La necessità di un affinamento del decreto 81/2008
Bologna, 20 Nov – Non è facile giudicare il Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, come ripetuto anche in vari articoli del nostro giornale, a dieci anni dalla sua emanazione. Troppi decreti attuativi sono mancati o sono arrivati in ritardo, troppe articolazioni istituzionali non hanno funzionato, troppi cambiamenti nel mondo del lavoro hanno modificato il contesto originario di partenza.
E non bisogna dimenticare che in questi dieci anni il decreto è stato “continuamente emendato, modificato con tantissimi interventi spesso sporadici, spesso a spot, senza rendersi conto che a volte invece di semplificare si andava a complicare la normativa”, come dice, nell’intervista che segue, Paolo Pascucci, Professore ordinario di Diritto del lavoro nell’ Università di Urbino “Carlo Bo” e presidente dell'Osservatorio Olympus.
Il presente e il futuro del decreto legislativo 81/2008
Tuttavia a dieci anni di stanza è bene cercare di delineare quali sono i principali pregi e difetti del D.Lgs. 81/2008 per capire meglio quale potrà essere il suo futuro. Dovrà essere cambiato, aggiornato o, come dice il Prof. Pascucci, “affinato”?
Per parlarne abbiamo intervistato Paolo Pascucci alla manifestazione “ Ambiente Lavoro” (Bologna, 17-19 ottobre 2018) dopo la sua partecipazione, come relatore, al convegno “Dieci anni del D.Lgs. 81/08: le ultime novità del quadro legislativo e la necessità di semplificazione e innovazione”.
Questi i principali quesiti che gli abbiamo posto:
- Quali sono i pregi e i difetti principali messi in luce in questi dieci anni da parte del Decreto 81?
- Quali le ombre rispetto alle attese di chi lo aveva elaborato e sostenuto?
- Perché la “cabina di regia” istituita con la normativa non ha funzionato? La norma era scritta male o c’era un problema di persone o di volontà politica?
- Rispetto al campo di applicazione soggettivo, ci sono oggi soggetti, lavoratori che rischiano di non ricadere oggi nelle tutele di questa norma?
- Quale sarà il futuro del D.Lgs. 81/2008?
- Ci sono temi, come il benessere organizzativo, che dovrebbero affrontati dal Testo Unico?
- È emerso in questi mesi l’interesse politico di rimettere mano al Testo Unico e con quali prospettive?
Come sempre diamo ai nostri lettori la possibilità di seguire integralmente la video intervista e/o di leggerne una parziale trascrizione.
L’intervista di PuntoSicuro a Paolo Pascucci
Quali sono a suo parere i pregi e i difetti principali messi in luce in questi anni da parte del decreto 81?
Paolo Pascucci: “Domanda complessa. Non è agevole dare una risposta esaustiva. Ma possiamo dire, in sintesi, che sicuramente i pregi del decreto 81 innanzitutto consistono nella ricomprensione nella disciplina di tutela sostanzialmente di tutti i potenziali destinatari. La definizione di lavoratore, di taglio tipicamente universalistico, il ‘soggetto che a prescindere dal contratto con cui esegue la prestazione è inserito nell'organizzazione di un datore di lavoro’, è tale da abbracciare sostanzialmente qualsiasi tipo di lavoratore. Questo è sicuramente il primo punto di qualità dell'innovazione del decreto 81.
Il secondo è l'accentuazione del principio di effettività nell'identificazione delle posizioni di garanzia, dei titolari delle posizioni di garanzia, a partire dal datore di lavoro per scendere poi sul dirigente, sul preposto e, per altri versi, anche sullo stesso lavoratore.
C’è una maggiore attenzione a quello che è l'obbligo primario del datore di lavoro, la valutazione dei rischi che, rispetto alla disciplina previgente, pure importante quella del decreto 626 del 94, oggi è non soltanto meglio definita, ma soprattutto viene declinata attraverso la precisazione di che cosa il documento di valutazione deve contenere, facendo riferimento soprattutto all’organizzazione del sistema di prevenzione aziendale. Io ripeto ormai da tempo quanto sia importante quella previsione dell'articolo 28 laddove prescrive che il documento di valutazione dei rischi debba individuare le misure per fronteggiare i rischi che sono ineliminabili, ma soprattutto deve individuare anche i ruoli dell'organizzazione che vi debbono provvedere. Quindi evidenziando in questo senso come la sicurezza sul lavoro non può assolutamente prescindere da un sistema organizzato.
