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LA VOCE DEI LETTORI

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Rischio chimico

18/01/2006

PuntoSicuro pubblica la seconda parte dell’estratto della tesi di laurea di una lettrice che analizza il rischio chimico nelle attività di produzione di asfalti, asfaltatura e impermeabilizzazione.

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Continua la pubblicazione (per motivi pratici la pubblicazione è divisa in 3 parti) di un estratto della tesi di laurea di una lettrice che analizza il rischio chimico nelle attività di produzione di asfalti, asfaltatura e impermeabilizzazione.

 

In questa seconda parte sono descritti i profili qualitativi di esposizione agli agenti chimici, mentre nella terza parte saranno illustrate le evidenze di danno e di rischio e le misure di prevenzione e protezione.

 

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RISCHIO CHIMICO NELLE ATTIVITÀ DI PRODUZIONE DI ASFALTI, ASFALTATURA, IMPERMEABILIZZAZIONE.

 

La caratterizzazione del rischio derivante dall’utilizzo di agenti chimici e la scelta di idonee misure di prevenzione e protezione.

 

A cura della dott.ssa Giuseppina Paolantonio.

 

 

In conseguenza dell’analisi dei processi di lavoro schematizzati nella prima parte, è possibile tracciare un profilo di comparto dell’esposizione qualitativa ad agenti chimici.

 

Profili qualitativi di esposizione ad agenti chimici

Per quanto concerne il prodotto bitume, presente in molti dei materiali utilizzati nelle attività lavorative descritte, trattandosi di una miscela complessa è necessario analizzare meglio quali dei suoi componenti siano effettivamente biodisponibili nelle diverse condizioni operative riscontrate. Occorre anche considerare che nei processi lavorativi in esame il prodotto è soggetto a ripetute sollecitazioni termiche che gradualmente ne alterano la composizione originaria, con esiti difficilmente prevedibili: ciò introduce un’ulteriore difficoltà nello stabilire a cosa esattamente gli operatori siano esposti e nel discuterne le caratteristiche tossicologiche.

La principale problematica che si pone rispetto alla tutela della salute riguarda la possibile esposizione a Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), una vasta classe di composti complessi a più nuclei aromatici condensati che sono da molto tempo studiati per le proprietà cancerogene sospette e, in diversi casi, accertate. In sé, il bitume ottenuto industrialmente dal petrolio ha, a causa del processo di distillazione, un contenuto in IPA che sembra essere sempre attestato a livelli molto bassi; questo aspetto differenzierebbe notevolmente i bitumi dal catrame (caratterizzato già all’origine da un notevole contenuto in IPA) ed anche dal bitume ossidato la cui composizione, a causa del processo di produzione, presenta un discreto contenuto in IPA e ne fa un materiale considerato da IARC un possibile cancerogeno (gruppo 2B)[1]. E’ però assodato che il bitume (tal quale o compreso in formulazioni) ed il bitume ossidato, in seguito a processi di riscaldamento, incorrano in processi di cracking termico delle complesse molecole organiche costituenti, generando così fumi ed aerosol con presenza di idrocarburi aromatici tra i quali spiccano gli IPA in quantità anche notevolmente superiore a quella originariamente presente. Quindi nei comparti lavorativi in esame vi è un’indubbia esposizione a IPA, dal momento che il riscaldamento è una condizione non solo ricorrente ma generalmente necessaria a garantire un’efficace produzione ed applicazione dei materiali contenenti bitume e bitume ossidato. Gli studi di misura dell’esposizione, inoltre, chiariscono la presenza di IPA considerati cancerogeni o sospetti tali sia nei materiali che nei fumi emessi.

Dal bitume e dal bitume ossidato (e dai derivati che li contengono), sempre a causa del surriscaldamento, si può inoltre verificare l’emissione di idrogeno solfuro, gas di elevata tossicità acuta con rapidi effetti sul sistema nervoso centrale e sull’apparato respiratorio.

I comparti “produzione conglomerati bituminosi” ed “asfaltatura” sono poi entrambi interessati da una problematica importante come l’esposizione a particolato solido; la frazione respirabile del particolato, essendo capace di raggiungere agevolmente gli alveoli, è quella maggiormente imputata di generare disturbi cronici degenerativi, quali bronchite cronica e broncopneumopatia cronica ostruttiva, asma bronchiale, enfisema polmonare, alterazioni fibrotiche del parenchima polmonare; si sospetta inoltre che abbia un ruolo determinante nel causare o co-causare la comparsa di tumori polmonari.

E’ da rilevare a questo proposito la possibile presenza nel particolato solido di silice libera cristallina, a causa dell’inclusione di materiali quarziferi - prevalentemente scarti della lavorazione del porfido o del basalto - nell’asfalto allo scopo di aumentarne la resistenza all’usura ed il potere drenante (pratica diffusasi nell’ultimo decennio soprattutto nel nord Italia, dapprima solo in tratti autostradali ma poi anche su strade statali o regionali). La lesione caratteristica dell’esposizione a silice cristallina, la silicosi – una fibrosi polmonare evolutiva - non solo è una delle malattie professionali più antiche, ma rappresenta ancora oggi un problema di salute rilevante a livello mondiale. Inoltre la silice libera cristallina è anche, se proveniente da particelle neo-formate, un cancerogeno accertato[2]: rispetto ai comparti in esame questo aspetto è particolarmente preoccupante, dal momento che la fresatura del manto stradale a base di asfalto contenente quarzo produce certamente polveri di silice libera cristallina “fresche” e quindi altamente reattive in senso cancerogeno.

Infine, nel comparto “impermeabilizzazione” le formulazioni commerciali di vernici bituminose o di guaine bituminose contengono solventi quali toluene e xilene, ma anche solventi alogenati (quali diclorometano, tricloroetilene, tetracloroetilene) dall’indubbia efficacia solvente verso miscele complesse di natura oleosa come il bitume; l’indagine sulle schede di sicurezza di alcune formulazioni molto utilizzate ha rilevato una preponderanza di solventi alogenati, in percentuali fino al 70% della composizione chimica. Dal punto di vista tossicologico, i solventi alogenatipossono essere trattati come una categoria alquanto omogenea, nonostante sussistano differenze nel loro metabolismo e nelle evidenze di danno emerse. A livello acuto, i danni coinvolgono sistema nervoso centrale, cuore, fegato, reni; l’esposizione cronica può indurre la sindrome psico-organica e condurre al possibile sviluppo di tumori.

I profili di esposizione che, sulla base delle considerazioni sopra espresse, emergono quali maggiormente rappresentativi per i comparti esaminati sono sintetizzati nel seguente prospetto:

© dott.ssa Giuseppina Paolantonio (giusi_paolantonio@libero.it)

 

Fine della seconda parte.

La terza e ultima parte sarà pubblicata nei prossimi numeri.

 


[1] AA.VV., “Polynuclear Aromatic Compounds, Part 4: Bitumens, Coal-Tars and Derived Products, Shale-Oils and Soots”, Monographs on the evaluation of the carcinogeninc risk to humans – volume 35, International Agency for Research on Cancer, Lyon 1985; AA.VV., “Overall evaluations of carcinogenicity: an updating of IARC Monographs volumes 1 to 42”, Supplemento n. 7, IARC, Lyon 1987

[2] “Silica, some silicates, coal dust and para-aramid fibrils”, Monographs on the evaluation of the carcinogeninc risk to humans – vol. 68, International Agency for Research on Cancer, Lyon 1997

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