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Comparto tessile e lavoro a domicilio: la normativa e le tutele

Comparto tessile e lavoro a domicilio: la normativa e le tutele
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Linee guida e buone prassi

05/04/2017

Un progetto multimediale si sofferma sulla tutela della salute e sicurezza nel settore tessile e abbigliamento. Focus sulle attività di lavoro a domicilio: le caratteristiche, la normativa vigente e le tutele in materia di salute e sicurezza.

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Bologna, 5 Apr – Se nell’ambito delle imprese manifatturiere il settore delle confezioni di capi di abbigliamento ricopre un ruolo di grande importanza, anche a livello occupazionale, si segnala la grande diffusione del lavoro a domicilio, in cui la prestazione lavorativa “è resa al domicilio del lavoratore, ovvero in locali di cui lo stesso ha disponibilità a qualsiasi titolo, anche con l’aiuto accessorio di membri della famiglia conviventi e a carico, ma con esclusione di manodopera salariata e apprendisti”. In particolare gli strumenti adoperati “sono proprietà dei lavoranti a domicilio, oppure concessi loro in affitto dallo stesso imprenditore che ne utilizza l’opera. Ai lavoratori a domicilio è esteso il regime delle assicurazioni sociali obbligatorie contro invalidità e vecchiaia, malattia, maternità, disoccupazione, infortuni e assegni per il nucleo familiare”.

 

A ricordare in questi termini le caratteristiche del lavoro a domicilio, con specifico riferimento al settore produttivo tessile-abbigliamento – è uno dei documenti prodotti correlati al progetto Impresa Sicura, un progetto multimediale - elaborato da EBER, EBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e Inail - che è stato validato dalla Commissione Consultiva Permanente come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013 e che si è occupato in questi anni della sicurezza in vari comparti lavorativi.

 

Nel documento “ ImpresaSicura_L’abbigliamento” si riportano alcuni cenni storici del lavoro a domicilio che, dal tardo Medioevo alla rivoluzione industriale fu largamente diffuso nel settore tessile. E ci si sofferma in particolare su questa tipologia di lavoro nei distretti tessili emiliani e marchigiani.

Ad esempio si ricorda che in Emilia-Romagna è presente un importante distretto, il distretto del tessile di Carpi, che comprende cinque comuni della Provincia di Modena ed è specializzato nella produzione di abbigliamento, confezione e maglieria. La produzione nel distretto “costituisce il 4% del fatturato nazionale del settore e si avvale di un articolato sistema di piccole e piccolissime imprese indipendenti, con un intreccio tra aziende produttrici di capi finiti

e fornitori di lavorazioni conto terzi”.

Invece nelle Marche è l’alto pesarese a costituire “una delle aree a più alta densità di imprese di abbigliamento”: il tratto caratteristico del comparto confezioni anche in questo distretto “è rappresentato dal fatto che il tessuto produttivo vive prevalentemente di attività di contoterzismo, con frammentazione di fasi e processi in una miriade di piccoli soggetti, tra cui numerosi lavoranti a domicilio”.

 

Si segnala poi che nell’ordinamento italiano l’istituto del lavoro a domicilio, già considerato nell’art. 2128 del codice civile, è regolato dalla Legge 18 dicembre 1973, n. 877 “Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio”, secondo cui il lavoratore a domicilio è “a tutti gli effetti un lavoratore subordinato, che svolge cioè la prestazione con lavoro proprio e di familiari senza l’ausilio di manodopera salariata. Lo stesso deve custodire il segreto sul modello di lavoro affidatogli, attenersi alle istruzioni dell’imprenditore riguardo l’esecuzione del lavoro e astenersi dall’eseguire lavori in proprio o per conto terzi in concorrenza col datore di lavoro”.

 

Si segnala che l’art. 2 della legge n. 877 del 1973 prevede “tre ipotesi in cui è vietato ricorrere al lavoro a domicilio:

- lavorazioni che comportino l’impiego di sostanze o materiali nocivi o pericolosi per la salute o per l’incolumità del lavoratore e dei suoi familiari;

- azienda interessata a programmi di ristrutturazione, riconversione o riorganizzazione che abbiano comportato licenziamenti o sospensioni dal lavoro;

- azienda che, dopo aver ceduto a terzi macchinari e attrezzature, continui la medesima lavorazione affidandola a lavoratori a domicilio”.

