Sicurezza e tutele per i lavoratori a termine e in somministrazione
Pesaro, 12 Dic – Le ricerche su infortuni e malattie professionali sono chiare: i lavoratori flessibili sono esposti a maggiori rischi “proprio in ragione della particolare natura del loro rapporto di lavoro, a prescindere dall’oggettiva pericolosità dell’attività svolta”.
E a questo proposito si può affermare che la flessibilità lavorativa costituisca dunque un “rischio in sé”.
A raccontare in questi termini i rischi dei lavoratori flessibili è un intervento al convegno “Modelli di rappresentanza e forme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori”, che si è tenuto a Pesaro il 30 settembre 2016. Un convegno organizzato da OPRAM (Organismo Paritetico Regionale Artigianato Marche) e coordinato del prof. Paolo Pascucci ( Università di Urbino Carlo Bo), che ha offerto diversi spunti di riflessioni sugli RLS e sul tema della rappresentanza in materia di salute e sicurezza.
In “Tutela della salute e sicurezza nelle tipologie contrattuali flessibili dopo il Jobs Act e ruolo del rappresentante dei lavoratori”, a cura di Chiara Lazzari (Prof. a contratto di Diritto del lavoro, Università di Urbino Carlo Bo) si ricorda innanzitutto la Direttiva europea 91/383/CEE - che ‘completa le misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute durante il lavoro dei lavoratori aventi un rapporto di lavoro a durata determinata o un rapporto di lavoro interinale’ - e ci si sofferma su due diversi aspetti.
Da un lato l’impatto del Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 e del successivo D.Lgs. 151/2015 rispetto alle problematiche relative alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori flessibili, e dall’altro il ruolo che il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza può svolgere nella tutela di tali lavoratori.
La relatrice entra in particolare nei dettagli di alcune tipologie di flessibilità: lavoro a termine, lavoro in somministrazione, collaborazioni autonome e lavoro accessorio.
Ad esempio riguardo al lavoro a termine indica che si conferma (art. 20, comma 1, lett. d, d.lgs. n. 81/2015), così come per la somministrazione di lavoro ed il lavoro intermittente “il divieto di stipulazione del contratto a tempo determinato con riferimento a quei datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi. Il comma 2 dello stesso articolo aggiunge, però, l’importante precisazione giusta la quale la violazione (anche) del divieto in questione è sanzionata ora con la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, conformemente all’orientamento già accolto dalla giurisprudenza e dottrina maggioritarie”.
Tuttavia si segnala la mancata riproposizione di “quanto disposto dall’art. 7, comma 1, d.lgs. n. 368/2001 (‘il lavoratore assunto con contratto a tempo determinato dovrà ricevere una formazione sufficiente ed adeguata alle caratteristiche delle mansioni oggetto del contratto, al fine di prevenire rischi specifici connessi alla esecuzione del lavoro’)”. E dal punto di vista sostanziale – continua la relatrice - merita ricordare “come l’art. 37 d.lgs. n. 81/2008 imponga al datore di lavoro di assicurare che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, con particolare riguardo, tra l’altro, ai rischi riferiti alle mansioni (comma 1, lett. b)”. E in ogni caso, l’art. 28, comma 2, lett. f, dispone che il documento di valutazione dei rischi contenga “l’individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione ed addestramento”.
Ed è dunque necessario comprendere se l’abrogazione dell’art. 7, comma 1, d.lgs. n. 368/2001 possa compromettere la già incerta attuazione nel nostro ordinamento della citata Direttiva 91/383/CEE. Se non sembra che il livello di tutela precedentemente garantito “possa dirsi peggiorato, la mancata riproposizione della disposizione pare comunque inserirsi in quel farraginoso, ed inadeguato, percorso di recepimento della direttiva in questione da più parti stigmatizzato. Sicché, nonostante il rimedio interpretativo riesca tutto sommato a soddisfare le esigenze preventive e protettive, restano non poche perplessità per la scarsa sensibilità, che pare emergere dall’abrogazione operata, dimostrata dal legislatore relativamente alle problematiche concernenti la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori flessibili, con il rischio che ciò si traduca altresì in un aggravamento della già dubbia conformità del nostro ordinamento rispetto al diritto comunitario”.
Rimandando ad altro articolo l’approfondimento sulle problematiche delle collaborazioni autonome, del lavoro accessorio e del ruolo degli RLS, come contenute nella relazione di Lazzari, ci fermiamo ora alle problematiche rilevate riguardo al lavoro in somministrazione.
