La sottovalutazione dei rischi chimici nelle piccole imprese edili
Bologna, 13 Gen – Come PuntoSicuro ci siamo soffermati spesso in questi anni sui vari regolamenti europei relativi alle sostanze chimiche con particolare riferimento al Regolamento REACH (registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche) e al Regolamento CLP (classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele).
E abbiamo potuto constatare, anche attraverso la pubblicazione di interviste o di dati e ricerche, come in molti comparti l’applicazione di questi regolamenti e l’attenzione al rischio chimico siano ancora insufficienti.
Uno di questi comparti è sicuramente il comparto edile dove “i regolamenti, purtroppo, sono visti come qualcosa in più rispetto a quello che è il semplice controllo delle schede di sicurezza”. Spesso si pensa che il Regolamento REACH sia da fare applicare solo “a chi fa industria chimica, ma non è così”.
A ricordarlo, sottolineando le criticità del rischio chimico in edilizia, sono gli ingegneri Paolo Balboni e Giacomo Niboli del Gruppo di Lavoro Sicurezza dell’ Ordine degli Ingegneri della Provincia di Bologna che hanno presentato una ricerca e hanno partecipato come relatori al convegno “REACH edilizia. L’applicazione dei Regolamenti REACH e CLP nell’ambiente da costruire e nell’ambiente costruito” che si è tenuto ad Ambiente Lavoro a Bologna ed è stato organizzato e promosso dall’Inail, dall’ AUSL di Modena e dalla Regione Emilia-Romagna.
Proprio per approfondire il rapporto tra rischio chimico e edilizia – da loro affrontato al convegno con una relazione dal titolo “Aspetti qualificanti e criticità nella valutazione del rischio da agenti chimici pericolosi, cancerogeni e mutageni. Le ricadute dei regolamenti REACH e CLP nell’applicazione del D.Lgs. 81/08 nel settore delle costruzioni” - PuntoSicuro li ha intervistati il 20 ottobre 2016 cercando di mettere in risalto le criticità degli aspetti gestionali e operativi nel comparto edile.
E poiché “le criticità che si trovano sono di natura un po' diversa a seconda di come è organizzata la azienda”. Quali sono le specificità e le criticità, riguardo al rischio chimico, delle piccole e delle grandi imprese?
Ci siamo poi soffermati nell’intervista sui regolamenti europei. Nelle imprese edili sono conosciuti e applicati i regolamenti Reach e CLP? E le valutazioni dei rischi vengono correttamente aggiornate?
Non potevamo poi non soffermarci su alcuni particolari aspetti critici.
Laddove il datore di lavoro ricopre anche il ruolo di RSPP, questa duplicità di ruoli va a detrimento delle competenze necessarie a valutare il rischio chimico?
È corretto pensare che se una sostanza/prodotto è in commercio significa che soddisfa i requisiti normativi previsti e può essere utilizzata?
E se emerge una generale tendenza nelle piccole imprese del settore delle costruzioni alla sottovalutazione del rischio chimico, quali possono essere dei suggerimenti per le imprese?
Come sempre diamo la possibilità ai nostri lettori di visualizzare integralmente l’intervista e/o di leggerne una parziale trascrizione.
Ricordiamo inoltre che sul tema dell’applicazione dei regolamenti europei sulle sostanze chimiche abbiamo anche realizzato e pubblicato una recente intervista a Celsino Govoni del Dipartimento Sanità Pubblica dell’AUSL di Modena e a Augusto Di Bastiano, funzionario dell’ECHA, dell'Agenzia europea per le sostanze chimiche
Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto
Avete affrontato nel convegno le criticità degli aspetti gestionali e operativi, nella valutazione del rischio chimico in ambito edile, con riferimento a due tipologie di aziende… Cerchiamo di comprendere quali sono le specificità, riguardo al rischio chimico, di queste due tipologie di aziende…
Paolo Balboni: “(…) Per quanto riguarda le piccole imprese possiamo dire che sono quelle imprese caratterizzate da dimensioni che arrivano fino a 10 lavoratori come ordine di grandezza. Poi è chiaro che bisogna essere necessariamente elastici in questa definizione, perché quello che rimarca la vera differenza è il fatto che l'impresa sia dotata di una struttura interna che segua le problematiche di sicurezza, piuttosto che si affidi a consulenti esterni”…
Qual è la dimensione di questo mondo rispetto a quello delle aziende medio/grandi?
Paolo Balboni: “(…) Diciamo che le aziende grandi, quelle in grado di gestire grandi appalti, grandi opere - penso ad esempio all’alta velocità, alla TAV, alla variante di valico, … - sono veramente poche. Quindi il grosso della realtà produttiva è quello determinato dalle piccole aziende che è poi dove si riscontrano le criticità maggiori”.
