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Rimozione di tubazioni in cemento amianto: sicurezza e piani di lavoro

Rimozione di tubazioni in cemento amianto: sicurezza e piani di lavoro
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Rischi da amianto

09/09/2019

L’Inail fornisce istruzioni operative per la rimozione in sicurezza delle tubazioni idriche interrate in cemento amianto. Le esposizioni sporadiche e di debole intensità, il piano di lavoro, gli interventi di urgenza e le tecniche di rimozione.

 

Roma, 9 Set – Per gli interventi che comportano “demolizione o rimozione di materiali contenenti amianto, quindi anche per quelli che prevedono la demolizione e rimozione di tubazioni interrate in cemento amianto o porzioni di esse, la normativa prevede la presentazione di un Piano di lavoro (Pdl) all’Azienda unità sanitaria locale (Ausl) competente per territorio”, come richiesto dall’art. 256 del decreto legislativo 81/2008 e s.m.i..

E per le attività manutentive che possono comportare un “ rischio di esposizione ad amianto, quali ad esempio la posa di guarnizione con fascia di contenimento in acciaio inox, è invece richiesto l’invio di una notifica all’organo di vigilanza competente per territorio”, con riferimento all’art. 250 dello stesso decreto.

 

A ricordare questi ed altri aspetti correlati alla rimozione di tubazioni interrate in cemento amianto e a fornire precise istruzioni per la sicurezza è il documento, prodotto dal Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici (DIT) dell’ Inail, dal titolo “Rimozione in sicurezza delle tubazioni idriche interrate in cemento amianto. Istruzioni operative Inail per la tutela dei lavoratori e degli ambienti di vita”.

 

Gli argomenti trattati nell’articolo:



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Le esposizioni sporadiche e di debole intensità

Dopo aver accennato, come indicato a inizio articolo, ai necessari piani di lavoro e notifiche, il documento ricorda alcune indicazioni relativamente all’applicazione delle esposizioni sporadiche e di debole intensità (Esedi, articolo 249, comma 2, del decreto legislativo 81/2008 e s.m.i.) nelle attività manutentive che possono comportare un rischio di esposizione ad amianto.

 

In particolare la Circolare del 25 gennaio 2011 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, contenente gli ‘ Orientamenti pratici per la determinazione delle esposizioni sporadiche e di debole intensità (ESEDI) all’amianto nell’ambito delle attività previste dall’art. 249, comma 2 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 come modificato e integrato dal d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106’, “contempla fra le attività elencate nell’Allegato 1, che possono rientrare in questo regime, anche gli ‘interventi di emergenza per rottura, su condotte idriche solo finalizzati al ripristino del flusso e che non necessitino l’impiego di attrezzature da taglio con asportazione di truciolo’ (Allegato 1, lettera a)”.

 

Tuttavia – continua il documento Inail – per rientrare nelle attività Esedi, il datore di lavoro “deve dimostrare chiaramente, nella valutazione dei rischi, che il valore limite di esposizione all’amianto non è superato nell’aria dell’ambiente di lavoro e gli interventi effettuati devono rispettare i criteri riportati nella predetta Circolare:

  • attività effettuate per un massimo di sessanta ore l’anno;
  • per non più di quattro ore per singolo intervento e per non più di due interventi al mese;
  • che corrispondono ad un livello massimo di esposizione a fibre di amianto pari a 10 fibre/litro (ff/l) calcolate rispetto ad un periodo di riferimento di otto ore;
  • all’intervento non devono essere adibiti in modo diretto più di tre addetti contemporaneamente e, laddove ciò non sia possibile, il numero dei lavoratori esposti durante l’intervento deve essere limitato al numero più basso possibile”.

E il rispetto di tali criteri “deve essere espressamente documentato”.

 

Inoltre si evidenzia altresì che il ricorso al regime di “Esedi” è “consentito solo alle imprese non iscritte all’Albo nazionale dei gestori ambientali in Categoria 10, come espressamente previsto dalla circolare del 25.01.2011: ‘le aziende iscritte alla categoria 10 dell’Albo nazionale dei gestori ambientali non possono usufruire delle facilitazioni previste dall’art. 249, comma 2 del d.lgs. 81/08 e s.m.i.’”.

 

I casi di urgenza e la presentazione del piano

Il documento indica poi che nelle situazioni di urgenza, la presentazione del Piano di lavoro (Pdl) “può rientrare nei casi previsti all’articolo 256, comma 5 del decreto legislativo 81/2008 e s.m.i., per cui ‘l’obbligo del preavviso di trenta giorni prima dell’inizio dei lavori non si applica nei casi di urgenza. In tale ultima ipotesi, oltre alla data di inizio deve essere fornita dal Dl indicazione dell’orario di inizio delle attività’”.

 

E dunque il datore di lavoro è tenuto “ad inviare il Pdl all’Ausl prima dell’inizio dei lavori, specificando l’ora di inizio delle attività; decade soltanto l’obbligo di inviare il piano almeno trenta giorni prima dell’inizio dei lavori”.

