Sicurezza partecipata: una procedura per la collaborazione dei lavoratori
Negli anni si è passati “da un modello normativo di lavoratore ‘ontologicamente imprudente’ (iperprotettivo nei confronti dello stesso di cui non c’è da fidarsi) ad un modello collaborativo in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori”.
A ricordarlo è Antonio Zannini (QEHS-ISM, formatore e consulente) che ha elaborato diversi modelli procedurali e documenti che possono risultare molto utili per le aziende e che, in questo caso, riguardano la collaborazione dei lavoratori nella sicurezza partecipata.
Dopo aver presentato alcuni documenti sul ruolo del preposto, sulla valutazione dei rischi e sulla verifica del certificato verde COVID-19, ci soffermiamo sulla “Procedura P. 0706_4 - Stop Work Authority (SWA)” che, in ambito Qualità Sicurezza Ambiente, attribuisce a ciascun lavoratore/parte interessata il potere d’interrompere le attività lavorative quando vi siano situazioni non sicure. Alla procedura sono poi correlati il “rapporto di segnalazione” e due check list salute sicurezza lavoro ambiente (punti da verificare ad ogni turno prima di iniziare l’attività operativa - le regole per un posto di lavoro sicuro).
L’articolo si sofferma sui seguenti argomenti:
- Il modello collaborativo e il nuovo ruolo attivo del lavoratore
- La sicurezza partecipata e il progetto Stop Work Authority
- La procedura e la regola dei due minuti
Il modello collaborativo e il nuovo ruolo attivo del lavoratore
Nel presentare i nuovi documenti relativi alla collaborazione dei lavoratori nella sicurezza partecipata, il Dott. Zannini sottolinea che ai lavoratori “è affidato un ruolo attivo, rafforzato da sanzioni contravvenzionali, mediante la previsione di precetti a contenuto complesso (es. obbligo di osservare le disposizioni e istruzioni impartite dai garanti, obbligo di utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro e i dispositivi di sicurezza, etc.)”.
Questi obblighi “disegnano le sembianze di un vero e proprio garante della sicurezza in quanto gestore di specifiche quote e tipologie di rischio chiamato a contribuire all’adempimento degli obblighi di sicurezza assieme alle figure sovraordinate nell’assetto organizzativo”. Dal disposto di cui all’art 20 del D.Lgs. 81/2008 (TUSL) risulta chiaro che il lavoratore è tenuto al rispetto dell’obbligo di sicurezza “nei limiti della formazione, delle istruzioni e dei mezzi forniti dal datore di lavoro”.
Tuttavia è ancora consolidato in giurisprudenza “il principio in forza del quale il lavoratore deve essere protetto anche da se stesso, soprattutto da se stesso e pure contro la sua volontà. L’unica deroga ammessa sarebbe quella del comportamento assolutamente eccezionale, abnorme, del tutto anomalo imprevedibile che si ponga come causa esclusiva dell’evento”.
Si indica che il lavoratore “è, allo stesso tempo, sia il beneficiario della normativa antinfortunistica, sia uno dei destinatari dell’obbligazione di sicurezza, in quanto opera a diretto contatto con le fonti di rischio e, in quanto tale, è in grado di individuare pericoli e possibili rimedi meglio di chiunque altro. Per lungo tempo, tuttavia, nonostante i D.P.R. degli anni Cinquanta prevedessero specifici obblighi a suo carico, dottrina e giurisprudenza hanno riconosciuto al lavoratore un ruolo meramente passivo e marginale nel sistema di prevenzione, anche in considerazione del disposto contenuto all’ art. 2087 c.c., che prescrive il generale obbligo di sicurezza solo a carico dell’imprenditore”.
La direttiva europea del 1989 ha poi “mutato radicalmente impostazione, decretando il passaggio dalla sicurezza ‘oggettiva’ a quella ‘soggettiva’” e con l’avvento del d.lgs. n. 626/1994 “si è affermato definitivamente il principio per cui, al fine di garantire un miglior livello di tutela, è indispensabile che tutti i soggetti coinvolti nell’attività lavorativa contribuiscano, con una partecipazione equilibrata, all’adozione delle necessarie misure di protezione”.
