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Mobbing, bossing e straining: i comportamenti e la rilevanza giuridica

Mobbing, bossing e straining: i comportamenti e la rilevanza giuridica

Un intervento si sofferma su mobbing, bossing e straining nei luoghi di lavoro. L’etimologia del termine mobbing, le forme di classificazione, gli atti persecutori, le cause, le conseguenze, la rilevanza giuridica e la tutela penale.


Milano, 13 Feb – In merito ai rischi psicosociali e al disagio lavorativo ci sono alcuni termini inglesi che sono ormai sono entrati nell’uso comune, ma che è bene ricordare e approfondire perché, come ricordato in molti nostri articoli, i rischi psicosociali si presentano come una delle maggiori sfide per la salute e per la sicurezza nei luoghi di lavoro. Una sfida che può essere vinta anche attraverso un’adeguata consapevolezza del problema da parte dei lavoratori e dei datori di lavoro.

 

Proprio per questo motivo torniamo a parlare oggi di mobbing, bossing e straining attraverso un intervento al seminario “Rischio stress lavoro correlato degli operatori della giustizia in ambito di esecuzione penale esterna” che si è tenuto a Milano il 19 settembre 2018 presso il “ Centro per la Cultura della Prevenzione nei luoghi di lavoro e di vita”.

 

L’etimologia del termine mobbing

Nell’intervento “Definizione e Differenziazione di Mobbing, Bossing, Straining”, a cura della Dott.ssa Caterina Scalise (Praticante avvocato abilitata presso il Foro di Milano), si inizia cercando di rispondere alla domanda “cos’è il Mobbing?”.


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A questo proposito si segnala che il termine mobbing “è stato coniato da un etologo austriaco e deriva dal verbo inglese ‘to mob’, che significa letteralmente ‘attaccare, assalire, aggredire, accerchiare’”. Inizialmente il termine si utilizzava “con riferimento a tutti quegli atteggiamenti animali perpetrati da uno o più membri del branco, nei confronti del c.d. ‘anello debole’, al fine di estraniarlo dal resto del branco e allontanarlo”. Mentre oggi l’accezione del termine “si è sviluppata sino ad indicare le persecuzioni psicologiche perpetrate da parte di uno o più individui nei confronti di un altro, con il chiaro intento di danneggiarlo ed emarginarlo”.

 

In particolare – continua l’intervento – “il contesto principale in relazione al quale si è iniziato a parlare di Mobbing come ad un comportamento illecito, giuridicamente rilevante, è quello lavorativo. In tale contesto il Mobbing si estrinseca in tutti quei comportamenti, reiterati nel tempo, che il datore di lavoro o i colleghi pongono in essere, per svariate ragioni, al fine di emarginare e allontanare un determinato lavoratore”.

 

Le tipologie di mobbing e il bossing

L’intervento presenta una prima forma di classificazione del mobbing.  

 

Ad esempio abbiamo il mobbing verticale, che viene detto anche “bossing”, che rappresenta la tipologia più diffusa.

Il bossing consiste “in abusi e vessazioni perpetrati sistematicamente, ai danni di uno o più dipendenti da un loro diretto superiore gerarchico. Questa pratica combina, in maniera premeditata, azioni a scopo intimidatorio con veri e propri atti di violenza psico-fisica e di esclusione dai privilegi aziendali. L’intento è quello di creare nella vittima un senso di emarginazione e di cagionarle frustrazione e ansia crescenti”.  

 

Si indica che in concreto tali comportamenti possono consistere in:

  • aggressioni e rimproveri verbali;
  • demansionamento e dequalificazione professionale;
  • sovraccarico di lavoro;
  • isolamento del lavoratore;
  • ripetute sanzioni disciplinari;
  • controlli medico fiscali durante le prime assenze;
  • ingiustificato diniego di ferie e permessi;
  • revoca ingiustificata di benefits aziendali;
  • molestie;
  • illeciti penali.

 

Si indica poi che, invece, il mobbing orizzontale “consiste nell’insieme di atti persecutori messi in atto da uno o più colleghi nei confronti di un altro, spesso finalizzati a screditare la reputazione di un lavoratore mettendo in crisi la sua posizione lavorativa (es. ingiurie, offese, pettegolezzi, critiche)”.

Inoltre il low mobbing, indicato come “inusuale”, si estrinseca “in plurime azioni che mirano a ledere la reputazione delle figure aziendali di spicco, ad esempio, a seguito di un loro comportamento non ritenuto idoneo dai dipendenti o per motivi futili (es. crisi economica aziendale, invidia)”.   

 

Il mobbing e lo straining

Vi sono anche “forme più attenuate di Mobbing, c.d. Straining”.

In questo caso si tratta di “azioni ostili o discriminatorie sporadiche, prive del requisito della continuità, i cui effetti sono continui nel tempo”.

