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L’importanza dell’intelligenza emotiva nella gestione dello stress
Roma, 23 Mar – Lo stress lavoro correlato è un problema di salute largamente diffuso e, secondo alcuni studi condotti nell’Unione Europea, più del 20% dei lavoratori dell’UE ritiene che la propria salute sia a rischio proprio a causa dello stress sul lavoro.
Non bisogna poi dimenticare anche le ricadute economiche sulle aziende e sulle economie nazionali: nel 2002 l’European Foundation for the Improvement of Living and Working Condition ha quantificato il costo economico dello stress legato alle attività produttive nella UE (allora composta da quindici Paesi) in circa 20 miliardi di euro.
E purtroppo l’attuale scenario socio-economico fa presumere che il numero di persone che presentano stress correlato nell’attività lavorativa sia destinato ad aumentare.
Con questi dati di partenza si è tenuto il 16 febbraio 2016 a Roma un seminario organizzato dall’ Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma, in collaborazione con l’Università Europea e il suo laboratorio Business@Health, dal titolo “Rischio Stress Lavoro Correlato e Safety Climate. Valutazione, Gestione e Interventi”. Un seminario che non si è soffermato solo sui dati relativi allo stress, ma ha presentato anche, come indicato nella presentazione del seminario, delle “modalità di successo per la prevenzione, la valutazione e la gestione del rischio stress lavoro correlato tramite le best practices di ricerca ed intervento dell’Università Europea di Roma”. E nel seminario è stato affrontato “l’innovativo costrutto di Safety climate, indicato per descrivere le percezioni condivise dei lavoratori di come la gestione della sicurezza viene ‘operazionalizzata’ nel luogo di lavoro”.
Per parlare degli esiti di questo interessante incontro, ci soffermiamo su alcuni dei documenti presenti negli atti del seminario pubblicati sul sito dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma.
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Nel documento “L’Intelligenza Emotiva in ambito sanitario: al cuore della Performance. Empowerment delle Non Technical Skills per ben-lavorare, ben-essere e ben-vivere” – a cura della Dott.ssa Enrica Brachi e pubblicato anche su medicalive.it - si sottolinea che il 67% delle capacità ritenute essenziali per una prestazione efficace è di natura emotiva. E “rispetto al QI e all’expertise, la competenza emotiva conta due volte tanto. E questo vale per tutte le categorie di lavoro e in tutti i tipi di organizzazione”.
Ricordando che Daniel Goleman nel 1995 ha divulgato il concetto di “Intelligenza Emotiva” (I.E.) mostrandone l’importanza sul lavoro e nei diversi contesti di vita, l’autrice del documento indica che dagli studi sull’Intelligenza Emotiva emerge che “la formazione può incidere significativamente sui soggetti, in quanto permette di catalizzare il processo di empowerment, sostituendo il senso d’impotenza con un sentimento di autoefficacia”.
L’Intelligenza Emotiva (Goleman 1998), “intesa come competenza Personale e Sociale, rappresenta ‘la differenza che fa la differenza’ ed in sintesi può essere descritta come ‘la capacità di comunicare con efficacia con noi stessi e con gli altri’, un variegato insieme di macro-competenze per gestire al meglio se stessi – Padronanza Personale – e agire una comunicazione efficace e sinergica con gli altri - Influenza Relazionale”.
L’I.E. può essere vista anche come una “miscela equilibrata di motivazione, empatia (capacità di comprendere i sentimenti e le preoccupazioni degli altri, assumere il loro punto di vista e apprezzare il diverso modo in cui le persone guardano la realtà), logica e autocontrollo, che consente di sviluppare una grande capacità di adattamento e di convogliare opportunamente le proprie emozioni, in modo da utilizzare i lati positivi di ogni situazione Tra queste abilità complementari rientrano ad esempio la capacità di motivare se stessi e di continuare a perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni; la capacità di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione; la capacità di modulare i propri stati d'animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare; la capacità di essere empatici e di sperare”.
