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Infortuni sul lavoro: evitabilità e causalità
Pubblichiamo un estratto dell’approfondimento monografico sul tema degli infortuni sul lavoro “La colpa negli infortuni sul lavoro” - Bollettino marzo 2015, Camera penale veneziana “Antonio Pognici”, per il sito internet www.camerapenaleveneziana.it che completa l’introduzione relativa alla Prevedibilità “soggettiva” dell’evento.
L’evitabilità dell’evento e la causalità della colpa
Precedentemente si è introdotto il tema che qui si esamina e che si ritiene assai rilevante, poiché rende coerente alla costituzione il principio dell’addebitabilità cosciente della colpevolezza, evitando cioè di giungere a forme di responsabilità oggettiva, come accadrebbe nel caso si ritenesse sufficiente a sostenere l’affermazione della responsabilità penale personale, esclusivamente basandosi sulla sussistenza del solo nesso eziologico tra azione od omissione ed evento, senza cioè che abbia rilievo la percezione soggettiva da parte dell’agente dell’azione od omissione che integrano la fattispecie criminosa.
Per comprendere appieno i contorni della responsabilità colposa, si deve avere riguardo dell’atteggiamento psicologico dell’agente, il quale ha l’obbligo giuridico preventivo (anche in ossequio al principio dettato dall’art. 5 c.p., che esclude come esimente l’ignoranza della norma penale incriminatrice) di considerare le conseguenze derivanti dal suo agire o non agire; cosicché egli dovrà rispondere per colpa tutte le volte in cui non abbia tenuto conto di tali conseguenze, violando così le regole di diligenza, perizia, prudenza nonché l’obbligo di osservare la legge.
La valutazione preventiva che deve svolgere l’agente dovrà essere valutata con giudizio “ex ante” dal giudice, ovvero considerata ponendosi nelle stesse condizioni dell’agente, prima dell’azione che ha determinato o concorso a determinare l’evento, ancorché si tratti di omissione.
Così ha sempre sostenuto la Corte di Cassazione: “In tema di colpa generica, l’individuazione della regola cautelare non scritta va effettuata provvedendo, prima, a rappresentare l’evento nei suoi elementi essenziali e, poi, a formulare l’interrogativo se tale evento fosse prevedibile ex ante ed evitabile con il rispetto della regola in oggetto, alla luce delle conoscenze tecnico – scientifiche e delle massime di esperienza” (Cass.Pen.Sez.IV,n.36400/2013).“In tema di reati colposi, l’addebito soggettivo dell’evento richiede non soltanto che l’evento dannoso sia prevedibile, ma altresì che lo stesso sia evitabile dall’agente con l’adozione delle regole cautelari idonee a tal fine (cosiddetto comportamento alternativo lecito), non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione ‘ex ante’, non avrebbe potuto comunque essere evitato”. [Fattispecie in cui imponenti colate di fango, dovute ad intensissime precipitazioni di pioggia, provocarono nel comune di Sarno 137 morti nella popolazione investita dal disastro naturale] (Cass.Pen.Sez.IV,n. 16761/2010).
Ove tale giudizio ex ante, svolto secondo i suddetti rigorosi criteri ermeneutici, porti ad affermare che non era prevedibile per l’agente, il quale si sia posto nelle migliori condizioni di cautela, prevedere che la sua azione od omissione abbia eziologicamente realizzato o concorso a realizzare l’evento dannoso, egli non ne potrà rispondere penalmente poiché viene meno l’elemento soggettivo richiesto per la punibilità del reato da parte della norma incriminatrice.
Ci si troverà in quest’ultimo caso dinanzi ad un’ipotesi di condotta alternativa a quella che avrebbe evitato (o concorso ad evitare, o comunque a rendere meno grave) l’evento che tuttavia sarà lecito, perché non soggettivamente imputabile all’agente con un giudizio di rimprovero comunque fondato su negligenza, od imprudenza, imperizia ovvero inosservanza di leggi o regolamenti (ovvero più di queste stesse mancanze assieme).
In questo caso, invero, di liceità di una condotta positiva od omissiva comunque causalmente collegata con l’evento dannoso, non potrà mai ritenersi insussistente la fattispecie criminosa nella sua materialità, ma il giudice dovrà in ogni caso, dopo un rigoroso percorso valutativo e motivazionale di accertamento dell’elemento soggettivo del reato con valutazione (lo si ripete) ex ante, assolvere l’interessato perché il fatto non costituisce reato, lasciando quindi libera l’iniziativa in sede civile al fine di ottenere l’eventuale risarcimento del danno da parte della persona danneggiata dall’evento dannoso.
Rapporti tra illeciti contravvenzionali di mera condotta e delitti colposi di evento (inspecie omicidio colposo e lesioni colpose ex artt. 589 e 590 c.p.)
Fino a questo momento si è trattato il tema della condotta colposa “lecita” nei reati di evento; vediamo ora quali significative considerazioni debbono svolgersi quanto ai reati di mera condotta in relazione alla colpa, per valutare se sia o meno possibile ravvisare, anche con riferimento agli stessi, una non imputabilità al soggetto autore materiale di quegli stessi reati, sia in forma commissiva che in forma omissiva. In generale, ci sentiamo di poter affermare che anche alla suddetta tipologia di reato sono applicabili i criteri dettati per i reati di evento quanto alla inesigibilità e quindi non prevedibilità della condotta.
Va peraltro detto che, in tali casi di reato di mera condotta, è veramente estremamente rigoroso e limitato il campo di applicazione di quella stessa esimente soggettiva, poiché in quei casi l’azione od omissione colposa si traduce pressoché automaticamente in una ignoranza della legge penale che, ai sensi dell’art. 5 c.p., non può essere mai addotta come esimente della responsabilità dell’agente.