In questo senso il lavoratore, “da mero titolare del credito di sicurezza, il cui soddisfacimento continua ad essere garantito in ogni caso, diviene titolare di una vera e propria posizione di garanzia. Impostazione confermata dal Testo Unico del 2008. L’art. 20 del T.U. costituisce il nucleo centrale in tema di adempimenti antinfortunistici a carico del lavoratore, il quale sancisce espressamente il generale obbligo di ogni prestatore di ‘prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella di altre persone presenti sul luogo di lavoro, cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro’”.
Di conseguenza – continua l’introduzione di Zannini – “l’azione del lavoratore, che ha causato l’evento lesivo, viene equiparata normativamente all’omissione della dovuta collaborazione, che costituisce, al contempo, una violazione dell’obbligo contrattuale di buona fede e correttezza, con conseguente applicazione di misure disciplinari. Il lavoratore, ai sensi dell’art. 20, diviene depositario di una vera e propria posizione di garanzia iure proprio, avente ad oggetto non solo la propria salute, bensì anche quella dei propri colleghi, del datore e degli altri soggetti presenti nei luoghi di lavoro”.
Si indica che di particolare rilievo “è in primis il dovere ‘di contribuire insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro’, sancito alla lett. a), comma 2, art. 20; tale dovere era già stato sancito dal d.lgs. n. 626/1994, nell’ultima lettera (lett. h) dell’art. 5, comma 2. Mentre, il testo unico del 2008 lo colloca all’apice dell’elenco degli obblighi di cui all’art. 20, enfatizzando il nuovo ruolo attivo e autonomo del lavoratore all’interno del sistema di prevenzione”. Ed il dovere di collaborazione “non deve essere inteso come dovere del lavoratore di attivarsi al fine di far fronte alle inerzie dei principali soggetti responsabili, bensì egli è tenuto ad intervenire solo nei casi di urgenza e previo avviso al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Gli obblighi posti a carico del prestatore sono, infatti, complementari rispetto all’obbligazione di sicurezza gravante sui principali garanti in materia antinfortunistica e non fanno venir meno la responsabilità di questi ultimi”.
Il legislatore del 2008 ha dunque “inteso enfatizzare il nuovo ruolo attivo del lavoratore, che, quale attore della sicurezza al pari del datore, deve essere dotato del medesimo bagaglio conoscitivo di quest’ultimo, affinché sia in grado di prendersi cura correttamente della salute propria e altrui. La formazione, dunque, non è più considerata solo un diritto del lavoratore, ma anche un suo obbligo, sanzionato penalmente. Tale disposizione, infatti, incide anche sul piano della responsabilità, in quanto più il lavoratore sarà formato ed informato circa i fattori di rischio connessi all’attività lavorativa, maggiore sarà la sua capacità di individuarli e di prevenirli, e di conseguenza maggiore sarà la sua responsabilità”.
La sicurezza partecipata e il progetto Stop Work Authority
Riguardo al ruolo attivo del lavoratore ci soffermiamo dunque su alcuni modelli procedurali elaborati da Antonio Zannini con particolare riferimento alla procedura P. 0706_4 - STOP WORK AUTHORITY (SWA).
Lo scopo di questa procedura che, è “trasmessa a tutto il personale operativo interessato, previa avvenuta formazione di cui è responsabile il Datore di Lavoro anche nel tramite di suoi incaricati”, è quello di “fornire una descrizione del progetto ‘stop work authority’ per dipendenti, e parti interessati in ambito Qualità Sicurezza Ambiente ed attribuisce a ciascun lavoratore/parte interessata il potere d’interrompere le attività lavorative quando vi siano situazioni non sicure, prevenendo il verificarsi a titolo non esaustivo di : infortuni, malattie professionali, danni materiali, all’ ambiente ecc.”.
