RISCHIO CHIMICO: ATTIVITÀ DI ASFALTATURA E IMPERMEABILIZZAZIONE
Con questo numero termina la pubblicazione (per motivi pratici la pubblicazione è stata divisa in 3 parti, la versione integrale è comunque disponibile per gli abbonati nella banca dati) di un estratto della tesi di laurea, di primo livello in Tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, di una lettrice che analizza il rischio chimico nelle attività di produzione di asfalti, asfaltatura e impermeabilizzazione.
In questa terza parte sono illustrate le evidenze di danno e di rischio e le misure di prevenzione e protezione.
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RISCHIO CHIMICO NELLE ATTIVITÀ DI PRODUZIONE DI ASFALTI, ASFALTATURA, IMPERMEABILIZZAZIONE.
La caratterizzazione del rischio derivante dall’utilizzo di agenti chimici e la scelta di idonee misure di prevenzione e protezione.
A cura della dott.ssa Giuseppina Paolantonio.
Evidenze di danno e di rischio
Stante il profilo di esposizione così delineato, è ora necessario stabilire l’esistenza di un concreto rischio per la salute e definirne il livello; ciò può essere effettuato:
a. a livello generale, attraverso la conduzione di studi epidemiologici che permettano di stabilire l’esistenza del rischio e di definirlo in termini di forza dell’associazione statistica tra l’esposizione e la comparsa di danni in gruppi di soggetti esposti per via professionale;
b. nello specifico, mediante la misura dei livelli di concentrazione aerodispersa degli agenti chimici (monitoraggio ambientale, da effettuarsi mediante campionamenti ambientali e personali) ed il monitoraggio biologico (ovvero la ricerca nei fluidi biologici dell’esposto dell’agente chimico o dei suoi metaboliti più rappresentativi) che misurando la “dose individuale” - influenzata da differenze metaboliche o comportamentali - consente congiuntamente ai dati ambientali di quantificare l’effettivo livello di rischio.
Dall’esame della letteratura consultata in materia, emergono notevoli carenze in merito alla caratterizzazione del livello di rischio riferito ai materiali in uso nei comparti in esame.
Nonostante l’abbondanza e la chiarezza dei risultati conseguiti rispetto a diversi materiali contenenti Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), per quanto riguarda il bitume i dati provenienti da studi tossicologici o epidemiologici e dalle osservazioni mediche condotte in ambito lavorativo sono contraddittori e non sufficientemente definiti per sostenere con certezza la sua azione cancerogena o mutagena, per diverse ragioni:
- gli studi epidemiologici risentono di numerosi fattori di confondimento (come ad esempio l’abitudine al fumo e le consuetudini alimentari), che in questo caso risultano particolarmente rilevanti dato che l’esposizione a IPA è ubiquitaria e non è possibile circoscriverla a quella di natura esclusivamente professionale;
- ad oggi non esiste un metodo validato per riprodurre sperimentalmente la composizione chimica dei fumi che si sprigionano a caldo dall’asfalto e da altri materiali contenenti bitume, e questo inficia la rappresentatività degli studi tossicologici in vivo e in vitro;
- i risultati emersi dalle prove tossicologiche in vivo risultano inaffidabili a causa delle metodiche utilizzate per la somministrazione cutanea del bitume (che, essendo solido a temperatura ambiente, viene applicato a temperature elevate o sciolto in solventi dotati di proprie caratteristiche tossicologiche: gli esiti che si osservano non possono perciò essere attribuiti con certezza alla sola azione tossicologica del bitume);
- esistono poi numerose difficoltà tecniche in merito alla misura dei livelli di esposizione inalatoria al particolato aerodisperso e non è ancora disponibile una metodica ufficiale per la valutazione dell’assorbimento di composti depositatisi sulla cute esposta.
Per quanto concerne i solventi alogenati, che nel comparto “impermeabilizzazione” costituiscono un’esposizione importante, non sono stati riscontrati studi di tipo tossicologico né epidemiologico volti a comprendere le evidenze di danno specificamente associate all’esposizione a miscele di solventi alogenati o a discernere il contributo che le altre esposizioni presenti nel comparto possono apportare - ad esempio potenziando l’azione tossicologica dei solventi alogenati o agendo in modo sinergico con essi.
Anche il ruolo dell’esposizione a silice cristallina nei comparti “produzione di asfalti” ed “asfaltatura” non è stato chiarito, mentre sarebbe interessante condurre studi dedicati per svelare l’associazione tra l’esposizione alla frazione minerale dell’asfalto e la comparsa di danni – in modo particolare alle vie respiratorie. Ad esempio su modelli animali è stato documentato che i composti di alluminio, adsorbiti sulla superficie del quarzo, ne riducono l’attività biologica e quindi è possibile che gli altri minerali presenti nel materiale litico o nell’asfalto fresato esercitino un effetto protettivo sul polmone rispetto alle lesioni indotte dalla silice cristallina; d’altronde gli altri componenti di questo particolato possono essere a loro volta dotati di attività biologica, dando origine a quadri particolari di pneumoconiosi dette “da polveri miste”, simili ma non uguali alla silicosi e di difficile inquadramento nosologico.