Vediamo di conoscere più nel dettaglio il mondo delle grandi aziende…
Giacomo Niboli: “Parliamo di grandi aziende che possono arrivare fino a 250 e oltre lavoratori. In Italia si contano quasi sulle dita di una mano. In Emilia-Romagna operano principalmente sulle grandi opere infrastrutturali e, partendo da questo dato di fatto, devono forzatamente organizzare l'attività in una maniera completamente differente rispetto alle piccole realtà. Parliamo di realtà strutturate in cui esiste un servizio di prevenzione, in cui esiste anche una struttura amministrativa a supporto delle attività di prevenzione. Cosa che nelle piccole aziende più difficilmente si riesce ad avere”.
Voi avete affrontato, nella vostra relazione, aspetti gestionali e operativi.
Facciamo intanto un breve sintesi di cosa avete riscontrato riguardo agli aspetti gestionali. Quali sono gli aspetti più critici?
Paolo Balboni: “Questa è una domanda molto delicata che mi impone una piccola premessa. Gli aspetti critici che noi adesso possiamo evidenziare non sono una critica ingenerosa nei confronti degli operatori di queste aziende. Vogliono essere uno spunto, uno stimolo per analizzare le problematiche che oggettivamente si pongono e cercare insieme delle soluzioni. Non vogliono essere, certo, una critica feroce.
Detto questo, mi sembra del tutto evidente che le criticità che si trovano sono di natura un po' diversa a seconda di come è organizzata la azienda.
All'interno delle piccole imprese, ad esempio, possiamo distinguere tra le imprese che hanno il datore di lavoro che svolge anche il ruolo di RSPP. Queste sono, ad esempio, le piccolissime imprese che hanno uno, due dipendenti. (…) Poi ci sono quelle che hanno un RSPP esterno, al quale è attribuito l'incarico. E a quel punto è una persona che è professionalmente qualificata e competente, in grado di gestire il rischio chimico.
Va detto anche che all'interno di queste ultime aziende, cioè di quelle che si avvalgono di collaboratori esterni, le criticità hanno una valenza diversa in relazione al grado di autonomia che è riconosciuto al consulente. Ci sono consulenti che possono disporre “liberamente” di quella che è l’organizzazione aziendale in modo efficace ed operativo. Ci sono invece realtà in cui il consulente è, in qualche modo, confinato e limitato e, a quel punto, la situazione diventa già un po' più difficile, un po' più problematica (…)”.
Ci sono particolari criticità laddove il datore di lavoro ricopre anche il ruolo di RSPP… Questa duplicità di ruoli va a detrimento delle competenze che servirebbero per il rischio chimico?
Paolo Balboni: “Assolutamente sì. Anzi la nostra esperienza ci porta a sottolineare come ci siano anche, mi verrebbe da dire, dei “problemi culturali”, intesi come sensibilità all'approccio del rischio chimico. Nelle piccole e piccolissime imprese, dove il datore di lavoro è anche RSPP, le problematiche connesse al rischio chimico sono le ultime. (…) Sono le ultime e sono sempre trascurate.
Le valutazioni che si fanno, tutto quello che si fa, è volto esclusivamente a fornire un minimo di giustificazione in caso di ispezione da parte di un organo di vigilanza o di enti esterni che, a qualunque titolo, ti possono chiedere qualche documento, chiedere qualcosa. Ma raramente sono finalizzate ad un approccio attivo nei confronti di quella che è la tutela dei lavoratori e le esigenze di protezione igienistica”.
Nella vostra relazione avete anche sottolineato l’errore di ritenere, da parte degli utilizzatori, che quando la sostanza/prodotto è in commercio significa che soddisfa i requisiti normativi previsti e può essere utilizzata.
Giacomo Niboli: “Purtroppo questo era ciò che accadeva fino a qualche anno fa e la presunzione era corretta. Ma con l'introduzione dei nuovi regolamenti europei questa presunzione non è più del tutto corretta, in quanto è necessario che l'utilizzatore verifichi di poter fare l'uso che ha intenzione di fare della sostanza. E deve verificare se la sostanza contiene comunque delle sostanze, dei prodotti pericolosi, perché questi potrebbero produrre dei rischi per i propri lavoratori. Il fatto che una sostanza, un prodotto, un preparato sia in vendita, non esime dalla valutazione dei rischi e neanche da quella che è la gestione completa del prodotto”.
Nelle imprese edili sono conosciuti e applicati i regolamenti Reach e CLP? E le valutazioni dei rischi vengono correttamente aggiornate, anche in relazione alla scadenza del primo giugno 2015?
