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Morti per esalazioni di gas: come prevenire questi infortuni?

Morti per esalazioni di gas: come prevenire questi infortuni?
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Interviste e inchieste

22/01/2018

Riflessioni e considerazioni sulla prevenzione e su quanto può essere avvenuto all’azienda Lamina spa dove sono morti quattro lavoratori per esalazioni di gas. Ne parliamo con Adriano Paolo Bacchetta, esperto in materia di spazi confinati.

Milano, 22 Gen – Giovedì è morto anche il quarto operaio, Giancarlo Barbieri, coinvolto nel gravissimo incidente che è avvenuto a Milano alla Lamina spa, azienda di produzione per laminazione a freddo di nastri di alta precisione in acciaio e titanio.

 

PuntoSicuro, che si occupa per lo più di aspetti tecnici, di prevenzione in materia di sicurezza e salute sul lavoro, raramente interviene direttamente sui recenti fatti di cronaca in materia di infortuni. Il ruolo di commento e approfondimento del nostro giornale diventa difficile quando la magistratura sta ancora lavorando, quando sia ancora difficile dipanare cause e responsabilità.

Tuttavia ci sono tipologie di incidenti - come fu per quello relativo all’ incendio alla Thyssenkrupp e come è per questo di Milano - che possono e devono far scaturire utili riflessioni che, al di là degli aspetti meramente tecnici, ci permettano di comprendere la situazione della sicurezza in Italia.

 

E per raccogliere qualche considerazione “competente” abbiamo chiesto aiuto ad Adriano Paolo Bacchetta, coordinatore di spazioconfinato.it e tra i principali esperti nazionali in tema di “ambienti sospetti di inquinamento o confinati”. Non è stato semplice coinvolgerlo, nessuno ama rispondere su temi che evolvono giornalmente, che potrebbero mutare a seconda dei riscontri che ci saranno. Tuttavia abbiamo ottenuto alcune risposte che ci permettono di offrire qualche spunto di riflessione ai nostri lettori.

 

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Partendo dai pochi dati certi e di là dalle tante ipotesi che si possono fare riguardo al gravissimo incidente alla Lamina, cerchiamo di fare qualche breve riflessione. Intanto mi pare che quanto è avvenuto riguardi un ambiente confinato e non deve essere la prima volta che infortuni di questo tipo avvengono durante operazioni di manutenzione o pulizia di forni…

 

Adriano Paolo Bacchetta: “Non è mia abitudine commentare ‘a caldo’ un evento drammatico, come quello successo a Milano, tenuto conto del rincorrersi delle notizie parziali e, talvolta, contraddittorie provenienti degli organi d’informazione. Questo anche perché gli accertamenti tecnici degli inquirenti sono ancora in corso.

Fatto salvo il commosso sentimento di cordoglio per le vittime e i loro familiari, ogni considerazione potrebbe essere certamente passibile di errori, anche grossolani, derivanti dalla limitata disponibilità d’informazioni circostanziate.

Tuttavia, volendo aderire alla richiesta di formulare qualche ipotesi preliminare che, come detto, potrà essere confermata o smentita in futuro quando si avranno informazioni di dettaglio, bisogna rilevare che sul sito web della Lamina S.p.A. si legge che all’interno dello stabilimento è operativo un forno statico di ricottura a campana “Ebner” con raffreddamento ad acqua in cascata, che permette la ricottura degli acciai ad alto e medio tenore di carbonio e del titanio. Non ho dati sul tipo, modello e caratteristiche specifiche del forno in questione ma, in generale, si può dire che questo è un sistema di ricottura tra i più frequenti e di notevole impiego nei cicli di lavorazione a freddo, soprattutto quando vi sia la necessità di trattare grosse quantità di materiale. La letteratura indica che la struttura di questi forni è usualmente rappresentabile come una base su cui sono sovrapposti a strati i rotoli di materiale (coils) che devono essere sottoposti a ricottura e un sistema a due campane che isola gli stessi coils dall'ambiente esterno, in modo da poter generare nel volume interno un'atmosfera controllata, ovvero in cui l’ossigeno è a bassissime concentrazioni (o praticamente assente). Questo consente di evitare alterazioni del materiale derivanti da fenomeni di ossidazione, possibili in caso di processi di ricottura della durata di diverse ore, oltre ad assicurare un’elevata qualità superficiale dei nastri e l’ottenimento di caratteristiche meccaniche ottimali dopo la ricottura. I gas indicati sul sito aziendale come in uso per controllare l’atmosfera interna, sono argon o azoto.

