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L’art. 136 del D.Lgs. 81/08 sul montaggio, uso e smontaggio dei ponteggi

L’art. 136 del D.Lgs. 81/08 sul montaggio, uso e smontaggio dei ponteggi

L'art. 136 del d. lgs. n. 81/08, che mira a garantire la stabilità dei ponteggi destinati allo svolgimento di lavori in quota, non smette di essere applicabile se il lavoratore opera nella parte più bassa del ponte ad una altezza inferiore ai due metri.

È l’art. 136 del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 questa volta al centro di una sentenza della IV Sezione penale della Corte di Cassazione, quell’articolo del Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro che detta le misure di sicurezza da adottare nel montaggio, uso e smontaggio dei ponteggi utilizzati per l’effettuazione dei lavori in quota. L’infortunio di cui alla sentenza in argomento e per il quale il datore di lavoro di una impresa edile, condannato nei due primi gradi di giudizio, era ricorso alla Corte di Cassazione per l’annullamento della sentenza di condanna, era accaduto a un lavoratore in un cantiere a seguito del ribaltamento di un ponteggio nel mentre erano in corso dei lavori di ristrutturazione di un fabbricato; un incidente potuto accadere in quanto il ponteggio non era stato realizzato sulla base del PiMUS appositamente predisposto né in conformità alle disposizioni del citato art. 136 del D. Lgs. n. 81/2008 e non era soprattutto risultato vincolato a strutture fisse.

 

L'art. 136 del D. Lgs. n. 81/2008, ha ricordato la suprema Corte, fissa delle regole di cautela per la realizzazione di ponteggi destinati alla esecuzione di lavori in quota, che, ai sensi dell'art. 107 dello stesso decreto legislativo, sono per definizione i lavori che espongono i lavoratori al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto ad un piano stabile. Nel caso in esame non vi era alcun dubbio di essere in presenza di lavori in quota dovendo effettuarsi la demolizione di una volta a più di tre metri di altezza per la cui realizzazione era stato predisposto appunto il ponteggio che si era poi ribaltato.

 

Avendo il datore di lavoro fondata la sua difesa sostanzialmente sul fatto che il lavoratore infortunatosi stava lavorando ai piani bassi del ponteggio e quindi certamente a una altezza inferiore ai due metri, la Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha ritenuta coerente la decisione assunta dalla Corte territoriale alle disposizioni del D. Lgs. n. 81/2008 e ha trovato l’occasione per chiarire che l'art. 136 dello stesso decreto legislativo, che mira a garantire la stabilità dei ponteggi destinati allo svolgimento di lavori in quota, non smette comunque di essere applicabile se il lavoratore si trova a operare nella parte più bassa del ponte ad una altezza inferiore ai due metri.



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Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.

La Corte di Appello ha confermata la sentenza emessa dal Tribunale con la quale l’amministratore unico di una società è stato ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 590 commi 1, 2, 3 e 583, comma 1 n. 1, cod. pen. ed è stato condannato alla pena di quattro mesi di reclusione; lo stesso, con la sentenza confermata in appello, è stato condannato anche al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile costituita (da liquidarsi in separato giudizio) e al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva pari ad 25.000 €.

 

Il procedimento aveva avuto ad oggetto un infortunio sul lavoro nel quale un dipendente della società aveva riportato delle lesioni personali, dalle quali erano derivate una malattia e l'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di quaranta giorni.

 

L’amministratore unico della società, con funzioni di datore di lavoro, era stato accusato di di aver causato le lesioni al lavoratore non avendo adottato le misure necessarie a garantire l'integrità fisica dei propri dipendenti. In particolare, secondo i giudici di merito, non aveva verificata la stabilità del ponteggio sul quale il lavoratore stava lavorando e aveva consentito che il ponteggio fosse stato costruito in difformità dalle indicazioni del Piano di montaggio, uso e smontaggio (PiMUS) non rispettando l'art. 136 del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81.

