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Quando Monicelli denunciava gli infortuni sul lavoro

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Lavoratori

02/12/2010

L'Inail ricorda il regista citando il film "I compagni" dove il professor Sinigaglia (Marcello Mastroianni) riaccende il desiderio di proseguire la lotta nei lavoratori di un'azienda tessile di fine ottocento in sciopero dopo un incidente sul lavoro.


 
" No, non è vero, non sono dei cagoni... Sono la maggioranza, e la maggioranza è la voce della saggezza. Siete voi dei pazzi! Siete voi! Tu, Barbero! Voi che pretendete di lavorare solo 13 ore al giorno... di guadagnare tre soldi di più... Voi che volete evitare l'ospizio, l'ospedale... La maggioranza, invece, è saggia. Sa che questo salario, in fondo, è sufficiente... Tanto che nessuno è ancora morto di fame. Sa che secondo le statistiche questo orario provoca solo il 20% degli infortuni. Quanti siete qui? Cinquecento? Ebbene, vorrà dire che soltanto a un centinaio di voi toccherà di finire storpi! Tu, Baietto... O tu, Occhipinti... O tua figlia Gasperina..."
 
Così il professor Sinigaglia - uno strepitoso Marcello Mastroianni - incitava allo sciopero una minoranza di lavoratori timorosi in una memorabile scena de "I compagni", il film di Mario Monicelli che racconta le lotte operaie nella Torino industriale di fine Ottocento. Scenario della vicenda è un'azienda tessile dove i dipendenti, ignorati dai padroni nella loro richiesta di portare l'orario di lavoro da 14 a 13 ore, decidono di compiere un gesto dimostrativo facendo suonare la sirena di fine turno in anticipo di sessanta minuti. A originare l'agitazione l'ennesimo, grave incidente che ha menomato uno di loro.
 

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Vogliamo commemorare così - ricordando questo "gioiello" del 1963 che ottenne una nomination all'Oscar per gli sceneggiatori Age, Scarpelli e Monicelli - il grande regista scomparso ieri all'età di 96 anni. Il film, pure amatissimo dal suo autore (che lo preferiva addirittura a "La grande guerra") e da Mastroianni (che considerava quella dell'intellettuale socialista tanto irruento quanto perdente una delle sue migliori interpretazioni), quando uscì nelle sale non fu particolarmente amato dal pubblico e solo il tempo gli ha conferito l'aura del capolavoro che gli spetta.
 
Rivisto oggi, anche al di là del significato sociale della storia - un affresco spettacolare sul nascente movimento operaio, tratteggiato (nello stile tipico del suo autore) senza retorica, ma con una commozione asciutta, non esente da un umorismo grottesco e da tanta malinconia - "I compagni" spicca per la meticolosità del ritratto antropologico della Torino dell'epoca. E non a caso fu il frutto di una laboriosissima ricerca che il Maestro e i suoi collaboratori realizzarono per tratteggiare con la massima veridicità possibile le condizioni di lavoro in fabbrica. La scelta di legare la rivolta dei protagonisti proprio a un incidente di lavoro - e non ai turni sfibranti, o alle condizioni igieniche degradanti, o alla miseria dei salari - ci restituisce in tutta la sua evidenza la drammaticità di un fenomeno che vedeva allora gli infortuni professionali neanche come un rischio da mettere in conto, ma come una conseguenza inevitabile da sopportare.
 
Ecco, allora, che nel celebre discorso il professor Sinigaglia incalza l'operaio Buondio a "farsi vedere". Tra la folla dei manifestanti, così, si alza un moncherino, un braccio al quale è stata amputata una mano. "E' questo che vuole la maggioranza!", incalza il sindacalista. Prendendosela non solo con i "padroni" responsabili dello sfruttamento, ma con gli stessi operai che, evidentemente, non avevano neanche tra le proprie categorie mentali la considerazione della salute come un diritto ineludibile della propria dignità di esseri umani.
 
Molti passi avanti, da allora, sono stati fatti e oggi la lotta agli infortuni è un imperativo portato avanti, con sforzo (e successo), da tanti soggetti: parti sociali, politica, mondo del Welfare e, naturalmente, l'INAIL. Ma vedere un film come "I compagni" è una di quelle "buone prassi" da compiere con periodico piacere: non solo per ricordare l'arte di un grande regista, ma per capire la nostra storia, il nostro passato, le nostre radici... E, soprattutto, per avere la consapevolezza piena del senso di civiltà che sta alla base di tutto quello che è prevenzione e per ricordarci che la sicurezza sul lavoro davvero non è mai abbastanza.

Fonte: Inail.
 


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