Anche in questo caso va segnalata l’abrogazione di quanto statuito dal terzo periodo dell’art. 23, comma 5, d.lgs. n. 276/2003, secondo cui, ‘nel caso in cui le mansioni cui è adibito il prestatore di lavoro richiedano una sorveglianza medica speciale o comportino rischi specifici, l’utilizzatore ne informa il lavoratore…’. E ancora una volta “la modifica potrebbe porre qualche problema rispetto al diritto comunitario, dal momento che la disposizione costituiva attuazione, già ‘al minimo’, dell’obbligo d’informazione – cui, secondo l’art. 3 della direttiva n. 91/383/CEE, sono tenuti l’impresa o lo stabilimento utilizzatori prima che il lavoratore inizi a svolgere la propria attività – avente ad oggetto ‘i rischi che (il medesimo) corre’, dovendo riguardare ‘in particolare l’esigenza di qualifiche o attitudini professionali particolari o di una sorveglianza medica speciale definita dalla legislazione nazionale’, e ‘gli eventuali rischi aggravati specifici connessi con il posto di lavoro da occupare’. Sicché – continua la relatrice - il legislatore “avrebbe semmai dovuto cogliere l’occasione offerta dalla nuova regolamentazione per un intervento in materia, a partire dalla precisazione dell’indefinita nozione di ‘sorveglianza medica speciale’, piuttosto che procedere radicalmente all’eliminazione dell’obbligo in questione.
Quanto al resto si ribadisce (art. 35, comma 4, ultimo periodo, D.Lgs. 81/2015) “che l’utilizzatore osserva nei confronti dei lavoratori somministrati gli obblighi di prevenzione e protezione cui è tenuto, per legge e contratto collettivo, verso i propri dipendenti”. E analogamente “si riconferma l’obbligo del somministratore d’informare i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive e di formarli ed addestrarli all’uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa per la quale essi vengono assunti; così come si mantiene la possibilità di trasferire detto adempimento all’utilizzatore. Quanto all’inciso, che compariva nel citato art. 23, comma 5, secondo periodo, ‘in tale caso ne va fatta indicazione nel contratto con il lavoratore’ – riferito proprio all’ipotesi in cui ci si avvalesse della ricordata possibilità di trasferimento – sarebbe stato opportuno che la sua mancata riproposizione fosse coordinata con quanto previsto dall’art. 33, comma 3, d.lgs. n. 81/2015, nel senso d’inserire tale informazione tra quelle che il somministratore deve comunicare per iscritto al lavoratore in ordine al contenuto del contratto di somministrazione, ma così non è stato”.
Concludiamo ricordando che la relazione segnala poi come un passo indietro “si registri altresì con riferimento ai presidi posti a tutela dell’effettività del divieto di ricorrere alla somministrazione di lavoro in caso di mancata valutazione dei rischi”.
Ed infatti in relazione alla relazione trilaterale che caratterizza questa tipologia contrattuale, il ruolo del somministratore “era reso corresponsabile, per la corretta osservanza del divieto di cui al vecchio art. 20, comma 5, lett. c, d.lgs. n. 276/2003, dalla previsione di una sanzione amministrativa pecuniaria destinata a colpire entrambi i contraenti (somministratore ed utilizzatore) in caso di sua violazione (art. 18, comma 3, d.lgs. n. 276/2003)”. Tuttavia l’art. 18, comma 3 è stato abrogato (art. 55, comma 1, lett. d, d.lgs. n. 81/2015) e, “al suo posto, il nuovo art. 40, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 punisce, per la violazione dei divieti posti dall’art. 32, solo l’utilizzatore, sgravando, quindi, il somministratore di ogni responsabilità in proposito”.
Si ricorda, comunque, che l’esibizione del documento di valutazione dei rischi da parte dell’utilizzatore “risulta in ogni caso funzionale al corretto assolvimento delle prescrizioni” di cui all’art. 33, comma 3, d.lgs. n. 81/2015, che sanciscono, in capo al somministratore, il dovere di comunicare per iscritto al lavoratore, all’atto dell’assunzione o dell’invio in missione, il contenuto del contratto di somministrazione, tra cui va annoverata l’indicazione della presenza di eventuali rischi per la salute e la sicurezza, così come delle misure di prevenzione adottate (art. 33, comma 1, lett. c)”.
“ Tutela della salute e sicurezza nelle tipologie contrattuali flessibili dopo il Jobs Act e ruolo del rappresentante dei lavoratori”, a cura di Chiara Lazzari (Prof. a contratto di Diritto del lavoro, Università di Urbino Carlo Bo, condirettrice Osservatorio Olympus), intervento al convegno “Modelli di rappresentanza e forme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori” (formato PDF, 185 kB).
Tiziano Menduto
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