Sul punto, tuttavia, vi è un importante temperamento dettato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 364/1988 (pronunciato in ordine alla costituzionalità del suddetto art. 5 c.p.) che è entrata, risolvendola in senso favorevole all’autore dell’illecito, proprio nel cuore del tema relativo all’elemento soggettivo del reato, anche colposo, affermando che, dinanzi a normative altamente specialistiche in continua evoluzione, non è esigibile in capo all’agente, pur diligente, una conoscenza immediata e completa conforme all’ordinamento giuridico, quanto meno da un punto di vista soggettivo.
Fatta tale precisazione, vale la pena di affrontare – trattando il tema di reato colposo – le importanti questioni giuridiche che si presentano, vuoi in materia di violazioni della normativa sulla tutela dell’incolumità dei lavoratori o dell’inquinamento, vuoi in materia di violazione delle norme sulla circolazione stradale (per lo più contravvenzioni di mera condotta) e gli eventi colposi di danno di cui agli artt. 589 e 590 c.p.
E’ normale prassi giudiziaria come possa coesistere una responsabilità colposa in relazione alle suddette contravvenzioni, mentre invece vada esclusa la responsabilità per l’evento danno (ben più grave delitto).
Quest’ultimo caso può realizzarsi, unicamente, quando difetti il nesso causale tra la contravvenzione di mera condotta realizzata dall’autore e l’evento e quando, indipendentemente dalla stessa, non residuino comunque aspetti di colpa generica (art. 43 comma 2 c.p.) in nesso causale con quello stesso evento (e perciò con il delitto!).
In questi casi, tuttavia, la responsabilità dovrà dirsi esclusa per insussistenza del fatto e non per difetto dell’elemento soggettivo, a meno che il giudice – una volta escluso il nesso tra reati contravvenzionali di mera condotta (norme speciali) ed evento – abbia ravvisato la sussistenza di una colpa “lecita” riferita alla colpa generica, secondo i criteri individuati nel paragrafo che precede il presente.
Problematiche specifiche: amianto, terremoto, etc.
A questo punto del presente lavoro, in un doveroso tentativo di una pur sintetica completezza del tema trattato, non possono non considerarsi le problematiche relative alla responsabilità colposa sotto il profilo soggettivo quando, oggettivamente, in un dato momento storico di conoscenza scientifica non è dato sapere degli eventi nefasti dell’esposizione ad un certo materiale (ad es. amianto) o del verificarsi di un evento disastroso o catastrofico ( terremoto, crollo di pareti rocciose) allo stato della conoscenza del tutto improbabile, ancorché fenomenologicamente sempre possibile.
La giurisprudenza si è trovata e si trova a dover affrontare simili temi e ha spesso risolto la questione della responsabilità colposa sotto il profilo soggettivo, superando anche il concetto di prevedibilità naturalistica (o specialistica) dell’agente in sfavore di quest’ultimo. Per risolvere le problematiche connesse a simili temi, la giurisprudenza è giunta invero ad elaborare vari principi ermeneutici che consentano di poter affermare un’effettiva “esigibilità” in capo all’agente di un’azione di cautela in un momento di non previsione/prevedibilità dell’evento dannoso.
Il criterio in parola è quello della “precauzione”: ove ci si trovi in una situazione di sconoscenza, o comunque di limitata conoscenza dei rischi o, meglio ancora, quando vi sia anche il solo sospetto di un rischio concreto (ad esempio alla salute dei lavoratori), l’agente dovrà adottare un principio prudenziale diretto a prevenire l’evento futuro ed incerto, anzi incertissimo, di danno, ancorché non ne possa ragionevolmente (o scientificamente) conoscere nemmeno i contorni (vedasi sentenza IV Sez. Cass. 30.03.2000, sopra riportata).
Naturalmente, in base all’esigenza di concretezza che richiede la norma in tema di responsabilità, anche colposa (la mera ipotesi non ha campo d’azione, pena il fallimento dell’intero sistema sanzionatorio per incertezza nell’individuazione della condotta cosciente censurabile), dovrà perciò utilizzarsi un criterio di temperamento nella valutazione dell’adeguatezza del comportamento umano di prevenzione, rispetto alla possibile futura minaccia, in modo tale che il destinatario della norma di garanzia sia in grado di coscientemente agire al fine della sua realizzazione.
Illuminante, con riguardo al principio sopra ricordato, è la sentenza della Corte Suprema, che qui si riporta: “Il giudizio di prevedibilità dell’evento dannoso va compiuto con l’utilizzazione del criterio dell’agente modello (“homo eiusdem professionis et condicionis”) quale agente ideale in grado di svolgere al meglio il compito affidatogli; in questo giudizio si deve tener conto non solo di quanto l’agente concreto ha percepito ma altresì di quanto l’agente modello avrebbe dovuto percepire valutando anche le possibilità di aggravamento di un evento dannoso in atto che non possano essere ragionevolmente escluse. La prevedibilità dell’evento dannoso, ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo del reato, va compiuto utilizzando anche le leggi scientifiche pertinenti, se esistenti; in mancanza di leggi scientifiche che consentano di conoscere preventivamente lo sviluppo di eventi naturali calamitosi l’accertamento della prevedibilità dell’evento va compiuto in relazione alla verifica della concreta possibilità che un evento dannoso possa verificarsi e non secondo criteri di elevata credibilità razionale (che riguardano esclusivamente l’accertamento della causalità) ferma restando la distinzione con il principio di precauzione che prescinde dalla concretezza del rischio” (Cass. Pen. Sez. IV, n. 16761/2010). [Luigi Ravagnan]
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