E – continua il documento - per comprendere se siamo intelligenti emotivamente “dovremmo chiederci se siamo in grado di capire e controllare i nostri sentimenti, se riusciamo a entrare in empatia con gli altri, se siamo capaci di trovare un equilibrio fra casa e lavoro (ciò che oggi viene definito life-work balance), fra essere ottimisti e realisti”. E questa “Intelligenza Emotiva” “può essere potenziata per tutta la vita e tende ad aumentare in proporzione alla consapevolezza degli stati d'animo, al contenimento delle emozioni ‘distruttive’ che provocano sofferenza, al maggiore affinamento della sensibilizzazione empatica, allo sviluppo delle abilità di ascolto attivo e comunicazione generativa”.
L’I.E. – continua la D.essa Brachi - rappresenta dunque un “equilibrio dinamico ed armonico di testa e cuore, l’armonia di aspetti complementari ed essenziali, integrati ed allineati nel sistema-individuo”. Un equilibrio che diviene ancor più necessario quando i problemi da risolvere “sono intensi o duraturi (o entrambe le cose)”. In questi casi è necessario un “recupero disciplinato”, in cui “strategicamente gestiamo le priorità, come ricavarsi delle pause, per sostenersi, e costruire delle riserve di energie, attingendo a tutte e quattro le nostre facoltà (fisica, emotiva, mentale e spirituale). Così lo stress diviene eu-stress ( stress positivo), se opportunamente significato o di-stress (stress negativo), capace di diffondersi come un veleno debilitante, nel singolo ed in coloro che non riescono a gestirlo”.
E la gestione dello stress è, in definitiva, una tematica rilevante “nell’ottica di prevenire i rischi psicosociali” e nell’apprendere “efficaci strategie di coping, fronteggiamento della realtà, per trasformare il di-stress in eu-stress, il veleno in medicina”.
Sempre dagli studi di Daniel Goleman emerge (Goleman 1998) che il valore, in termini economici, “tra individui capaci di prestazioni ai massimi livelli confrontato con i colleghi più mediocri o deludenti, aumenta con la complessità del lavoro”. E in particolare il contributo all’eccellenza della competenza emotiva “aumenta con la complessità, così per i lavori più semplici è tre volte di più, per i medi è dodici volte di più e per i complessi l’incremento è pari a circa al 127%”. In questo senso “in posizioni altamente complesse l’I.E. diviene un fattore non solo semplicemente additivo, ma moltiplicativo”.
Il documento, che si sofferma anche (con riferimento agli studi di Maslach e Leiter) sul work engagement, sull’impegno - opposto del burn-out e identificato in tre dimensioni: vigore, dedizione e assorbimento – sottolinea ancora, con le parole di Goleman, che ‘ogni interazione ha un substrato emotivo’.
E conclude ricordando che il benessere/malessere “viene co-creato quotidianamente negli inevitabili scambi comunicativi e sempre più necessitiamo di spazi e tempi per cambiare punti di vista e fronteggiare la complessità; contesti protetti che facilitino l’apprendimento; luoghi in cui attivare la possibilità di “imparare ad imparare”; ambienti per allenarsi nelle competenze comunicativo-emotivo-relazionali in un’ottica win-win, in cui affinare le Non Technical Skills”.
In questo senso, segnala infine, la comunicazione è “sempre più uno strumento di lavoro e necessita di teorie, tecniche e strategie avanzate per il successo professionale e personale”.
“ L’Intelligenza Emotiva in ambito sanitario: al cuore della Performance. Empowerment delle Non Technical Skills per ben-lavorare, ben-essere e ben-vivere”, a cura della Dott.ssa Enrica Brachi, tratto dagli atti del seminario “Rischio Stress Lavoro Correlato e Safety Climate. Valutazione, Gestione e Interventi” (formato PDF, 254 kB).
RTM
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