Giacomo Niboli: “Io credo che nelle grandi aziende, specialmente quelle che operano sulle grandi opere infrastrutturali, ci sia questa sensibilità portata da un servizio di prevenzione attivo. Portata da qualcuno che, anche con la semplice verifica delle schede di sicurezza aggiornate, trovi dei nuovi simboli e segnali queste modifiche. In queste grandi aziende la conoscenza c’è”.
Paolo Balboni: “Sulle piccole aziende la situazione è abbastanza problematica. Diciamo che la situazione va un po' meglio in quelle realtà in cui al consulente esterno, che spesso svolge c'è anche il ruolo di RSPP, è riconosciuta la necessaria autonomia per fare efficacemente il proprio dovere, il proprio lavoro.
Di solito in queste realtà il tutto si risolve nell’avere una scheda di sicurezza. Ed è già molto se qualcuno la legge. Queste sono un po' le criticità più significative”.
E si devono rispettare anche i regolamenti europei sulle schede di sicurezza…
Giacomo Niboli: “I Regolamenti, purtroppo, sono visti come qualcosa in più rispetto a quello che è il controllo semplice delle schede di sicurezza. Si pensa che il Regolamento REACH sia da fare applicare solo a chi fa industria chimica, ma non è così”.
Veniamo, infine, a parlare di qualche aspetto operativo relativo alla valutazione dei rischi… Cosa avete riscontrato?
Paolo Balboni: “Nelle piccole aziende sugli aspetti operativi la criticità fondamentale è soprattutto quella che la valutazione del rischio chimico non sempre è descrittiva della reale situazione lavorativa. Anche perché in questo tipo di imprese è oggettivamente difficile realizzarla, in quanto i lavoratori svolgono diverse mansioni e quindi anche nell'arco della stessa giornata vengono in contatto e sono esposti a sostanze molto diverse tra di loro e con modalità d'uso assolutamente diverse. E quindi trovare il loro profilo di rischio, quel profilo che ne determina l'esposizione diventa molto, ma molto problematico.
Pertanto le valutazioni del rischio che si fanno in questo tipo di aziende, si fanno perché devono essere fatte. Danno un'indicazione di quella che può essere l'esposizione al rischio dei lavoratori, senza presunzione di averla ‘azzeccata al cento per cento’. Ci sono cioè margini di incertezza molto ampi”.
Mi pare che emerga una generale tendenza nel settore delle costruzioni alla sottovalutazione del rischio chimico. Concludiamo con qualche suggerimento per le imprese…
Giacomo Niboli: “Potremmo intanto consigliare a tutte le aziende che hanno a che fare con il rischio chimico, non solamente quelle delle costruzioni, di guardare quanti prodotti chimici hanno all'interno delle loro realtà. Perché forse sono più di quelli che si aspettano.
E un consiglio è quello di vedere la valutazione del rischio chimico non come una mera compilazione di dati, in quanto tale inutile, ma come lo strumento per poi effettuare effettivamente una prevenzione. La valutazione del rischio chimico consente di valutare quante postazioni siano idonee e quante no. Questi sono spunti per la salute dei lavoratori”.
(…)
Paolo Balboni: “Una cosa importante che a mio parere va sottolineata è che sarebbe opportuno cercare di trasferire nella realtà operativa delle piccole aziende quei valori etici che hanno a che fare con la sicurezza. Dove la sicurezza non è solo un adempimento tecnico, un adempimento burocratico, ma comprende, comporta un modo di essere delle persone che la mettono in pratica e che la esercitano.
Un esempio che mi capita di fare spesso è quello di quando qualche anno fa - ormai sono già passati vent'anni, forse - usciva la legge che imponeva l'obbligo delle cinture di sicurezza. Allora ben pochi le indossavano. Oggi sono pochi quelli che non le indossano. Vuol dire che dentro di noi, come persone, è cambiato qualcosa e sarebbe auspicabile che questo succedesse anche nell'ambito della sicurezza e, per quello di cui noi stiamo parlando, a livello di rischio chimico e a livello di igiene del lavoro”.
(…)
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Rispondi Autore: enzo raneri - likes: 0 | 16/01/2017 (08:21:16) |
sento nel filmato che l'rspp esternosarebbe meglio che abbia più potere di intervento sulla line di produzione: ciò contraddirebbe lo spirito profondo del ruolo strategico di questa figura, in quanto l'autonomia è insita nella liberta dello stesso di definire per iscritto tutti i contenuti necessari per la gestione della sicurezza. Ovviamente il propblema è legato solo alla necessità di relazione formale fra il Datore di Lavoro e il suo RSPP: non vi potrebbe esistere tale autonomia solo se il Datore di Lavoro influenza pesantemente le scelte indicate dal suo RSPP (ci sono già capitato), sotto il "ricatto" del mancato rinnovo contrattuale. |