Misure di prevenzione e protezione
Sulla base degli elementi precedentemente analizzati, è possibile individuare alcune misure di prevenzione e protezione al fine di ridurre il rischio chimico e cancerogeno/mutageno nei comparti in esame.
1. comparto “produzione di asfalti”
Una periodica ed accurata attività di controllo e manutenzione degli impianti, con particolare riferimento alle possibili sorgenti di emissione (nastri trasportatori, bocchette di prelievo, giunti e guarnizioni dei silos, …), consentirà di prevenire fenomeni di dispersione di contaminanti e conseguente diffusione nell’ambiente circostante, nonché situazioni di emergenza. Inoltre è necessario adottare un rigoroso programma di misure igieniche e di pulizia quotidiana dell’impianto, al fine di evitare la contaminazione diffusa ed incontrollata proveniente dalle emissioni delle zone sporche di residui o da piccole ma costanti fuoriuscite.
Se l’alimentazione di inerti avviene manualmente, si deve prevedere un idoneo impianto di aspirazione polveri; in ogni caso l’intero circuito di alimentazione degli inerti al miscelatore dovrebbe essere coperto, in modo da confinare l’emissione diffusa di polveri in ambiente.
2. comparto “asfaltatura”
Le azioni da porre in atto per garantire le migliori condizioni di tutela della salute dovrebbero prevedere i seguenti interventi:
a. interventi sulle procedure e sui materiali
E’ necessario porre particolare attenzione alla temperatura di stesa, che non dovrà mai superare i 160°C in modo da limitare le emissioni sia di idrogeno solfuro che di IPA. Da questo punto di vista appaiono interessanti le possibilità offerte dai conglomerati bituminosi a freddo che consentono temperature di stesa intorno ai 60-70°C; ma la sostituzione degli asfalti tradizionali con questi materiali richiede altresì una grande attenzione alla loro composizione, dal momento che i componenti caratterizzanti di questi preparati possono apportare altri rischi di tipo chimico che devono essere preventivamente valutati in modo che sia possibile scegliere la migliore alternativa ai prodotti in uso.
b. interventi sulle attrezzature
Sebbene l’attività di asfaltatura avvenga all’aperto, le modalità operative espongono gli operatori a bordo macchine ed a terra a quantità di fumi non sempre trascurabili. Il banco di stesa dovrebbe essere quindi dotato di appositi pannelli protettivi, con possibilità di inserimento di condotti di aspirazione immediatamente sul punto di emissione per allontanare i fumi prodotti dalla lavorazione. Dal punto di vista tecnico, la progettazione di un tale sistema non risulta di semplice attuazione; le maggiori difficoltà sono legate alla difficile determinazione della portata aspirante. Inoltre è da valutare l’efficacia dell’intervento anche in termini di ricaduta del particolato al suolo.
E’ auspicabile che le macchine vibrofinitrici siano dotate di cabine o tettoie ventilate atte a proteggere l'operatore a bordo dall’inalazione del materiale particellare aerodisperso.
E’ poi fondamentale che tutte le macchine e le attrezzature di lavoro siano sottoposte a regolare e sistematica pulizia ed a manutenzione preventiva e periodica.
3. comparto “impermeabilizzazione”
a. interventi sulle procedure e sui materiali
La sostituzione non è di difficile attuazione per quanto concerne le vernici bituminose: esistono prodotti analoghi che non contengono idrocarburi alogenati ma solventi di minore pericolosità (quali toluene e xilene), che richiedono comunque una valutazione del rischio legato all’esposizione e l’adozione di procedimenti di lavoro per ottimizzarne le prestazioni.
Anche per membrane bituminose o guaine bituminose esistono possibili alternative, come:
- membrane a minore contenuto di bitumi a cui si sopperisce, nella formulazione, con un maggior contenuto di polimeri: il punto critico resta comunque la fiammatura delle membrane stesse, che origina svariati composti pericolosi;
- guaine liquide ad acqua: si tratta di emulsioni di polimeri elastomerici, resine sintetiche, plastificanti e pigmenti in acqua; in questo caso viene eliminato il problema della fiammatura anche se sussisterà sempre un’emissione, più contenuta, di co-solventi;
- membrane bituminose autoadesive, posate per pressatura senza necessità di fiammatura (con conseguente riduzione dell’emissione di IPA ed altri composti); in caso di superficie polverosa o porosa è però sempre necessario il trattamento preliminare del supporto con prodotti grippanti (vernici bituminose).
b. interventi sulle attrezzature
Anche qui è fondamentale che utensili ed attrezzature di lavoro siano sottoposte a regolare e sistematica pulizia ed a manutenzione preventiva e periodica
Appare invece di difficile attuazione, sia dal punto di vista tecnologico che delle modalità operative, l’aspirazione dei fumi/vapori rilasciati nelle fasi imputate della generazione di prodotti pericolosi.