Io non ho visitato direttamente i luoghi ma, considerata la particolare forma del forno (in tal senso anche la foto presente sul sito web aziendale) e delle normali modalità di apertura e movimentazione verticale delle campane, oltre al riferimento agli organi di stampa che hanno parlato di “forno interrato”, posso immaginare che si tratti di un’installazione in buca, in altre parole una vasca a cielo libero cui si accede normalmente sul fondo mediante una normale scala fissa e avente una profondità idonea a contenere l’intero sviluppo verticale del forno o, almeno, una sua parte (dalle notizie di stampa si dovrebbe trattare di una vasca profonda circa 2 metri e di un forno alto circa 4 metri, condizione che prevede che lo stesso sporga rispetto al piano di calpestio. Questo sarebbe anche coerente con l’immagine pubblicata sul sito web aziendale). Potrei ovviamente sbagliarmi, ma credo che la rappresentazione che ho fatto in precedenza sia ragionevole e pertanto, se quanto ipotizzo fosse corretto, il personale non dovrebbe essere “entrato nel forno” come riportato in un primo tempo nei lanci delle agenzie di stampa (in letteratura non ho trovato indicazioni riguardanti forni Ebner di questa potenzialità con portelli d’ispezione accessibili o passi d’uomo sulle campane), ma potrebbe essere sceso nella vasca a cielo libero al cui interno è installato il forno. Le testimonianze di alcuni dipendenti della Lamina riferiscono che, quando non hanno visto uscire i colleghi, altri due si sono affacciati, e questo sarebbe coerente con l’ipotesi di una vasca interrata con parapetto perimetrale (in tal senso ritorno a citare la foto presente sul sito web aziendale)”.

     

Da quello che lei ha potuto comprendere dalle diverse ricostruzioni dell’incidente, al di là dall’allarme che non sarebbe entrato in funzione, quali potrebbero essere le carenze in materia di sicurezza. O meglio, visto che le informazioni in nostro possesso non sono ancora molte, quali sono negli infortuni avvenuti in passato in questa tipologia di spazi le carenze più frequenti?

 

Adriano Paolo Bacchetta: “Come giustamente osserva, la situazione è ancora priva di certezze. L’effettiva presenza di sensori, la loro tipologia e corretto funzionamento, saranno certamente punti salienti degli accertamenti tecnici da parte degli inquirenti. Resta però il fatto che, i testimoni presenti, hanno raccontato che non erano presenti odori e che, quando hanno cercato di portare soccorso ai colleghi, sentivano ‘mancare l’aria’. Questo dovrebbe rafforzare l’ipotesi della presenza di un’atmosfera sotto ossigenata per il rilascio accidentale di uno dei gas tecnici utilizzati per l’inertizzazione dell’interno delle campane (azoto o argon). Probabilmente, come ho già detto, tutto potrebbe essere quindi da ricondurre non tanto all’ingresso all’interno di un’apparecchiatura (entrata nel “forno interrato”), ma all’accesso all’interno di una vasca interrata a cielo libero, in cui potrebbe essersi creata un’atmosfera con una ridotta percentuale di ossigeno. In generale, l’analisi degli incidenti occorsi in passato, individua nella presenza di un’atmosfera pericolosa (sotto-ossigenazione o presenza di gas/fumi/vapori tossici), la causa d’incidenti nel 52,2% dei casi (elaborazione dati IN.FOR.MO 2014 – scheda “Gli ambienti confinati”). Sempre in conformità a questa elaborazione, seguono con il 24,4% le cadute dall’alto o in profondità dell’infortunato, con il 10% le cadute dall’alto di gravi e nel restante 13,4% sono ricomprese tutte le altre cause. Per quanto riguarda i luoghi, l’analisi dei dati indica che cisterne/serbatoi/autoclavi sono gli ambiti in cui si sono verificati il 28,8% degli incidenti: A seguire con il 22,2% le vasche, quindi i pozzi/pozzetti con il 15,5%, i silos con l’11,1%, le camere/cavedi con il 10% e per finire, con il 12,2 % altri luoghi (canalizzazioni, condotte, stive, celle frigo, ecc.). A riguardo, mi sono recentemente occupato dell’analisi di alcuni casi studio riguardanti incidenti occorsi in silos (o sili) di materiale incoerente dove, oltre al problema dell’atmosfera interna (sotto-ossigenazione o presenza di una miscela di anidride carbonica e ossidi di azoto per fermentazione naturale degli insilati tagliati da poco), le altre cause sono state il seppellimento (engulfment) per il distacco improvviso dalle pareti di ampie porzioni di materiale, il cesoiamento degli arti a causa del contatto dell’operatore con la coclea di fondo oppure, in alcuni casi, anche l’esplosione. La casistica è varia, come pure lo sono le cause. È però vero che, nel complesso, è possibile identificare gli ambiti e le cause maggiormente ricorrenti, in modo che sia possibile valutare e, se del caso, adottare adeguate misure di prevenzione e protezione. Questo, però, non significa che sia possibile categorizzare i luoghi e le attività all’interno di una sorta di “griglia decisionale”, che consenta di poter definire in modo automatico la classificazione di un ambiente mettendo semplicemente una crocetta in corrispondenza di qualche casella presente in generiche checklist preconfezionate. Tutto dipende dall’effettuazione di una corretta e adeguata valutazione dei rischi. A riguardo, ricordo che la normativa 29 CR OSHA 1926.21(b)(6)(ii) identifica come Confined Space (ai fini della somministrazione di un’adeguata informazione/formazione sui rischi e addestramento all’utilizzo dei DPI e applicazione delle procedure di emergenza), anche una vasca a cielo libero avente una profondità maggiore di quattro piedi, ovvero circa 1,22 metri”.

