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Obiettivo concentrazione: come garantire alti livelli di sicurezza

Obiettivo concentrazione: come garantire alti livelli di sicurezza

Rimanere concentrati sul lavoro è di fondamentale importanza. Oggi dopo l’esperienza della pandemia la cosa appare sempre più difficile. Una riflessione in merito per garantire livelli di sicurezza sul lavoro.

Una delle cause di disagio che viene dichiarata sul luogo di lavoro e che rappresenta una fonte di errori e anche di incidenti è relativa all’aumento della difficoltà di concentrazione. Cosa la determina e quanto pesano la pandemiae la guerra, aspetti che vengono sempre più citati a tale proposito, su tutto ciò? 

Cosa significa concentrarsi 

Concentrarsi significa porre l’attenzione su un obiettivo e selezionare tutto ciò che raggiunge i nostri sensi o il nostro pensiero (rumori, profumi, colori, ecc.) per renderlo coerente con quell’obiettivo. Determiniamo così una differenza netta tra ciò che è pertinente al compito da svolgere e tutto il resto, che releghiamo a rumore di fondo. Visto che non viviamo in una campana di vetro, mettiamo in conto anche di dover reagire a delle variazioni che ci aspettiamo possano accadere mentre realizziamo il nostro obiettivo. Aspetti che crescono con l’esperienza e che ci permettono di considerare anche azioni e reazioni diverse: “se succede A, faccio B”. 

Concentrarsi vuol dire, in altre parole, stabilire una sorta di programma attenzionale costituito da tre elementi: percezione, intenzione e modo di agire o reagire. Componenti conservate in una forma di memoria a breve termine, governata dalla corteccia prefrontale, situata nel cervello anteriore che archivia direttamente le informazioni. La capacità di concentrazione aumenta con l’età, per raggiungere un picco intorno ai vent’anni (probabilmente perché la corteccia prefrontale raggiunge la maturità proprio a questa età). In seguito, la capacità di concentrazione rimane costante fino ai trent’anni, per poi decrescere leggermente, rimanendo tuttavia sempre superiore al livello dell’infanzia e dell’adolescenza. Questa concentrazione può però venire meno, ed è proprio quello che stiamo osservando. Improvvisamente dimentichiamo l’obiettivo, non svolgiamo più le azioni adeguate. In altre parole, il nostro programma attenzionale sembra non funzionare più adeguatamente. 


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I disturbi alla concentrazione 

Spesso succede perché un elemento esterno ci distrae, ad esempio perché il cervello, grazie ai sistemi detti “preattentivi”, continuando ad analizzare il mondo intorno a noi, indirizza la nostra attenzione verso eventuali minacce o potenziali opportunità. In questo caso si tratta di una reazione utile perché i sistemi preattentivi dirigono l’attenzione verso gli stimoli che hanno le proprietà fisiche più vistose (un rumore improvviso) e verso quelli dal forte significato emotivo (anche un WhatsApp tanto atteso). Ma, le distrazioni esterne, proprio per il tema di cui stiamo parlando, non sono le uniche responsabili della tendenza a far perdere l’attenzione: spesso ci deconcentriamo da soli. D’improvviso la nostra mente si mette a vagare proprio mentre stiamo perseguendo l’obiettivo che ci eravamo dati. Questo avere la testa altrove traduce una gamma estremamente ricca di distrazioni. Il più delle volte l’avere la testa tra le nuvole si accompagna a una sensazione di stress o di urgenza che spinge ad abbandonare l’azione in corso. 

Che cosa succede allora nel cervello? Diversi studi hanno rivelato una bassa attività in regioni della corteccia prefrontale, il cui compito è conservare l’obiettivo in memoria, accompagnata in molti casi da un’attivazione eccessiva della rete di default. Questa rete di default ha molteplici competenze: la memoria autobiografica, l’immaginazione, il senso del sé e la cognizione sociale, ci permette di riflettere su noi stessi, di rievocare scene passate o di immaginare le emozioni degli altri. Oggi più che mai sembra che queste competenze rimangano particolarmente attive tanto che il cervello continua a occuparsene distraendolo dal compito da realizzare. Di qui l’errore o l’incidente in generale ed è proprio l’analisi di questi errori a permetterci di capire di aver sottostimato il livello di attenzione richiesto da una qualsiasi mansione. Quello che sta accadendo sembra oggi superare la distrazione che già conoscevamo legata all’era digitale e a quell’essere sempre connessi, fonte di tanti problemi analoghi. 

La costante preoccupazione vissuta con la pandemia, le continue attenzioni pur legate alle azioni di protezione e oggi le notizie della guerra creano un sovraccarico al cervello atto, appunto, a distrarlo. 

Cosa si può fare? 

Dalla nostra esperienza si tratta di azioni complementari che offriamo in questo ordine per pura scelta espositiva, ma che vedono la loro funzionalità nell’integrazione delle stesse. 

Favorire la narrazione della preoccupazione. Raccontare una preoccupazione è utile per aiutare la persona a mettere ordine tra i fatti accaduti, i pensieri e le emozioni che ne scaturiscono. La confusione tra queste componenti è una fonte di accentuazione e irrigidimento della preoccupazione stessa, di blocco mentale e di continuo rimuginio. 

Può poi essere utile, se si deve svolgere un’attività lunga, scomporla in piccoli «compiti» semplici, di qualche minuto al massimo, e con un obiettivo chiaro. Saranno altrettante piccole bolle di concentrazione. Questo permette al contempo di rassicurarci sulla competenza verso i singoli compiti e obiettivi e di individuare quelli più critici. 

Identificare il processo di distrazione che si è scatenato. È un po’ come riuscire ad applicarci un’etichetta, invece di reagire in modo automatico. Aiuta a identificare le possibili soluzioni. 

Antonio Zuliani

Fonte: PdE, n. 63



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Rispondi Autore: Nicolino - likes: 0
30/08/2022 (07:14:31)
Di grande attualità.
Grazie dei suggerimenti.
Rispondi Autore: Livio Corrado - likes: 0
01/09/2022 (07:41:01)
Il problema di questi tempi.
Utili i consigli, magari qualche esercizio da fare

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