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Nuove forme di organizzazione lavorativa e nuovi rischi

Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Lavoratori

09/07/2009

In un mondo del lavoro che cambia, variano anche i rischi lavorativi e i soggetti che necessitano di maggior tutela. Il lavoro precario e atipico, il lavoro notturno e part-time, gli orari flessibili, gli appalti e i lavoratori piu’ vulnerabili.

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PuntoSicuro ha presentato nei giorni scorsi il dossier dal titolo “Nuovi lavori, nuovi rischi”, prodotto dall'Associazione per gli Studi internazionali e comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni industriali (ADAPT) e il correlato “osservatorio sulle relazioni di lavoro dedicato alla analisi dei rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori connessi ai mutamenti dei modelli organizzativi d’impresa e alla nascita di nuovi lavori e nuove professioni”.
 
 
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I temi relativi al rapporto tra mercato del lavoro e tutela dei lavoratori sono ad esempio affrontati in un lungo articolo del dossier: “Le nuove forme di organizzazione del lavoro e la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori”, scritto da Maria Giovannone.
 
Nell’intervento l’autrice ricorda che “la richiesta di flessibilità ha indotto la diffusione di modelli di organizzazione del lavoro non standard e l’istituzionalizzazione dei rapporti di lavoro atipici, non più considerati risorse utilizzabili solo in situazioni contingenti, ma diventati strategia permanente”.
Tuttavia le strategie organizzative delle imprese possono incidere “sulla qualità del lavoro e sulla salute e sicurezza dei lavoratori comportando, in taluni casi, costi umani cui si correlano la emersione di nuove tipologie di rischio e, nel lungo periodo, ingenti perdite in termini di profitto e competitività del sistema economico”.
 
Tra gli argomenti che l’autrice affronta c’è quello relativo agli impianti organizzativi caratterizzati dall’utilizzo di personale con “contratti a tempo determinato, intermittenti o volanti” e alla tendenza a sottoporre questa manodopera ai “condizionamenti della produzione just in time, caratterizzata da picchi di produzione che determinano la necessità di aumentare i carichi di lavoro e dilatare l’orario lavorativo, suscettibile di oscillazioni dalle 35 alle 45 o 48 ore settimanali, se la domanda arriva all’apice”.
In particolare alla modulazione flessibile dei sistemi produttivi, “fa da corollario l’intensificazione del lavoro, per cui il lavoratore è costretto a produrre di più in uno stesso lasso di tempo, essendo sottoposto contemporaneamente a pause o tempi di riposo troppo brevi, a posture o movimenti sempre più scomodi e faticosi e adibito a mansioni che richiedono grossi sforzi fisici o intellettuali, situazioni che lo espongono, oltre che ad un più rapido logoramento, delle forze fisiche, alla accumulazione di alti livelli di stress per prolungati periodi”.
 
La necessità di fronteggiare i carichi produttivi particolari porta dunque a modulazioni non standard degli orari di lavoro.
In tutti i Paesi europei, si è “assistito infatti all’aumento dell’intensità degli orari di lavoro, con il ricorso diffuso a pratiche di orari di lavoro non standard, prolungato ed al lavoro nel finesettimana (soprattutto per lo svolgimento di talune attività: cameriere, cuoco, addetto alle pulizie) ed attraverso l’incremento degli straordinari involontari”.
In situazioni come queste è evidente che “l’eccessivo carico psicofisico può facilmente innescare l’evento dannoso” e sono già stati indagati (e l’intervento ne riporta alcuni esempi) i legami tra l’adozione dei suddetti schemi organizzativi, l’alterazione dei ritmi circadiani sonno-veglia e la comparsa di serie patologie.
 
L’intervento si occupa anche di lavoro notturno, tipologia di lavoro che prima era limitata “quasi unicamente ai settori dell’industria, della pesca, ad alcune tipologie di attività artigianali ed ai servizi sociali essenziali”, e che oggi ha “abbandonato la sua originaria posizione di marginalità, per passare a quella di fattore organizzativo strategicamente rilevante, per le imprese, al fine di migliorare la produttività e rendersi maggiormente competitive sul mercato”. In questa situazione è necessario “definire misure preventive e criteri ergonomici per l’organizzazione dei turni e delle misure compensative, tenendo in debita linea di conto che il lavoro notturno si riflette negativamente sulla conciliazione dei tempi di vita lavorativa e vita familiare”.
 
Capitolo a parte è rappresentato dal part-time.
Infatti sebbene il lavoratore part-time offre una prestazione lavorativa ridotta non è tuttavia esposto a minori rischi.
Due elementi hanno ad esempio ripercussioni sulla gestione della salute e sicurezza del lavoratore, “la minore presenza del lavoratore in azienda e l’assoggettamento a minori controlli dei superiori”.
Inoltre spesso i lavoratori part-time “sono impiegati in mansioni faticose poco qualificate, con l’imposizione di compiti e ritmi lavorativi squilibrati, di modo che, nel ristretto tempo disponibile, l’entità della prestazione richiesta è quasi equivalente a quella di un lavoratore a tempo pieno”. E non raramente questi lavoratori sono impegnati in attività di lavoro “pluri-part-time”.
 
Riguardo ai rischi legati alle nuove formi di organizzazione del lavoro non si poteva poi non fare cenno alle esternalizzazioni e agli appalti.
Riguardo a queste situazioni lavorative e ai rapporti di lavoro interconnessi l’autrice ricorda che “la natura triangolare di questi rapporti crea particolari problemi di gestione della salute e sicurezza sul lavoro per effetto della frammentazione dei regimi di responsabilità datoriale rendendo più complicata la individuazione dei soggetti responsabili dell’attuazione dell’obbligo di sicurezza ed evanescente la figura del datore di lavoro”.
Ne consegue che “gran parte degli infortuni sul lavoro è causata da consistenti vuoti di responsabilità e di organizzazione, intercorrenti tra i soggetti”.
 