 

Ci troviamo poi spesso ad affrontare anche il tema degli infortuni tra i soccorritori. In ogni azienda il soccorso negli spazi confinati o, comunque, negli ambienti sospetti di inquinamento (ex art.66, D.Lgs. 81/2008), immagino debba essere ben pianificato. Qual è, da questo punto di vista, la sua esperienza nei tanti convegni e corsi realizzati sulla sicurezza di questi ambienti?

 

Adriano Paolo Bacchetta: “L’intervento di emergenza è una fase di notevole complessità, sia da un punto di vista tecnico, sia da un punto di vista strettamente umano. Non può sfuggire che tra i primi soccorritori che hanno tentato l’accesso, c’era il fratello maggiore di uno dei lavoratori coinvolti. Il coinvolgimento emotivo, in questi casi, è purtroppo decisivo nella definizione del numero delle vittime. Questo lo abbiamo già visto nei casi del depuratore di Mineo, del Truck Center di Molfetta e in tutti gli eventi che hanno preceduto o seguito queste terribili disgrazie. Affermata sia l’importanza dell’attività di cooperazione, coordinamento e informazione reciproca delle imprese, ai fini della sicurezza in questi particolari luoghi di lavoro, è fondamentale identificare tutti i rischi (reali o potenziali), così da poter eseguire un’approfondita e corretta valutazione, disporre un addestramento efficace del personale operativo, prevedere l’impiego di strumentazione/attrezzature/DPC/DPI idonei e pianificare sia le attività ordinarie sia gli scenari di emergenza, codificando le operazioni da porre in essere, per garantire la tutela della salute e sicurezza degli addetti chiamati a operare in questi particolari ambienti di lavoro. Da quanto sopra, si evince come la gestione delle fasi di soccorso ha bisogno di una specifica attenzione, in modo da poter predisporre una procedura adeguata e specificatamente applicabile al particolare ambito in cui si è chiamati a operare. Questo significa che, in fase di progettazione dell’intervento, o meglio, in fase di definizione del contesto operativo specifico del reparto/impianto, il processo valutativo deve poter individuare tutti i rischi (reali o potenziali), compresi eventuali malfunzionamenti dei sistemi, che possano produrre conseguenze indesiderate, ovvero mettere a rischio gli addetti ed anche gli eventuali soccorritori. Evidentemente, la completezza dell’analisi richiede adeguate competenze aggiuntive rispetto alla sola conoscenza delle normative e/o pratica riguardo all’usuale applicazione delle misure di prevenzione e protezione per la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.

 

Non c’è, ancora oggi, una sottovalutazione da parte di tutti, lavoratori, operatori e aziende, dei gravi rischi correlati alle attività in un confined space, in un ambiente sospetto di inquinamento o confinato?

 

Adriano Paolo Bacchetta: “Teniamo conto che, ancora oggi, per alcuni il tema dominante è la “ricerca di una definizione” di ambiente sospetto di inquinamento o confinato. Stante l’articolazione del DPR 177/2011, l’indeterminazione in tal senso è massima. Questo, tuttavia, non dovrebbe essere particolarmente rilevante se, come necessario, ci si ponesse prioritariamente l’obiettivo dell’identificazione dei pericoli e valutazione dei rischi associati all’attività specifica, così come previsto dal D.Lgs. 81/08 e s.m.i..

