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I danni da demansionamento sono crediti privilegiati

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Lavoratori

08/04/2004

Una recente sentenza della Corte Costituzionale riguardante il risarcimento di un lavoratore per i danni da demansionamento da parte del datore di lavoro poi fallito.

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Il risarcimento dei danni da denmansionamento subiti da un lavoratore a causa dell'illegittimo comportamento del datore di lavoro, rientrano tra i crediti che, in caso di fallimento del datore di lavoro, godono del privilegio generale sui mobili.
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale che con la sentenza 113/2004, ha dichiarato “l'illegittimità costituzionale dell'art. 2751-bis, numero 1, del codice civile, nella parte in cui non munisce del privilegio generale sui mobili il credito del lavoratore subordinato per danni da demansionamento subiti a causa dell'illegittimo comportamento del datore di lavoro”.
La questione è stata sollevata dal Tribunale di Ferrara.

Queste le motivazioni della sentenza. “La Corte Costituzionale si è pronunciata più volte in tema di legittimità costituzionale delle norme che attribuiscono privilegi – in particolare sotto il profilo della mancata inclusione di alcuni crediti nella categoria privilegiata. [...]
[…] Con la sentenza n. 326 del 1983, fu dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 2751-bis, numero l, cod. civ., «nella parte in cui non munisce del privilegio generale istituito dall'art. 2 della legge n. 426 del 1975 il credito del lavoratore subordinato nei confronti del datore, per danni conseguenti ad infortunio sul lavoro, del quale quest'ultimo sia responsabile, se e nei limiti in cui il creditore non sia soddisfatto dalla percezione delle indennità previdenziali e assistenziali obbligatorie dovute al lavoratore subordinato in dipendenza dello stesso infortunio».

A tale pronuncia la Corte pervenne sul rilievo che l'articolo 2751-bis, numero 1, cod. civ. muniva del privilegio generale sui mobili, tra gli altri, il credito per risarcimento danni subiti per effetto di un licenziamento inefficace, nullo o annullabile «e soprattutto, in unisono stavolta con l'art. 2116 cod. civ., il credito del lavoratore per i danni conseguenti alla mancata corresponsione da parte del datore di lavoro dei contributi previdenziali ed assistenziali e non pure il credito de quo».

Si ritenne irragionevole e quindi in violazione dell'articolo 3 Cost. la scelta di non includere il credito per danni da infortunio tra i crediti muniti del privilegio in discussione e di lasciarlo «nella schiera sempre meno folta dei chirografari», e perciò preceduto, riguardo all'esigenza di soddisfazione, da crediti nascenti da cause di minor rilievo.

Siffatto orientamento è stato poi di recente seguito, per ragioni analoghe a quelle esposte, dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'articolo 2751-bis, numero l, cod. civ., nella parte in cui non muniva del privilegio generale sui mobili il credito del lavoratore subordinato per danni conseguenti a malattia professionale della quale sia responsabile il datore di lavoro (sentenza n. 220 del 2002).

[…] Nel caso in esame il remittente assume l'illegittimità della norma dell'art. 2751-bis, numero 1, cod. civ., in quanto, munendo del privilegio i suindicati crediti risarcitori del lavoratore nei confronti del datore per violazione di doveri nascenti a carico di quest'ultimo dal rapporto di lavoro, non include il credito di risarcimento dei danni da demansionamento, benché tale credito abbia natura e fonte analoghe a quelle di alcuni dei crediti muniti del privilegio già nel testo dell'articolo 2751-bis, come introdotto dall'art. 2 della legge 29 luglio 1975, n. 426, ed a quelle dei crediti oggetto degli interventi di questa Corte.
[…]

L'articolo 2103 cod. civ., nel testo sostituito dall'art. 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300, stabilisce nella prima parte del primo comma che il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte.

Nell'elaborazione dei giudici ordinari è incontroverso che dalla violazione da parte del datore dell'obbligo di adibire il lavoratore alle mansioni cui ha diritto possono derivare a quest'ultimo danni di vario genere: danni a quel complesso di capacità e di attitudini che viene definito con il termine professionalità, con conseguente compromissione delle aspettative di miglioramenti all'interno o all'esterno dell'azienda; danni alla persona ed alla sua dignità, particolarmente gravi nell'ipotesi, non di scuola, in cui la mancata adibizione del lavoratore alle mansioni cui ha diritto si concretizza nella mancanza di qualsiasi prestazione, sicché egli riceve la retribuzione senza fornire alcun corrispettivo; danni alla salute psichica e fisica. L'attribuzione al lavoratore di mansioni inferiori a quelle a lui spettanti o il mancato affidamento di qualsiasi mansione – situazioni in cui si risolve la violazione dell'articolo 2103 cod. civ (c.d. demansionamento) – può comportare pertanto, come nelle ipotesi esaminate dalle sentenze n. 326 del 1983 e n. 220 del 2002, anche la violazione dell'art. 2087 cod. civ.
Si deve pertanto riconoscere che tra il credito oggetto del giudizio a quo e quelli già muniti del privilegio in questione sussiste l'omogeneità richiesta per ritenere che la mancata inclusione del primo nel novero dei crediti muniti del privilegio generale sui mobili costituisca violazione dell'articolo 3 della Costituzione.”

La sentenza.
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Rispondi Autore: giuliano - likes: 0
15/05/2008 (09:55)
In internet sentenza 25/2007,ordinanza 101/07 tribunale camerino,pubblico impiego privatizzato,illegittimo demansionamento estromissione eliminazione dallo ufficio di un lavoratore.Condanna del comune datoriale di c al reintegro ESCLUSIVAMENTE nelle mansioni precedentemente svolte.Reintegro eseguito dall'ufficiale giudiziario all'esito del processo di esecuzione,reintegro ritenuto nullo dal I°giudicante e dal tribunale collegiale,il quale reputa necessario il processo di ottemperanza,a sentenza passata in giudicato,fra 10-15 anni.

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