 

Si ricorda poi che in caso di danneggiamento o cedimento strutturale della tubazione in cemento amianto (totale o parziale), “considerato l’obbligo delle aziende dei servizi a rete, che gestiscono l’approvvigionamento idrico secondo una specifica carta dei servizi, di garantire la continuità del servizio ripristinando la fornitura nel minor tempo possibile, gli interventi possono essere generalmente considerati come ‘casi di urgenza’ e quindi rientranti tra quelli previsti all’articolo 256, comma 5 del decreto legislativo 81/2008 e s.m.i.”. In ogni caso la responsabilità della classificazione come intervento di urgenza “resta in capo al Dl e il Servizio per la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro (Spsal) territorialmente competente potrà avviare specifiche verifiche puntuali per constatare se sussistevano gli effettivi presupposti dell’intervento in urgenza”.

 

La sicurezza e le procedure di rimozione di tubazioni idriche

Il documento riporta dunque una procedura metodologica per gli interventi di rimozione di tubazioni idriche interrate in cemento amianto “per agevolare l’operato dei lavoratori addetti al settore e degli Organi di controllo competenti per territorio”. E le indicazioni riguardano le “rimozioni parziali o totali di tubazioni in cemento amianto, effettuate con tecniche tradizionali di scavo a cielo aperto, a prescindere dal ripristino della funzionalità della rete o meno”.

 

Infatti non sono presi in considerazione gli interventi con “tecniche alternative del tipo no-dig o trenchless (‘senza scavo’ o ‘senza trincee’), impiegate per il risanamento (Cured-In-Place, Pipe Lining, etc.) e/o per la sostituzione delle tubazioni esistenti, e/o per la posa in opera di nuove infrastrutture di rete, ricorrendo a limitati scavi a cielo aperto (entità di scavo pari al 10-15% di quella richiesta dalle procedure tradizionali)”. Tali tecnologie - segnala il documento Inail - presentano “l’indubbio vantaggio di ridurre i tempi di realizzazione dell’intervento, di essere più economiche e meno invasive di quelle tradizionali, ma nel caso specifico non tutte sono applicabili alle tubazioni interrate in cemento amianto”.

 

Esistono poi tecnologie no-dig “mediante le quali è possibile preservare la tubazione esistente, anche se danneggiata o semplicemente da preservare, ricostruendo la superficie interna con prodotti e/o materiali compatibili con l’utilizzo a contatto di acqua potabile. Queste tecnologie comprendono sia il rivestimento interno con malte cementizie o resine (se la tubazione esistente presenta ancora la necessaria resistenza statica), sia l’inserimento all’interno della tubazione di un liner strutturale in grado di resistere di per sé alle sollecitazioni derivanti dall’esercizio, lasciando al vecchio tubo la sola funzione di tubo-guida”.

 

Inoltre una delle tecniche no-dig impiegate per la sostituzione di condotte esistenti in cemento amianto, “soprattutto in ambito urbano, non conforme con quanto disposto dalle normative vigenti in materia di amianto, è quella del ‘pipe bursting’, o ‘spacca tubo’, che prevede la demolizione senza rimozione della condotta esistente e il contemporaneo inserimento di una nuova, anche di diametro superiore”. Questa tecnica, pur presentando “vantaggi in termini di facilità e tempi di esecuzione dell’intervento, determina la rottura volontaria delle tubazioni in cemento amianto, con conseguente incremento di dispersione di fibre nel terreno (in antitesi con quanto previsto dal decreto ministeriale 6 settembre 1994)”, e permanenza in posto di materiali contenenti amianto (MCA) frantumati con possibili rischi futuri.

 

Il documento riporta poi ulteriori indicazioni su altre tecnologie alternative mostrando, in questo modo, la complessità dell’argomento, “che deve tenere conto al contempo sia della normativa specifica in materia di amianto, sia di quella inerente la sicurezza dei lavoratori, nonché di quella concernente la tutela dell’ambiente e gestione del territorio”.

 

E, infine, a fini prevenzionali, si ricorda che “il decreto ministeriale 101/2003 disciplina la realizzazione di una mappatura delle zone del territorio nazionale interessate dalla presenza di amianto, ai sensi dell’articolo 20 della legge 93/2001. Ai fini di una corretta gestione degli interventi, le aziende e/o i Comuni dovrebbero dunque procedere a una precisa individuazione e localizzazione di tutte le reti dei servizi presenti nell’area, sia in cemento amianto che non”. E sarebbe pertanto necessario “reperire tutta la documentazione tecnica disponibile indicante i tracciati planimetrici delle reti interrate, la loro tipologia, l’anno della messa in posa/servizio per singola area di intervento”. Le informazioni dovranno poi “essere rese facilmente fruibili su piattaforma informatica” per gli operatori addetti alle attività, “sia pianificabili che in pronto intervento”.

 

 

 

RTM

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

Inail, Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti ed insediamenti antropici, “ Rimozione in sicurezza delle tubazioni idriche interrate in cemento amianto. Istruzioni operative Inail per la tutela dei lavoratori e degli ambienti di vita”, a cura di Federica Paglietti, Sergio Malinconico, Beatrice Conestabile della Staffa, Sergio Bellagamba, Paolo De Simone e con la partecipazione di Crescenzo Massaro, Daniele Taddei, Ivano Lonigro, per l’elaborazione del documento hanno collaborato anche Adriano Paolo Bacchetta, Riccardo Melloni, Marco Morone, Adriano Albonetti, Federico Bracciotti e Annalisa Lantermo, edizione 2019 (formato PDF, 8.19 MB).

 

 

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