Ricordiamo che il DPR 177/2011, non ha aggiunto nulla al necessario e fondamentale Risk Assessment. Ha però introdotto adempimenti, per molti versi spesso difficili da applicare. Basti pensare all’informazione/formazione obbligatoria prevista all’art. 2 c1 lettera “d” (che attende da anni una specifica definizione in termini di contenuti e modalità di somministrazione), alla certificazione dei contratti (con la querelle sull’estensione anche agli appalti principali e non solo ai subappalti), all’informazione preliminare della durata di un giorno (da somministrare al personale dell’appaltatore prima dell'accesso nei luoghi nei quali devono svolgersi le attività lavorative), alla definizione del come valutare e attestare il requisito di esperienza triennale, all’effettivo ruolo del rappresentante del datore di lavoro committente, solo per citarne alcuni. Resta comunque il fatto che l’elaborazione di adeguate procedure operative, da non confondersi con quanto spesso predisposto ricercando talvolta più la (apparente) conformità al disposto normativo, che la reale efficacia dell’azione di prevenzione, rappresenta certamente un potente strumento di controllo dei rischi associati ad attività con elevato livello di rischio potenziale, quale quello che caratterizza le operazioni in spazi confinati. Peraltro, tale potenzialità si esprime appieno solo se sono eseguite correttamente le varie fasi di elaborazione di questi documenti, al fine di controllare i punti critici, e se gli operatori seguono puntualmente le istruzioni ricevute. L’elaborazione di una procedura, è prioritariamente un processo bottom-up che dev’essere adeguatamente guidato. Infatti, se da una parte solo chi opera direttamente può essere realmente consapevole delle problematiche che si riferiscono alla propria attività, dall’altra l’ausilio dell’expertise di qualcuno, prioritariamente un soggetto interno alla struttura aziendale, in possesso di adeguate conoscenze ed esperienza, consente d’integrare la sua professionalità nel processo d’identificazione dei pericoli e valutazione dei rischi, agevolando la predisposizione di tutte le attività di contrasto all’insorgenza di possibili condizioni impreviste durante le operazioni.

La stesura di una procedura è però solo l’atto iniziale di un processo che deve vedere nella puntuale e dettagliata informazione/formazione degli addetti, il principale strumento per il trasferimento delle conoscenze e delle corrette modalità operative. Non è, infatti, un caso il preciso riferimento presente nell’art. 3 del DPR 177/2011 ove si stabilisce che la procedura di lavoro deve essere adottata ed efficacemente attuata. Quindi, è evidente la necessità del pieno coinvolgimento degli addetti prima, durante e dopo l’elaborazione delle specifiche procedure aziendali. Non bisogna inoltre dimenticare che nel più generale contesto del Risk Management, la corretta gestione delle operazioni deve vedersi orientata non solo verso la protezione dei lavoratori direttamente operanti, ma anche nei confronti di tutti quelli che, in caso di emergenza, potrebbero essere chiamati a intervenire per portare soccorso”.

 

Infine facciamo un riferimento al più volte da lei citato, anche su PuntoSicuro, Dpr 177/2011. Possiamo dire brevemente se, a suo parere, questo DPR è servito in questi anni (ne sono passati sette) a ridurre il numero d’infortuni o ad aumentare, comunque, la sicurezza negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati?

 

Adriano Paolo Bacchetta: “Come più volte sottolineato, il punto di partenza della strategia di contrasto alla base delle prescrizioni presenti nel testo legislativo, era la constatazione che le dinamiche e le conseguenze degli infortuni che si sono drammaticamente succeduti negli anni in occasione di attività in questi specifici ambienti di lavoro, richiedevano un rapido innalzamento delle tutele a garanzia della salute e sicurezza degli operatori impegnati. Da qui la decisione di disporre che, in simili situazioni, potessero operare solo soggetti adeguatamente formati, addestrati ovvero consapevoli sia dei rischi delle attività previste, sia (in particolare) di quelli derivanti specificatamente dagli ambienti nei quali si svolgeva l’attività lavorativa.

