Decreto Fiscale: il primo segnale di attenzione per ridurre gli infortuni
Roma, 22 Ott – Finalmente il decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, recante “Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili” è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale con il Capo III (contiene l’articolo 13) dedicato al rafforzamento della disciplina in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. E dopo diversi anni di quasi immobilismo del legislatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro, questo rinnovato tentativo di trovare soluzioni per ridurre malattie professionali ed eventi infortunistici non può che essere accolto positivamente.
Anche le novità in materia di vigilanza – le competenze condivise tra aziende sanitarie locali e Ispettorato nazionale del lavoro - non possono che essere viste come un importante segnale, a mio parere giusto, per migliorare, rinforzare un aspetto importante, la vigilanza, elemento necessario per favorire una reale applicazione delle tutele richieste dalla normativa.
Per discutere finalmente del provvedimento definitivo – entrato in vigore oggi, 22 ottobre - abbiamo realizzato una serie di interviste, volutamente con domande molto simili, per comprendere se queste norme nuove sono quelle giuste di fronte ai numeri sempre troppo altri di infortuni e malattie in ambito lavorativo.
La prima persona che intervistiamo è l’avvocato Lorenzo Fantini, per lungo tempo dirigente della Divisione Salute e Sicurezza del Ministero del lavoro, ed è proprio lui a confermarci che il cosiddetto “ Decreto Fiscale” è “un primo, significativo, segnale di attenzione del Parlamento rispetto alla salute e sicurezza sul lavoro, dopo diversi anni di colpevole assenza”.
L’avvocato Fantini sottolinea anche come il magistrato Bruno Giordano, da luglio 2021 direttore dell’Agenzia unica per le ispezioni del lavoro denominata “ Ispettorato nazionale del lavoro” - potrà fornire finalmente un indirizzo “uniforme ed efficace” delle attività di vigilanza svolgendo “una proficua attività di coordinamento”. E conclude ricordando che la sicurezza deve essere considerata un “gioco di squadra in cui tutti vincono, persone che non si infortunano e famiglie che rimangono integre”.
Stiamo affrontando una emergenza in materia di salute e sicurezza sul lavoro? Qual è il parere sulle nuove norme in materia di salute e sicurezza? Sono quelle giuste per diminuire infortuni e malattie professionali? Ci sono eventuali criticità? Cosa ne pensa dei cambiamenti in materia di vigilanza? Ci sono norme che ritiene necessarie o importanti ma che non sono presenti nel decreto-legge?
L’intervista si sofferma sui seguenti argomenti:
- Sull’emergenza in materia di sicurezza e sulle nuove norme
- Sulle novità in materia di vigilanza e sui ritardi del SINP
- Sulle norme che mancano e sui problemi ancora da affrontare
Sull’emergenza in materia di sicurezza e sulle nuove norme
Si è parlato in questi mesi di una vera e propria emergenza in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Qual è la sua opinione sulla situazione infortunistica e delle tutele in questa fase di ripresa del mondo del lavoro? E se ritiene che siamo in una fase di reale emergenza, secondo lei quali sono le principali cause?
Lorenzo Fantini: Solo chi non conosce il fenomeno infortunistico (e i drammi umani che esso comporta) può sostenere che quella attuale sia una emergenza contingente. Intendo dire che i dati italiani degli infortuni e delle malattie professionali sono elevati (per quanto nella media europea e mondiale) da sempre. Diciamo, quindi, che solo ora la politica e i media "generalisti" se ne sono accorti e ne stanno parlando, cosa peraltro assolutamente positiva.
Tanto premesso, la circostanza che INAIL ci dica che gli indici degli infortuni (anche di quelli mortali) sono in crescita nel 2021 è circostanza molto preoccupante, in controtendenza rispetto al calo complessivo degli ultimi 10 anni (almeno a livello di infortuni, mentre le malattie professionali restano in crescita nel decennio), sulle cui cause occorre interrogarsi. Personalmente spero non si tratti dell'effetto - quasi che fosse inevitabile - di una ripresa economica che non tenga conto dei livelli minimi di tutela per i lavoratori, perchè da sempre ripeto che si può fare impresa in modo da non mettere in pericolo i lavoratori, anche nei momenti di attività imprenditoriale più intensi.
In relazione agli infortuni mortali di queste settimane sono state decise dal Governo, attraverso un decreto-legge, nuove norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Qual è il suo parere generale su queste norme? Sono quelle giuste per migliorare nel nostro Paese le tutele e diminuire infortuni e malattie professionali?