Tra esse rientrano:

  • “la privazione immotivata degli strumenti di lavoro;
  • l’assegnazione di mansioni incompatibili con la situazione personale del lavoratore;
  • il trasferimento ingiustificato in una sede disagiata;
  • la svalutazione dell’operato del lavoratore”.  

 

Cause e conseguenze del mobbing

La relatrice si sofferma poi sulle motivazioni che “possono celarsi dietro gli atti mobbizzanti” e che “sono molteplici:

  • volontà di aggirare normativa licenziamenti;
  • ricerca di un capro espiatorio;
  • crisi economica aziendale;
  • motivazioni di carattere personale;
  • differenze di sesso, razza, religione”.

 

Inoltre le conseguenze dannose del mobbing possono essere connesse non solo alla perdita del posto di lavoro, ma anche a veri e propri “danni alla salute psico-fisica della vittima”.

In particolare i principali disturbi possono essere: “ansia, depressione, disturbo dell’adattamento, calo dell’autostima, tendenza all’isolamento, difetto di comunicazione con gli altri”.

 

Rilevanza giuridica e tutela penale 

Riguardo alla rilevanza giuridica si segnala che “affinché tali condotte siano considerate giuridicamente rilevanti, e quindi meritevoli di tutela, devono coesistere:

  • Sistematicità e durata della condotta mobbizzante (almeno sei mesi);
  • Evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
  • Nesso eziologico tra le condotte e il pregiudizio subito dal lavoratore;
  • L’intento persecutorio”.  

 

E riguardo alle responsabilità si indica che:

  • “Quando la condotta mobbizzante è posta in essere dal datore di lavoro sarà identificato lui stesso quale soggetto giuridicamente responsabile. Invero ai sensi dell’art. 2087 c.c. egli è tenuto ad adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori.
  • Quando la condotta è posta in essere dai colleghi, potrà essere responsabile il datore di lavoro, se rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo o delle condizioni ambientali che lo hanno reso possibile, unitamente all’autore materiale delle condotte”.

 

Si indica poi che il fondamento della tutela contro il mobbing “trae origine dal principio di buona fede, dovendo il datore di lavoro astenersi dal porre in essere azioni che comportino condizioni lavorative lesive dei diritti fondamentali del dipendente. Condotte come quelle descritte, vanno ad incidere su alcuni fondamentali beni, costituzionalmente garantiti. In particolare il diritto alla salute, alla dignità umana, alla personalità morale, alla libertà del lavoratore e ai diritti inviolabili della persona, (artt. 2, 32 e 41 della Costituzione)”.

E dunque l’ordinamento giuridico ha introdotto delle “forme di tutela, sia civili sia penali”. 

 

Riguardo in particolare alla tutela penale si sottolinea che, ad oggi, “il Mobbing non è un reato”.

Tuttavia questo non vuol dire che il mobber “non possa essere condannato in sede penale. Invero, la condotta mobbizzante può integrare un fatto illecito. Gli atteggiamenti umilianti possono configurare ingiurie e diffamazioni. Le condotte persecutorie possono accompagnarsi al reato di violenza privata o lesioni personali. Il Mobbing può essere accompagnato da molestie sessuali. Le condotte di Mobbing possono integrare il reato di Maltrattamenti in famiglia”. E in questi casi “il lavoratore che subisce gli ingiusti pregiudizi della condotta mobbizzante, può denunciare il fatto all’Autorità Giudiziaria sporgendo querela affinché venga accertata la rilevanza penale della condotta, per poi costituirsi parte civile nell’eventuale processo penale contro l’autore delle condotte, al fine di ottenere il risarcimento del danno”.

 

Nell’articolo “ Le proposte in materia di sicurezza: introdurre il reato di mobbing” abbiamo presentato un disegno di legge che ha l’obiettivo di introdurre il reato di atto persecutorio nei luoghi di lavoro.

 

In conclusione l’intervento, che vi invitiamo a leggere integralmente, indica che introdurre una normativa specifica “sicuramente può agevolare la tutela del lavoratore ma, affinché gli strumenti giuridici abbiano efficacia, occorrono modelli più umani di cultura e di economia, che consentano ai lavoratori di rimanere uomini e di sentirsi parte integrante del lavoro, non soggetti esposti al mobbing. A questo scopo fondamentale è la formazione, sia a livello aziendale, sia a livello professionale”.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

Definizione e Differenziazione di Mobbing, Bossing, Straining”, a cura della Dott.ssa Caterina Scalise (Praticante avvocato abilitata presso il Foro di Milano), intervento al seminario “Rischio stress lavoro correlato degli operatori della giustizia in ambito di esecuzione penale esterna” (formato PDF, 266 kB).



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Rispondi Autore: Raffaele Corona - likes: 0
17/05/2020 (00:04:13)
Inizio Purtroppo anch'io il percorso avvilente del bossing. Per ora 18 mesi di pene.
Raccolgo con uno stato non invidiabile le prime conoscenze sul problema.
Grazie per il vs impegno.

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