ad esempio Internet of Things (IoT) che sta per “interconnessione tra oggetti e persone” mediante reti di comunicazione; e poi sull’intelligenza artificiale (AI), sui sistemi basati su cloud, sulla robotica collaborativa (cobot), sulla produzione additiva, sui “big data analisys” e sui sistemi cyber-fisici (Neumann et al., 2021). Questi sistemi consentono nuove forme di organizzazione del lavoro e nuove modalità di lavoro, come le "fabbriche intelligenti" e le "piattaforme online", in cui uomini, macchine e prodotti comunicano costantemente tra loro attraverso mezzi fisici e virtuali (EU-OSHA, 2019c).
Assistiamo, dunque, all’affermarsi del fenomeno della "piattaformazione", ossia dell’utilizzo di piattaforme digitali aventi sia la funzione di 'intermediario' tra lavoratori autonomi e datori di lavoro, sia di gestione di ambienti virtuali, allo scopo di allocare compiti ai dipendenti e monitorarne le prestazioni, fino a rappresentare essa stessa un nuovo modello di business: la platform economy (Degryse, 2017; Bérastégui, 2021).
In che modo la psicologia del lavoro e delle organizzazioni può fornire delle risposte efficaci che aiutino a trovare il migliore equilibrio possibile tra le variabili in campo, anche al fine di promuovere la correzione di eventuali effetti dannosi?
L’aspetto critico, spesso trascurato, è che le organizzazioni altamente flessibili richiedono pratiche di “gestione partecipativa”. Queste sono generalmente promosse per favorire l’engagement, ovvero il coinvolgimento, senso di appartenenza all’azienda da parte dei lavoratori; tanto più tali pratiche si rendono indispensabili laddove si riscontra una mancanza di interazioni in presenza.
Non però sempre le organizzazioni hanno dato seguito a tali approcci gestionali: in talune aziende, al contrario, si è optato per una gestione delle risorse umane attraverso forme di "taylorismo digitale", basate su prescrizioni di lavoro molto rigide e un severo ‘monitoraggio digitale della prestazione dei lavoratori’. Era scontato che questa soluzione non poteva che produrre scarsi risultati a lungo termine, per il semplice fatto che a nessuno piace essere trattato in modo così “impersonale e distaccato”. Le pratiche di gestione algoritmica e di sorveglianza digitale, infatti, oltre ad avere l’effetto concreto di ridurre il margine di azione discrezionale dei lavoratori, generano una crescente frammentazione delle mansioni lavorative e una più generale tendenza al lavoro precario e, oltretutto, nuovi rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori.
Si prevede, infatti, che l'economia digitale intensificherà ulteriormente il lavoro nella maggior parte dei settori e delle occupazioni in Europa, rispetto agli ultimi decenni (EU-OSHA, 2018). Da un lato ci si aspetta che la diffusione dell’AI (Artificial Intelligence) e dell’ICT (Information and Communication Technologies), l’automazione avanzata e le pratiche di gestione basate sugli algoritmi aumentino la produttività. Dall’altro la regolazione dell'assegnazione dei compiti dei lavoratori basata su algoritmi e la massimizzazione dei carichi di lavoro cognitivi e fisici potrebbe portare ad un'intensificazione del lavoro e ad un sovraccarico cognitivo (EU-OSHA, 2019b).
L’elevata domanda di produttività, unita allo scarso controllo da parte dall’uomo, potrebbe tradursi in una domanda psicologica troppo elevata, legata ad esempio al sovraccarico cognitivo e/o alla pressione emotiva.Questa dimensione, la quale assume una posizione importante del modello di Karasek JDC (Job Demand-Control), è in grado di esporre i lavoratori meno qualificati ad una situazione di stress lavorativo.
Vi è il rischio reale, dunque, che il sovraccarico cognitivo, l’affaticamento digitale, l’esaurimento mentale e varie altre forme di 'tecnostrain,' definito come l’insieme delle reazioni psicosociali cognitive, affettive e comportamentali negative all'uso delle ICT, possano riguardare ampi settori.
L'articolo è tratto da:
Ordine degli psicologi del Lazio - Rischi psicosociali nei luoghi di lavoro: quali obiettivi per le organizzazioni e quali prospettive d’intervento per la psicologia del lavoro - Isabella Corradini, Shalom Addari, Franco Amore, Elisa Corsa, Luigia Cusano, Roberto Domanico, Sara Giorgi, Roberto Ibba, Gaetana Pennacchio, Giulia Tunzi. (pdf)
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