L.F.: Il provvedimento è un primo, significativo, segnale di attenzione del Parlamento rispetto alla salute e sicurezza sul lavoro, dopo diversi anni di colpevole assenza, visto che di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali il Parlamento e il Governo si sono occupati in modo serio solo negli anni immediatamente precedenti e successivi al d.lgs. n. 81/2008, come confermato dalla totale assenza nell'ultimo quinquennio di provvedimenti di attuazione del "testo unico" di salute e sicurezza sul lavoro.
Le misure sono poche, rispetto alle esigenze, ma alcune di esse sono interessanti, perché potrebbero avere l'effetto di spingere le aziende meno attente (che purtroppo esistono e sono quelle dove gli infortuni non mancano) alla prevenzione a occuparsi finalmente della tutela della salute e sicurezza dei propri lavoratori. Mi lascia perplessa la logica dell'intervento, apertamente punitiva, ma comprendo la volontà del Legislatore di provocare da parte delle Aziende una reazione (fosse anche solo di paura) positiva rispetto al rispetto delle vigenti disposizioni prevenzionistiche.
Ritiene che queste norme possano essere migliorate? Quali sono le eventuali criticità?
L.F.: Ad oggi, la criticità che è subito emersa riguarda la sospensione dell'attività imprenditoriale, consentita in caso di "gravi violazioni" (e non più in caso di "gravi e reiterate violazioni", come previsto dall'articolo 14 del d.lgs. n. 81/2008, che viene modificato in modo importante e reso ben più rigoroso), quali indicate nell'Allegato al decreto legge.
Se la norma fosse interpretata in modo "secco" consentirebbe la sospensione immediata dell'attività di impresa in casi molto frequenti (e non sempre in concreto gravi dal punto di vista prevenzionistico) di mancanze formali da parte delle aziende e avrebbe un potenziale campo di applicazione enorme.
Anche se nel D.L. n. 146/2021 qualche utile indicazione su come la disposizione opererà in concreto la troviamo, mi aspetto una circolare di chiarimenti da parte dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro, che indirizzi gli organi di vigilanza nella giusta direzione, che non può essere quella di usare la norma con rigore (cosa di cui abbiamo bisogno) ma in modo ragionevole, evitando di sospendere le attività di imprese per violazioni di scarso rilievo prevenzionistico e agendo, invece, in modo severo rispetto a violazioni davvero gravi dal punto di vista della mancanza di tutele.
Sulle novità in materia di vigilanza e sui ritardi del SINP
Cosa ne pensa dell’estensione delle competenze in materia di vigilanza? Ci possono essere difficoltà per renderle operative?
L.F.: Le difficoltà ci saranno senz'altro, perché si tratta di modificare un assetto della vigilanza che dal 1978 (legge n. 833) vedeva la competenza "generale" in capo alle ASL (o ATS, come denominate in qualche Regione).
La mia opinione al riguardo è, però, positiva perché in questi anni - come ho avuto modo di constatare lavorando come consulente per aziende di diverse Regioni - gli orientamenti ispettivi delle ASL sono stati troppo diversi tra loro e, soprattutto, perché non esiste il modo di coordinare tra loro le ASL a livello nazionale.
L'INL è, invece, struttura organizzata in modo gerarchico e, quindi, potrà garantire, con l'attenta regia che il suo Capo senz'altro garantirà dall'alto di una indiscutibile competenza (ricordo che il Dott. Bruno Giordano è Magistrato di specifica ed elevata conoscenza della materia), un indirizzo uniforme ed efficace delle sue attività di vigilanza e anche svolgere una proficua attività di coordinamento - anche per mezzo della "rivitalizzazione" dei comitati regionali di coordinamento di cui all'articolo 7 del d.lgs. n. 81/2008 - degli altri organi di vigilanza.
Ritiene che in questa attuale situazione il decreto-legge sia lo strumento normativo giusto per affrontare il tema degli incidenti e infortuni mortali sul lavoro?
L.F.: È un buon inizio ma solo questo. Al di là di un intervento legislativo più consistente (penso a un decreto legislativo di restyling e aggiornamento del d.lgs. n. 81/2008), comunque auspicabile, sarebbe già sufficiente attuare quelle parti del d.lgs. n. 81/2008 che, nonostante sia trascorso oltre un decennio, mancano (e sto parlando di circa 20 provvedimenti di attuazione mai emanati...).