In tutti i comparti in esame, qualora non sia possibile adottare presidi collettivi o ad integrazione di questi, è consigliato il ricorso all’utilizzo di indumenti di lavoro a copertura del corpo e di Dispositivi di Protezione Individuale per mani, piedi, corpo e vie respiratorie, al fine di elevare il livello di protezione personale dall’inalazione e dalla deposizione cutanea del particolato, dei vapori e dei fumi – specialmente in quelle fasi del processo lavorativo dove non è tecnicamente possibile adottare presidi di protezione collettiva o questi non sarebbero efficaci.
Conclusioni e ipotesi di potenziamento dell’azione preventiva
A fronte dell’indubbio miglioramento delle condizioni di lavoro negli ultimi decenni - che ha condotto ad una riduzione sostanziale dei livelli di esposizione – dallo studio condotto emergono dati che lasciano intravedere nei comparti esaminati lo sviluppo di possibili danni alla salute. Ciò nonostante, gli elementi attualmente conosciuti non consentono di affermare con precisione né l’esistenza di tali danni né le circostanze espositive che possono, con maggior probabilità, condurre a tali danni: in definitiva, i dati emersi ad oggi non permettono di definire il rischio né, di conseguenza, di stabilire uno standard di prevenzione e protezione che possa fare da riferimento nei comparti in esame.
Le ragioni di questa carente cognizione non sono solo oggettive - ovvero determinate da concrete difficoltà di indagine in situazioni che possono presentare numerosi fattori di variabilità - ma anche metodologiche. A conclusione dell’analisi sviluppata, si può affermare che diversi sono gli elementi che sarebbe auspicabile migliorare.
¡ Maggiore coordinamento tra gli specialisti della prevenzione: è necessaria la composizione dei differenti contributi (medici, tossicologici, igienistici, tecnici) in un quadro di continuo confronto fra le diverse prospettive per poter definire il problema nella sua complessità ed orientare la ricerca futura.
¡ Studi tossicologici centrati sull’esposizione multipla e/o contemporanea ad agenti chimici potrebbero fornire indicazioni per definire il rischio per la salute in presenza di interazioni tossicologiche (quali meccanismi di potenziamento, di sinergismo, di depotenziamento fra specie chimiche).
¡ Banca-dati delle esposizioni di comparto: gli studi di esposizione effettuati sono numericamente insufficienti a caratterizzare il rischio occupazionale al variare delle diverse condizioni ambientali e delle modalità operative; un insieme di rilievi ambientali e biologici, definiti a livello nazionale o regionale, potrebbero costituire una banca-dati in grado di descrivere con un adeguato livello di accuratezza il livello di rischio chimico e cancerogeno dei comparti in esame, com’è già stato fatto per altri fattori di rischio.
¡ Nuovi criteri metodologici negli studi epidemiologici:
- l’esclusione a priori dei soggetti portatori di fattori di confondimento,anziché la correzione di tali fattori a posteriori, permetterebbe di ottenere dati nitidi e non invalidati da limiti di affidabilità; prolungando i tempi di studio si raggiungerebbe anche la numerosità necessaria a conferire significatività statistica ai risultati;
- l’utilizzo, come indicatore della dose assunta, dei livelli biologici di esposizione anziché dei livelli di esposizione ambientale permetterebbe di tenere in conto le variabili ambientali ed il percorso metabolico che conducono dall’esposizione alla dose effettiva;
- l’introduzione delle conoscenze in merito all’effetto dei polimorfismi genetici(ben studiati per gli IPA) sulla suscettibilità agli xenobiotici, attraverso la stratificazione del gruppo studiato in “sottopopolazioni” distinte dalla suscettibilità genetica, consentirebbe di comprendere il peso di questo fattore rispetto al rischio.
¡ Migliore informazione nella catena di approvvigionamento dei prodotti chimici: viene solitamente garantita attraverso la scheda di sicurezza, ma spesso il livello di accuratezza di questa documentazione è scarso; in merito a ciò un ruolo sostanziale può essere ricoperto dalle associazioni di categoria, che svolgono un’importante funzione di sostegno verso le aziende associate - specie per le piccole imprese caratteristiche di questo settore. Le linee guida promosse da ISPESL e SITEB e recentemente messe a punto[1] si muovono in questa direzione.
© dott.ssa Giuseppina Paolantonio (giusi_paolantonio@libero.it)
Fine della terza e ultima parte, la versione completa riassumente i 3 articoli è disponibile per gli abbonati nella banca dati.
[1] Spagnoli G., Tranfo G., Fabrizi G., Govoni C. et al., “La valutazione del rischio chimico nei processi di produzione e stesa dei conglomerati bituminosi e definizione delle relative procedure di sicurezza”, collana RisCh, Modena 2005
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