 

Secondo la ricostruzione compiuta dai giudici di merito, il lavoratore e un suo collega stavano lavorando alla ristrutturazione di un immobile e avevano provveduto alla demolizione della volta di copertura di una grande sala. Poiché dovevano operare in quota, i lavoratori avevano montato un ponteggio e ciò era avvenuto alla presenza del datore di lavoro che lavorava insieme ai propri operai. Il ponte veniva spostato all'interno della stanza via via che la volta veniva demolita e per questo non era stato ancorato alle pareti. I lavori di demolizione erano quasi ultimati e gli operai stavano provvedendo a ripulire dai detriti i piani del ponteggio (che si trovava in quel momento addossato a una parete), quando lo stesso si era ribaltato, abbattendosi sul pavimento ingombro dai detriti prodotti dalla demolizione della volta. I due lavoratori erano caduti al suolo; uno di loro era rimasto illeso e l’altro era stato trasportato in ospedale ove gli erano stati riscontrati gravi traumi da precipitazione.

 

Secondo l'ipotesi accusatoria, l’imputato si era reso responsabile dell'infortunio in cooperazione colposa col coordinatore dei lavori il quale non aveva verificato il rispetto del piano di sicurezza e coordinamento; quest’ultimo comunque, già in primo grado, era stato assolto dall'imputazione ascrittagli per non aver commesso il fatto.

 

Contro la sentenza della Corte di Appello il difensore dell’imputato ha proposto un tempestivo ricorso alla Corte di Cassazione. Lo stesso si è affidato a tre distinti motivi con i quali congiuntamente ha denunciato un difetto di motivazione e una violazione di legge in ordine all'erronea individuazione della posizione di garanzia dell'imputato e alla prevedibilità del fatto. Si è lamentato, in particolare, che la sentenza impugnata non avesse confutato le argomentazioni sviluppate dal consulente tecnico della difesa quanto alla dinamica dell'incidente. Ha osservato altresì che la penale responsabilità dell'imputato era stata affermata senza tenere conto degli obblighi imposti dalla legge al committente e al coordinatore dei lavori da lui nominato in un cantiere edile nel quale operano più imprese esecutrici e ha rilevato inoltre che il D. Lgs. n. 81/2008 disegna "una chiara e autonoma posizione di garanzia" in capo al committente. Ha sostenuto, infine, che la sentenza impugnata non aveva argomentato in ordine alla prevedibilità dell'evento e alla rilevanza causale rispetto ad esso della supposta violazione della regola cautelare.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

I motivi di ricorso, secondo la Corte di Cassazione, non hanno superato il vaglio di ammissibilità. La stessa ha osservato che la Corte territoriale, richiamando anche la dettagliata motivazione contenuta nella sentenza di primo grado, ha ritenuto decisive ai fini dell'affermazione della penale responsabilità dell'imputato le dichiarazioni rese dall'infortunato e da un teste che si trovava insieme a lui sul ponteggio. Da tali dichiarazioni era stato desunto che l'impalcatura si era ribaltata, che ciò era stato possibile inoltre perché non era ancorata benché l'ancoraggio fosse previsto dal Piano di montaggio uso e smontaggio ( PiMUS) appositamente predisposto.

 

A fronte di tali argomentazioni il ricorrente si è lamentato che non era stata presa in considerazione e confutata dalla sentenza impugnata la diversa ricostruzione del fatto operata dal consulente tecnico della difesa secondo la quale, al momento dell'infortunio, il lavoratore non si trovava sull'ultimo piano del ponteggio (ad una altezza di almeno tre metri da terra) bensì su un piano più basso. Tale circostanza di fatto, secondo la Sez. IV, quand'anche accertata, non avrebbe esclusa comunque l'applicazione dell'art. 136 D. Lgs. n. 81/08 che mira a garantire la stabilità dei ponteggi destinati allo svolgimento di lavori in quota e non smette di essere applicabile se il lavoratore opera nella parte più bassa del ponte ad una altezza inferiore ai due metri.