La procedura “si applica a tutte le attività svolte all’interno dell’azienda”.
Il progetto ‘stop work authority’(SWA) si può identificare in varie fasi:
- Arresto (sospensione attività lavorativa)
- Notifica (comunicazione tempestiva a PRE – RUO: preposto - Responsabile Unità Logistica Operativa)
- Trattamento/correzione e/o azione correttiva (ove è possibile devono essere stabilite le condizioni di sicurezza prima della ripresa delle attività con collaborazione RUO/ RSPP/DL-DC)
- Ripresa delle attività lavorativa con notifica ad RLS previa comunicazione di quanto accaduto da parte di DL-DC (Presidente C.d.a - Consigliere DELEGATO)
- Azione di miglioramento (ai fini anche dell’efficienza in termini qualità sicurezza ambiente) con collaborazione RSPP/RUO/DL-DC /RLS ove necessario MC-RQSA (Medico Competente - Responsabile Unità Sistema Gestione Q.ualità S.icurezza A.mbiente).
La procedura e la regola dei due minuti
Viene poi descritta nel dettaglio la procedura.
Nel caso in cui “si ravveda la necessità d’interrompere un’attività lavorativa per motivi di sicurezza di cd. generis (pericolo astratto/concreto) i lavoratori/parti interessate dovranno dare tempestiva comunicazione a PRE e/o RUO”.
Successivamente dovranno intervenire al fine di:
- trattamento/correzione e/o azione correttiva
- ripresa delle attività lavorativa con notifica ad RLS previa comunicazione di quanto accaduto da parte di DL-DC
- azione di miglioramento.
Concludiamo soffermandoci sulla regola dei 2 minuti.
La regola dei due minuti “richiede semplicemente che prima di iniziare un lavoro si spendano due minuti per verificare se l’area circostante alla postazione è sicura: considerando ogni rischio potenziale, identificare le misure di prevenzione e i comportamenti corretti allo scopo di prevenire ogni possibile incidente/infortunio. Nessun compito o scadenza è così importante da togliere tempo alla sicurezza e tutela dell’ambiente”.
Prima di iniziare un lavoro, “chiunque deve fermarsi 2 minuti e riflettere:
- Quali sono i pericoli?
- Si è in grado di eseguire il lavoro in sicurezza ed in tutela anche alla tematica ambiente?
- I DPI sono adeguati, in buone condizioni e si sa come usarli?
- Si hanno adeguate competenze/consapevolezza e si hanno gli strumenti giusti oltre ai giudizi d’idoneità per svolgere il lavoro in ossequio alle tematiche ivi esposte?
- Vi sono aree adeguate/modalità per l’eventuale gestione dei rifiuti prodotti”?
Se non è così: “fermare il lavoro, in presenza di pericoli che non sono stati correttamente valutati o comunque se si hanno perplessità sul lavoro da svolgere”.
Rimandiamo alla lettura integrale dei vari documenti, con riferimento anche al rapporto di segnalazione e alle schede di controllo allegate.
RTM
Scarica i documenti da cui è tratto l'articolo:
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Rispondi Autore: dario tripiciano - likes: 0 | 22/02/2022 (08:55:47) |
Interessante, concetto abbastanza diffuso nel mondo anglosassone, che dà piena attuazione a quanto previsto dall'art. 44 del TU, punto non sempre adeguatamente implementato sui posti di lavoro. Di fatto uno strumento collaborativo, ma anche funzionale al pieno esercizio di un diritto. Interessante notare che questo è uno dei punti specifici su cui c'è stata la divergenza fra ISO e ILO che ha portato alla mancata sottoscrizione da parte di quest'ultima della norma ISO 45001. |
Rispondi Autore: . - likes: 0 | 23/07/2024 (12:49:50) |
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Rispondi Autore: fabiola.mazzoli - likes: 0 | 14/10/2024 (13:00:08) |
molto interessante |