Alcuni capitoli sono poi dedicati ai lavoratori particolarmente vulnerabili, facendo riferimento al rapporto tra l’evoluzione dei modelli organizzativi e il significativo mutamento nella composizione della forza-lavoro, “costituita in misura sempre più consistente da donne, giovani, lavoratori di età superiore ai 50 anni ed immigrati”.
 
Riguardo ai giovani i dati statistici europei indicano che il “tasso di infortuni per i lavoratori di età compresa tra i 18 e i 24 anni è superiore del 50 per cento rispetto a qualsiasi altra fascia di età di lavoratori”.
I giovani sono lavoratori particolarmente a rischio “in quanto non posseggono l’esperienza, la maturità fisica e psicologica, la formazione e la consapevolezza di un lavoratore adulto” e spesso “tendono a sottovalutare il rischio di infortuni o di problemi per la salute”.
 
Alla luce del prolungamento dell’età lavorativa “anche i lavoratori di età superiore ai 50 anni o comunque in età più avanzata, sono considerati una categoria particolarmente vulnerabile”.
Una categoria non solo con ridotte funzioni percettive e sensoriali e con minori forze fisiche, ma anche con “una maggiore difficoltà di adeguamento ai continui cambiamenti dei metodi di lavoro e delle tecnologie”.
 
Le donne lavorano poi spesso in settori (servizi di cura alla persona, attività di lavoro domestico, …) dove il rischio di infortuni, stress e violenza è molto elevato e in particolare le donne lavoratrici sono “soventemente destinatarie di comportamenti discriminatori, violenza e mobbing”.
 
Riguardo agli immigrati molti dati indicano che “il rischio di frequenza infortunistica annua è di gran lunga più elevato” rispetto ad altre tipologie di lavoratori.
Spesso si ha a che fare con lavoratori con background culturali diversi e non è facile assicurare “l’effettività della comunicazione all’interno del posto di lavoro”.
Inoltre “sovente costoro prestano la loro attività in modo del tutto irregolare ed in totale assenza di misure di tutela in materia di sicurezza e igiene del lavoro” ed il “fenomeno è particolarmente rilevante nel settore turistico- alberghiero, nella ristorazione e in agricoltura”. In particolare “per queste categorie di lavoratori, poi, i comuni rischi di insalubrità degli ambienti di lavoro, sono amplificati dalla scarsa conoscenza della lingua e dalla scarsa sensibilità alla prevenzione, cui si aggiungono condizioni di precarietà sociale ed economica, razzismo, scarsa integrazione sociale e nella collettività aziendale e, da ultimo, la maggiore tendenza a non denunciare le situazioni di pericolo”.
 
L’autrice continua affrontando i fattori psicosociali: lo stress e il mobbing e analizzando in questo senso le interrelazioni causali tra organizzazione del lavoro e tutela della salute e sicurezza.
Alcuni studi indicano come lo stress da lavoro aumenti le probabilità di incidenti:  “tale condizione riguarderebbe in particolare i lavoratori con un forte carico di lavoro ed un basso livello di soddisfazione”.
 
L’autrice affronta infine alcune nuove tipologie di rischio frutto di più recente acquisizione: fenomeni attinenti agli aspetti relazionali, rapporto persona/ambiente di lavoro/tecniche di lavorazione, questioni attinenti al disagio, disaffezione, insoddisfazione, …
E affronta anche le recenti tendenze lavorative caratterizzate dalla diffusione di lavori “approssimativamente definiti come atipici, di lavori frammentati, di lavori che non si svolgono più nelle sedi tradizionali e che spesso non implicano affatto una complessità di rapporti, potendo essere svolti anche a livello individuale, sino a giungere a vere e proprie forme di lavoro irregolare e sommerso”.
Tutto questo lavoro frammentato, infatti,  “presenta problemi assolutamente nuovi e diversi rispetto a quelli tradizionali e soprattutto determina una quantità di fattori di rischio di cui, appena ora, si comincia ad assumere una certa consapevolezza”.
La cosiddetta job insecurity, “consistente nelle percezione individuale della precarietà del proprio posto di lavoro, in particolare, indurrebbe forte stress nel lavoratore, di modo che l’esposizione a detto fattore, per lungo tempo, sarebbe la causa di gravi patologie, quali infarto e tumori”.
Più in particolare i precari “risulterebbero fortemente esposti al fenomeno dell’emarginazione nel contesto lavorativo, oltre quello dello scarso coinvolgimento e della scarsa partecipazione alle iniziative aziendali in materia di salute e sicurezza”.
Insomma i lavoratori soggetti a rischi particolari “sono da individuarsi non soltanto in base a criteri di tipo soggettivo (determinate categorie di lavoratori e lavoratrici), ma anche di tipo oggettivo, e cioè contrattuale ed organizzativo, tra cui inevitabilmente ricadono anche le fattispecie contrattuali atipiche”.
 
Nelle prossime settimane PuntoSicuro continuerà ad approfondire altri interventi in relazione alla “complessa fenomenologia delle problematiche legate all’impatto dell’evoluzione dei modelli di organizzazione del lavoro sulla tutela della salute e sicurezza negli ambienti di lavoro”.
 
 
ADAPT, Dossier n. 4 del 25 maggio 2009, “Nuovi lavori, nuovi rischi”, “Le nuove forme di organizzazione del lavoro e la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori” di Maria Giovannone, p. 3-17 (formato PDF, 645 kB).
 
 
 
Tiziano Menduto



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