Quali sono state a suo parere i motivi dei ritardi nel rendere operativo in questi anni il Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro?
L.F.: Per esperienza diretta al Ministero del lavoro, il decreto attuativo dell'articolo 8 del "testo unico" ha avuto una gestazione difficile nei primi anni per il protrarsi della interlocuzione con il Garante per la privacy, che ha rallentato l'uscita del decreto, secondo me in modo ingiustificato (sono sempre stato e sono convinto che le pur comprensibili esigenze di tutela della privacy debbano cedere il passo alle esigenze di tutela della salute pubblica, come a mio parere è emerso in questa fase di pandemia, in cui alcune pronunce del Garante sono suonate del tutto incomprensibili).
Di seguito, ma qui non ho conoscenza diretta di quanto sia successo, penso che la piena operatività della "banca dati" sia stata impossibile perchè l'INAIL non è stato messo in condizioni di operare per la sua reale attivazione, per una mancanza di volontà della politica e delle Amministrazioni statali in tal senso, probabilmente sfociata in una mancanza di erogazione di fondi all'Istituto assicuratore.
Sulle norme che mancano e sui problemi ancora da affrontare
Ci sono norme che lei ritiene necessarie o importanti e che non sono presenti nel decreto-legge?
L.F.: Come ho detto sarebbe importante attuare - se serve con interventi innovativi, che "promuovano" le relative attività, come il d.l. fiscale ha fatto per il SINP - alcune disposizioni davvero strategiche del d.lgs. n. 81/2008, a partire dai decreti sulla "qualificazione delle imprese" (articolo 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 81/2008) e "patente a punti" in edilizia (articolo 27 del d.lgs. n. 81/2008), in modo da mandare una volta per tutte fuori mercato le aziende che non riescano (o non vogliano, che dal punto di vista del risultato è la stessa cosa) a garantire livelli minimi di sicurezza ai propri lavoratori. Poi in questo decreto legge manca assolutamente una parte essenziale, quella di promozione della salute e sicurezza al lavoro, che potrebbe aiutare le aziende a migliorare l'attuazione delle disposizioni di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, attraverso misure come il credito di imposta per gli investimenti in materia di salute e sicurezza (es.: acquisto di attrezzature di nuova concezione rispetto a quelle oggi usate in azienda o di DPI più efficaci), la formazione, l'informazione, e l'addestramento.
Facendo riferimento, infine, alla sua lunga esperienza di lavoro al Ministero del Lavoro, quali sono stati e quali sono tuttora i principali problemi su cui si dovrebbe incidere per migliorare effettivamente le strategie di prevenzione nel nostro paese?
L.F.: Ancora una volta penso che alcune previsioni del "testo unico" andrebbero attuate e/o rivitalizzate. Penso alla norma che prevede che la salute e sicurezza sul lavoro sia parte dei programmi scolastici e universitari, che aiuterebbe i nostri ragazzi a prendere dimestichezza con concetti fondamentali non solo per il futuro degli studenti ma per la loro stessa vita (penso alla consapevolezza di ciò che significa rischio, danno, prevenzione e protezione nella vita di tutti noi) o, ancora, alla possibilità - anche essa contemplata dal d.lgs. n. 81/2008 nell'ambito delle "attività promozionali" di finanziare e realizzare campagne di comunicazione sulla salute e sicurezza sul lavoro.
Perché se è giusto punire chi non comprende che non tutelare i lavoratori sia un crimine grave, è anche importante che tutti i cittadini italiani comprendano l'importanza della prevenzione e siano i primi a tutelare se stessi nella vita e al lavoro, in coerenza con quanto quasi poeticamente previsto dall'articolo 20, comma 1, del "testo unico", ove si prevede che i lavoratori debbono "prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti al lavoro"; quasi a ricordare a tutti che la sicurezza sul lavoro è un gioco di squadra in cui tutti vincono, persone che non si infortunano e famiglie che rimangono integre.
Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto
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Rispondi Autore: Massimo - likes: 0 | 23/10/2021 (14:05:35) |
Il decreto interviene modo e con misure che non incideranno sugli infortuni. L'INL non è preparato, non ha personale competente, no ha un strutta adeguata a favirire gli inyerventi di prevenzione che vanno mirati ai problemi e alle dinamiche dei vari terrori. Le sanzioni aumentate saranno di difficile applicazione e comporteranno aggravi burocratici amministrativi sui quali la PA dovrà dirottare risorse utilizzabili in altro modo. Il SINP funzionerà solo se l'INAIL inizierà a archiviare dati utili a ciò e non solo alla propria attività amministrativa. L'INL dimostri di essere efficace nella lotta al lavoro nero e al caporalato prima di pretendere di coordinare l'attività tecnica su temi quali la sicurezza e la salute sul lavoro. |
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0 | 25/10/2021 (11:00:03) |
Eccellente intervento, da manuale, del Collega avv. Lorenzo Fantini, che mette in evidenza i passi in avanti introdotti dalle recenti modifiche, e gli ulteriori passaggi necessari. È ora che la parola resti a chi fa proposte intelligenti e costruttive come quelle di Fantini, marginalizzando resistenze corporative che si richiamano a principi oramai, purtroppo, insostenibili, come l'andamento infortunistico ha dimostrato. La vigilanza come esclusiva di ASL-ATS ha funzionato sempre più a corrente alternata (bene in alcune provincie, meno bene in altre, mai uniforme, anche nella stessa regione) e l'emergenza infortuni in atto richiedeva una risposta immediata e il salto di qualità introdotto dalle nuove disposizioni. |
Rispondi Autore: Gino Rubini - likes: 0 | 15/11/2021 (01:37:54) |
Spiacente, la lunga esperienza in materia non mi consente di condividere l'ottimismo dell'Avvocato Fantini .La sequenza tragica di incidenti mortali sul lavoro che si ripete da molti mesi, dalla ripresa delle attività post fasi acute della pandemia, ha alimentato la richiesta da parte delle organizzazioni sindacali di provvedimenti urgenti. Le tipologie degli incidenti mortali riportati dalle cronache sono quelle di sempre, dagli anni 50 del secolo scorso: schiacciamento da camion in retromarcia, operai asfissiati in ambienti confinati, cadute da ponteggi in cantieri, corpi di operaie straziati da organi in movimento di macchine non protette, schiacciamenti di magazzinieri dal ribaltamento di pallets impilati male, gruista folgorato perchè con la benna ha sfiorato i cavi AT….. La stragrande maggioranza di questi incidenti erano e sono evitabili con una corretta organizzazione del lavoro, con pratiche concrete di valutazione e gestione dei rischi, con una formazione professionale mirata ai rischi specifici connessi alla mansione. La vigilanza da parte dello Stato nelle sue articolazioni è importante ma non potrà mai sostituire il compito delle imprese nella gestione dei rischi , non vi saranno mai abbastanza ispettori per vigilare che vi sia una corretta gestione della sicurezza a livello aziendale nella miriade d’imprese e microimprese. La richiesta reiterata da parte dei rappresentanti delle OOSS di maggiori controlli dopo ogni incidente grave o mortale sul lavoro è più che legittima ma non può essere la sola iniziativa del sindacato in materia. Infatti se esaminiamo le modalità e i contesti in cui avvengono gli attuali incidenti gravi e mortali sul lavoro registriamo assai spesso che i determinanti che hanno causato l’incidente riguardano la precarietà del rapporto di lavoro, la mancata e/o inadeguata formazione alla sicurezza dei lavoratori , la debolezza contrattuale dell’impresa che fornisce prestazioni in regime di subappalto verso la stazione appaltante, l’informalità maligna che regola l’organizzazione approssimativa del lavoro nelle reti dei subappalti. Per questi motivi per arrestare e fare arretrare il fenomeno degli incidenti mortali occorre una iniziativa su diversi campi, dalla regolarità del lavoro alle regole sugli appalti, la vigilanza in materia di sicurezza degli Enti preposti è solo uno degli strumenti, importante ma non sufficiente. La risposta che vi è stata è un decreto che rende più pesanti le sanzioni alle imprese, una sorta di via penale alla sicurezza che contiene in sè una rappresentazione troppo riduttiva della complessità del fenomeno. Le assunzioni di nuovi ispettori e carabinieri posti in capo al INL non coprono verosimilmente neppure le esigenze ispettive riferite alla sola lotta contro il caporalato e le irregolarità del lavoro. Nel contempo vengono assegnate al INL funzioni di vigilanza in materia di sicurezza