Inoltre si segnala che la legge prevede che i lavoratori a domicilio “siano iscritti in un apposito registro tenuto a cura dei Centri per l’impiego, mentre i datori di lavoro che intendono avvalersi di lavoratori a domicilio sono tenuti ad iscriversi in un apposito ‘registro dei committenti’, tenuto dalla Direzione Territoriale del lavoro”.

 

Parlando poi di tutele relative alla sicurezza e salute, il documento di Impresa Sicura indica che è con il D. Lgs. 81/2008 che per la prima volta “è stata estesa ai lavoratori a domicilio la tutela prevenzionistica in tema di sicurezza e salute sul lavoro: ai fini delle misure di sicurezza non è considerato luogo di lavoro il domicilio nel quale il lavoratore presta la propria attività lavorativa. Il datore di lavoro è tenuto tuttavia a fornire un’adeguata informazione e formazione al lavoratore, nel rispetto di quanto previsto dall’accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011, escluso il primo soccorso e le misure antincendio”.

 

Riprendiamo quanto indicato nel D.Lgs. 81/2008:

 

Articolo 3 - Campo di applicazione

(...)

9. Fermo restando quanto previsto dalla legge 18 dicembre 1973, n. 877, ai lavoratori a domicilio ed ai lavoratori che rientrano nel campo di applicazione del contratto collettivo dei proprietari di fabbricati trovano applicazione gli obblighi di informazione e formazione di cui agli articoli 36 e 37. Ad essi devono inoltre essere forniti i necessari dispositivi di protezione individuali in relazione alle effettive mansioni assegnate. Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie, o per il tramite di terzi, tali attrezzature devono essere conformi alle disposizioni di cui al Titolo III.

(...)

 

E la Commissione per gli interpelli (art. 12, D.Lgs. 81/2008) ha chiarito che il datore di lavoro “deve fornire a proprie spese tutta l’informazione, la formazione e l’addestramento previsto dal D. Lgs. 81/2008. Quindi per i lavoratori a domicilio trovano applicazione gli obblighi di informazione e formazione di cui agli artt. 36 e 37 del D. Lgs. 81/2008 e s.m.i.”: il lavoratore a domicilio ha quindi “diritto ad essere formato ed informato sui rischi cui è esposto, inoltre deve consentire agli ispettori, previo avviso e consenso, di visitare i luoghi di lavoro anche se a domicilio e può egli stesso chiedere ispezioni, fermo restando quanto previsto dall’art. 2 della legge n. 877 del 1973, relativamente al divieto di esecuzione di lavoro a domicilio per attività che comportino l’uso di sostanze o materiali nocivi o pericolosi per la salute del lavoratore e dei suoi familiari”.

 

Se per i lavoratori a domicilio non trovano applicazione gli obblighi relativi alla valutazione dei rischi, a tali lavoratori “devono essere forniti i necessari dispositivi di protezione individuale in relazione alle effettive mansioni assegnate e, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie, queste devono essere conformi alle disposizioni di cui al titolo III del T.U”.

 

E si indica, infine, che nel caso in cui non sia il committente a fornire le attrezzature, “questi non può conoscere quali debbano essere i DPI necessari all’utilizzo di attrezzature di proprietà del lavoratore a domicilio ed è pertanto da considerarsi esonerato dall’obbligo”.

 

 

Il sito “ Impresa Sicura”: l’accesso via internet è gratuito e avviene tramite una registrazione al sito.

 

Commissione Consultiva Permanente per la salute e sicurezza sul lavoro - Buone Prassi -Documento approvato nella seduta del 27 novembre 2013 – Impresa Sicura

 

 

 

RTM



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Rispondi Autore: Giuseppe Rossi - likes: 1
05/04/2017 (09:06:59)
Buon giorno a tutti, articolo interessante,ma a tale riguardo mi sorge una domanda, sono escluse da sorveglianza sanitaria ?

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