 

L'art. 136 del D. Lgs. n. 81/2008, ha precisato la suprema Corte, ha fissato regole di cautela per la realizzazione di ponteggi destinati alla esecuzione di lavori in quota e "si intende per lavoro in quota", ai sensi dell'art. 107 dello stesso D. Lgs., ogni attività lavorativa "che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto ad un piano stabile". Nel caso di specie non v'e dubbio che il lavoro di demolizione della volta dovesse svolgersi a più di tre metri di altezza e che, proprio per raggiungere la volta, era stato predisposto il ponteggio che si era ribaltato. Quel ponteggio, dunque, doveva essere realizzato in conformità alle disposizioni del citato art. 136 del D. Lgs. n. 81/2008, sulla base del PiMUS che era stato appositamente predisposto e, soprattutto, doveva esserne garantita la stabilità ciò che, secondo quanto concordemente riferito dai giudici di merito, non era avvenuto perché il ponte non era assicurato alle pareti per cui, proprio per questo, si era ribaltato.

 

Tali conclusioni, ha precisato la Sezione IV, non sono neppure state contestate nel ricorso. Il ricorrente, infatti, non aveva contestato né che il ponteggio si fosse ribaltato, né che non fosse ancorato e neppure che fosse stato montato alla presenza del datore di lavoro. A ciò deve aggiungersi che, come era risultato dalla sentenza di primo grado, aveva ammesso di non essersi attenuto alle indicazioni del PiMUS e di aver deciso di non ancorare il ponteggio alle pareti sia perché, procedendo nella demolizione della volta, lo stesso doveva essere spostato, sia perché, ancorandolo al muro si sarebbero rovinate le pareti. Dalla sentenza di primo grado inoltre era risultato che il datore di lavoro aveva ritenuto sufficiente ad assicurare la stabilità del ponteggio la predisposizione di "saette" costituite da "tavoloni" e che, quando si è verificato l'infortunio, lo stesso aveva provveduto a rimuovere queste "saette", perché la demolizione della volta era terminata e il ponteggio doveva essere smontato. Si era così desunto che l'imputato aveva previsto un sistema di stabilizzazione alternativo a quello indicato nel PiMUS e che lo aveva rimosso, così destabilizzandolo quando i lavoratori si trovavano ancora sul ponteggio.

 

Secondo la Corte di Cassazione, in conclusione, le sentenze di primo e secondo grado avevano fornito, per quanto riguarda la penale responsabilità dell’imputato, una motivazione completa, non contraddittoria e non manifestamente illogica. Avevano inoltre fatto una corretta applicazione del D. Lgs. n. 81/2008 che, all'art. 136, detta regole cautelari volte a garantire la sicurezza dei ponteggi realizzati per consentire ai lavoratori di operare a più di due metri di altezza. Il ribaltamento del ponteggio, a seguito del quale il lavoratore era rimasto infortunato riportando gravi lesioni, doveva essere in verità impedito a prescindere dal fatto che al momento dell'accaduto i lavoratori si trovassero ad una altezza superiore o meno a due metri dal suolo.

 

La decisione quindi assunta dalla Corte territoriale non era, secondo la Sezione IV, da censurare né sotto il profilo dell'identificazione del rischio concretizzatosi, né per quanto riguarda le regole cautelari applicabili. Né alcuna importanza era da darsi alla motivazione con la quale la difesa si era lamentata che i giudici di merito non avessero tenuto conto dell'obbligo, gravante sul committente (e sul coordinatore per la sicurezza da lui nominato), di assicurare il rispetto del piano di sicurezza e coordinamento e di prevenire i rischi derivanti dalle interferenze tra le lavorazioni affidate a ditte diverse. E’ bastato in proposito rilevare che l'infortunio in esame non era stato determinato da interferenza tra le lavorazioni in quanto si era verificato in un luogo nel quale stavano operando solo dipendenti di una impresa e che erano stati i dipendenti della stessa a realizzare il ponteggio operando alla presenza del datore di lavoro e sulla base delle sue indicazioni.

 

Alla inammissibilità del ricorso è conseguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute per il giudizio di legittimità dalla parte civile. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non erano emersi elementi per ritenere che il ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, è seguito, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, determinata nella misura di 3.000 euro.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 1940 del 17 gennaio 2024 (u.p. 14 dicembre 2023) - Pres. Ciampi - Est. Vignale - P.M. Tampieri - Ric. omissis. - L'art. 136 del d. lgs. n. 81/08, che mira a garantire la stabilità dei ponteggi destinati allo svolgimento di lavori in quota, non smette di essere applicabile se il lavoratore opera nella parte più bassa del ponte ad una altezza inferiore ai due metri.





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