del lavoro che richiedono competenze specialistiche cui questi ispettori nuovi assunti dovranno essere formati. La risposte operative su scala ridotta si potranno vedere forse, per essere ottimisti, tra un paio di anni… Quali compiti per il Sindacato dei lavoratori ? La cultura sindacale in materia di salute e sicurezza maturata negli anni 60 e 70 faceva riferimento al principio della “non delega”: erano i lavoratori che , in assenza dell’intervento dell’Ispettorato del lavoro di allora, assumevano il compito di valutare e intervenire sulle nocività e sui rischi di incidenti con l’aiuto di propri esperti ( ex.art.9 Legge 300/70). Su questa base i lavoratori elaboravano piattaforme con le richieste di miglioramento delle condizioni di sicurezza. Sulla base di quella esperienza furono istituiti i primi servizi di medicina del lavoro dai quali poi, successivamente, furono costruiti i servizi delle ASL con il passaggio delle competenze di vigilanza e ispezione. Dal principio della “non delega” praticato con successo in quegli anni , siamo passati, purtroppo, alla “delega in bianco” con la richiesta di più controlli come generica rivendicazione sindacale e con un assenso, sia pure tiepido , dato ad un D.L. che contiene, assai palese, una ipotesi di accentramento e di concentrazione degli interventi in materia di salute e sicurezza in un unico ente posto in capo al Ministero del Lavoro. Nei fatti se dovesse passare l’impostazione approssimativa e un pò sgangherata del D.L. 146/21 la vigilanza diventerebbe , nel migliore dei casi, solo generica vigilanza antinfortunistica e gli aspetti di rischio riguardanti le malattie professionali sarebbero posti in secondo, terzo piano, consegnati , nel migliore dei casi, solo a qualche volonteroso Medico Competente . E’ vero che i Servizi di Prevenzione negli ambienti di lavoro delle Asl non sono stati istituiti in eguale misura sul territorio nazionale ma nelle regioni più importanti hanno lavorato bene , hanno sviluppato metodologie operative e un patrimonio di esperienze gestionali volto alla soluzione dei problemi e non solo alla ricerca dei reati. Le Regioni, per parte loro, hanno una grave responsabilità in quanto, in molti casi, non hanno investito sui Servizi di medicina del lavoro delle Asl , non hanno neppure assunto il personale che doveva sostituire i pensionamenti mettendo in crisi operativa i Servizi. Il sindacato su questa tematica da alcuni anni, anche in ragione dei continui processi di ristrutturazione del sistema produttivo, è debole, è sulla difensiva, non in grado di sviluppare una propria iniziativa incisiva per la salute e la sicurezza nel lavoro nelle aziende. In diverse realtà non vi è stata da parte sindacale neppure una richiesta alle Regioni di fare assunzioni per coprire i pensionamenti degli operatori dei servizi territoriali delle Asl. E’ da questa debolezza che ha origine il disegno sotteso nel D.L.146/21: concentrare e ridurre alla sola vigilanza antinfortunistica l’intervento dello stato in materia di salute e sicurezza sul lavoro cancellando quel ruolo fondamentale che hanno svolto i servizi territoriali delle Asl sul campo con la interlocuzione con i lavoratori, i Rls, con le piccole imprese, con i professionisti della consulenza alle aziende che tanta parte, nel bene come nel male, hanno nella valutazione e gestione dei rischi. Il D.L 146/21 deve essere cambiato in profondità prima della conversione in legge, occorre che vi sia un intervento delle Regioni che confermi la volontà politica di investire nei Servizi delle Asl come presidio presente a livello territoriale in grado di interloquire con i soggetti imprenditoriali e le organizzazioni dei lavoratori. La lotta contro gli incidenti gravi e mortali sul lavoro si potrà vincere se si svilupperanno ricerche di settore, comparto e filiera che individuino le specifiche anomalie che le attuali forme “liquide e informali” di organizzazione del lavoro producono mettendo i lavoratori e le lavoratrici, assai spesso precari e non formati in modo adeguato, in una condizione di rischio per la loro salute e incolumità fisica. Per fare questo non serve che i Servizi di prevenzione si dotino soltanto di una “feroce armata” di “cacciatori di reati” ma occorrono gruppi interdisciplinari di operatori intelligenti e preparati in grado di “leggere” i modelli organizzativi e individuare le anomalie organizzative e gestionali che producono i disastri…. Gino Rubini, editor di Diario Prevenzione, già sindacalista Cgil, per molti anni si è occupato di salute e sicurezza sul lavoro. |
Rispondi Autore: 2031372 - likes: 0 | 03/01/2023 (17:49:08) |
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