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Cos’è il sistema SARI?

Cos’è il sistema SARI?
Adalberto Biasiotti

Autore: Adalberto Biasiotti

Categoria: Privacy

22/03/2023

Già da qualche anno è in funzione un sistema automatico di riconoscimento facciale, del quale poco si sa e sul quale molti esperti, compresa l’autorità Garante per la protezione dei dati personali, hanno avanzato perplessità. Di che si tratta?

Il sistema SARI (sistema automatico di riconoscimento immagini) è stato attivato in Italia nel 2018. In realtà, non ci troviamo davanti ad un solo applicativo, ma a due ben diversi applicativi, contrassegnati dai codici:

 

SARI Enterprise e

SARI Real Time.

 

Il primo sistema è stato attivato dalla metà del 2018, in Italia, e viene utilizzato per attività di contrasto al terrorismo e identificazione di soggetti sospetti.

 

Si tratta di un sistema di riconoscimento facciale, sviluppato da un’azienda privata, che permette di confrontare le immagini riprese dai sistemi di videosorveglianza con immagini contenute nella ormai famosa banca data AFIS (automatic fingerprint identification system). Questa banca dati, per la prima volta messa a punto degli Stati Uniti, permette di effettuare il confronto automatico fra un’impronta digitale, acquisita ad esempio sulla scena di un crimine, e l’archivio delle impronte digitali già memorizzate presso le forze di polizia.


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Credo che nessun lettore, che abbia visto qualche episodio della serie televisiva CSI, non sia già a conoscenza di questo archivio.

 

Quando viene costruita la scheda delle impronte digitali di un soggetto, si inseriscono anche le fotografie del soggetto stesso, se disponibili.

 

Queste fotografie, in particolare, sono conservate nel casellario centrale d’identità della polizia criminale, con sede all’Eur, quasi dirimpetto al grattacielo dell’Eni. Non sono disponibili dati accurati sul numero di schede già archiviate, ma si parla di numeri compresi fra 10 e 15 milioni di immagini.

 

La differenza fondamentale fra i due sistemi SARI sopraelencati sta nel fatto che SARI Enterprise, che è nato per primo, è stato già sottoposto ad un’analisi da parte della Garante per la protezione dei dati personali, per verificare il rispetto di tale applicativo, nei confronti delle disposizioni del G d.p.r.

 

In pratica, il sistema SARI Enterprise allevia il carico di lavoro dell’operatore, senza introdurre operazioni supplementari, potenzialmente in grado di violare le disposizioni in materia di dati personali.

Ben diversa invece la situazione del secondo applicativo: SARI Real Time.

 

Quest’ultimo è stato sottoposto ad un’attenta valutazione da parte dell’autorità Garante per la protezione dei dati personali, che ha avanzato numerose perplessità, ben evidenziate nel documento seguente:

 

https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9575877

 

In questo caso, l’applicativo effettua un confronto in tempo reale fra immagini, catturate da impianti di videosorveglianza, e l’archivio dati del ministero degli interni.

 

È proprio questo applicativo che ha permesso, analizzando le immagini, che gli impianti videosorveglianza dalla stazione Termini avevano catturato, con riferimento all’aggressore della turista israeliana, di reperire una corrispondenza, che ha portato alla diffusione della fotografia del sospetto e al suo successivo arresto alla stazione centrale di Milano.

 

L’attenta lettura del documento del Garante, sopra menzionato ed emesso in data 20 marzo 2021, mette in evidenza le ragioni per cui l’autorità Garante è assai perplessa sul suo utilizzo.

 

Il problema di fondo, che d’altronde coinvolge tutti questi applicativi, usati in vari paesi del mondo, è legato alla indicazione dei parametri dell’algoritmo di riconoscimento, che, se troppo allargati, danno delle indicazioni poco significative, mentre, se molto ristretti, concentrano l’attenzione su pochi soggetti, potenzialmente del tutto innocenti.

 

Su questo bollettino più volte sono stati fatti riferimenti a valutazioni non particolarmente positive su algoritmi di riconoscimento facciale, utilizzati in vari parte di mondo. Ad esempio, in un recente studio è apparso evidente come questi algoritmi fossero concentrati su soggetti maschili e di colore, aumentando la probabilità di identificazioni presumibilmente positive, rispetto a identificazioni di soggetti femminili e bianchi.

 

Come più volte l’autorità Garante ha messo in evidenza, può essere assai difficile trovare un punto di incontro, ragionato e ragionevole, tra le esigenze di tutela della sicurezza della società civile e le esigenze di tutela dei dati personali di singoli soggetti.

 

Adalberto Biasiotti




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