In questi anni, ovvero dall’entrata in vigore del DPR 177 nel 2011, ci sono però stati diversi incidenti fotocopia. Per esempio, tra gli ultimi, l’incidente di Bomporto dove, nell’agosto del 2017, un lavoratore è entrato per pulire un’autocisterna con la quale aveva trasportato del vino e non è più uscito. E la lista d’incidenti analoghi sarebbe, purtroppo, lunga. Fermo restando l’obiettivo di garantire un adeguato livello di sicurezza in queste particolari attività, sarebbe opportuno valutare quali sia il reale impatto di alcune disposizioni introdotte con il D.P.R. 177/2011 in termini di applicabilità ed efficacia. La predisposizione di una corretta programmazione, la pianificazione di tutte le fasi operative (con particolare riferimento agli interventi in caso di emergenza), oltre alla garanzia sia di un’adeguata attività d’informazione e formazione di tutto il personale (compreso il datore di lavoro), il possesso d’idonei dispositivi di protezione individuale, strumentazione e attrezzature di lavoro adeguati alla prevenzione dei rischi propri delle attività lavorative in ambienti sospetti d’inquinamento o confinati e il necessario addestramento al loro corretto utilizzo, rappresentano certamente condizioni imprescindibili per la sicurezza dei lavoratori. Ma questo, in pratica, era già presente tra gli obblighi di cui al D.Lgs, 81/08 e s.m.i.. Resta quindi da capire se, e come, gli altri adempimenti introdotti possano realmente essere funzionali all’elevazione del livello di sicurezza originariamente ipotizzato dal Legislatore e, quindi, dire se il Decreto abbia, in qualche modo, raggiunto lo scopo.

In conclusione, appare più che mai necessario e urgente sia rivedere il quadro normativo di riferimento, al fine di dirimere i molti problemi interpretativi e applicativi del Decreto, sia ricondurre la discussione su un piano prettamente tecnico, nell’ambito del quale poter elaborate una specifica norma di riferimento, da sviluppare sulla base di linee guida, standard e Best Practices presenti a livello nazionale e internazionale”.

 

 

Intervista a cura di Tiziano Menduto



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Rispondi Autore: Eugenio Roncelli - likes: 0
22/01/2018 (07:49:59)
L'articolo spiega molto bene la situazione, sia dal punto di vista della legge, che nel caso in questione.
Mi parrebbe utile sottolineare che uno degli errori generali che si commettono è quello di "affidarsi" troppo alle "regole"
Nel caso in questione, sembra che l'allarme di presenza azoto (comunque realizzato), potesse essere fuori servizio: errore grave che non ci fosse una segnalazione al riguardo (ed anche un "blocco" all'entrata del personale).
Ci dovrebbero sempre essere 2 "sicurezze" in serie, di tipo meccanico, lasciando per ultima la procedura da seguire.
Proprio perché l'uomo sbaglia !
Rispondi Autore: Pier Giorgio Confente - likes: 0
22/01/2018 (09:58:01)
anche in questo caso la precedenza, nel nostro ordinamento giuridico, è data all'accertamento di eventuali responsabilità lasciando le ragioni tecniche alla fine e spesso non bene esaminate ma inficiate dal dibattito in sede penale volto da un lato a cercare di scagionarsi e dall'altro a cercare il colpevole.
Forse dovremmo cercare una formula che permetta l'approfondimento delle cause e la socializzazione delle stesse prima della soluzione penale naturalmente protratta nel tempo.
Rispondi Autore: MARCO - likes: 0
22/01/2018 (11:54:25)
il D.P.R. 177/2011 è pietoso, manca persino una chiara definizione di spazio confinato.
Il D.P.R. 177/2011 si basa più su formazione (carta?), certificati, requisiti etc. etc. ma non dice nulla di tecnico, non parla di ridondanza di controlli, non parla di malfunzionamenti di attrezzature.
Rispondi Autore: Eugenio Roncelli - likes: 0
22/01/2018 (18:27:12)
Secondo me non è il D.P.R. 177/2011 che "è pietoso", ma l'interpretazione che troppi ne danno.
Non mi piace che la tecnica sia scritta in una legge: la tecnica è un continuo progresso e la legge deve solo dare i principi.
Poi intervengono i tecnici, che conoscono la particolare situazione (o almeno si spera) e indicano come organizzare TUTTO il processo di sicurezza.
Troppo spesso questo non viene fatto e ci si limita alla carta.

Rispondi Autore: Claudio Aradori - likes: 0
25/01/2018 (11:43:53)
Come per quanto riguarda i corsi antincendio , se non si pensa come farli svolgere , i dispositivi che obbligatoriamente si devono usare durante il corso e i simulatori a disposizione a chi svolge i corsi , possiamo citare tutte le normative che volete e se poi i corsi li possono svolgere anche i vigili del fuoco , senza avere nulla di tutto questo ( dispositivi, simulatori) senza andare nello specifico , dagli organi di stampa è uscito , che il capo squadra è rimasto coinvolto.....continuiamo a produrre certificati.

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