Un altro aspetto importantissimo, almeno sulla carta - perché poi purtroppo nella realtà… (…) - è un po' quello della formazione, definita secondo me in un modo straordinario, ‘processo educativo finalizzato sostanzialmente a cambiare i comportamenti gli abiti mentali delle persone’. Poi uno alla luce di questa definizione ci si rende conto di quanto, nella realtà, questa definizione sia o meno applicata. Ma non c'è dubbio che il legislatore, da questo punto di vista, ha pensato ad una formazione non come un processo formale o documentale, ma come a qualche cosa che incida davvero sul modo di operare delle persone.
E non da ultimo, ma tralasciando tante altre cose, l'importanza ancora una volta dell'organizzazione attraverso l'introduzione dei modelli di organizzazione e di gestione della sicurezza sul lavoro e il collegamento della loro adozione ed efficace attuazione con la capacità di esentare, in questo caso, dalla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche del decreto 231 del 2001 a fronte di eventi purtroppo particolarmente drammatici, quali possono essere un infortunio che causi la morte o lesioni colpose gravi e gravissime del lavoratore.
Questi sono alcuni dei passaggi topici del decreto 81 che hanno aperto, secondo me, una visione nuova rispetto alla situazione precedente”.
Veniamo a questo punto alle ombre rispetto alle attese…
P.P.: “Per le ombre in parte ho già citato quella della formazione.
Un'altra ombra, che probabilmente è quella più ingombrante, è quella di un disegno di un sistema istituzionale particolarmente sofisticato nelle intenzioni del legislatore cui non è purtroppo corrisposta poi una applicazione concreta. (…) Con una cabina di regia, il Comitato nazionale dell'articolo 5 del decreto 81, che poi purtroppo è stata depotenziata, e anzi io direi esiliata, per un certo periodo, all'interno di un altro comitato sanitario del Ministero della Salute. Soltanto di recente, grazie ad un decreto legislativo attuativo del Jobs Act, è stato rivitalizzato questo Comitato dell'articolo 5. Sto parlando sostanzialmente appunto della cabina di regia, cioè del vero e proprio luogo dove si devono studiare le strategie sulla prevenzione a livello nazionale.
Un altro aspetto sicuramente che denota criticità è, per altro verso, sul piano territoriale, la situazione asimmetrica, e quindi con forti discrepanze, dell'attività dei cosiddetti Comitati di Coordinamento regionale della sicurezza sul lavoro che in alcune Regioni sono stati costituiti e funzionano decentemente e in altre Regioni invece purtroppo continuano a latitare o comunque a non funzionare come dovrebbero. Tenendo conto, oltretutto, che in capo ad essi ci sono anche compiti di coordinamento sulle funzioni di vigilanza e anche tenendo conto che è il decreto 81 non ha unificato le funzioni di vigilanza in materia ma ha lasciato sopravvivere la pluralità delle competenze in materia di vigilanza. Quindi l'esigenza del coordinamento diventa strategica. Questo è sicuramente un altro degli aspetti critici del non perfetto funzionamento di questi organismi.
Più in generale c’è poi la mancanza forse proprio di una dimensione politica di gestione della prevenzione su cui probabilmente si riflette anche forse la difficoltà oggi di incarnare una politica con la P maiuscola nel nostro paese.
Questi sicuramente sono elementi di criticità. Ci sono poi aspetti anche più di dettaglio, se vogliamo, che stanno emergendo ormai nella pratica applicativa.
Il fatto di confinare la presenza del medico competente soltanto in quelle aziende in cui ci sia necessità di sorveglianza sanitaria e, quindi, sostanzialmente prescindendo dal medico competente in sede di valutazione dei rischi, laddove non ci sia l'obbligo di sorveglianza sanitaria. E ci sarebbe da chiedere se questo non sia un cane che si morde la coda. Perché, in realtà, chi è realmente in grado di identificare la presenza di certi rischi o meno non può non essere anche colui che è depositario di competenze medico-sanitarie. Da questo punto di vista qui occorrerebbe, probabilmente, fare un passo in avanti.
E l'altro punto dolente che, purtroppo, all'epoca non fu possibile risolvere è la commistione di ruoli tra staff e line, cioè a dire il fatto che il decreto 81 (…) consente di fatto di sovrapporre i ruoli di operativi a chi in realtà avrebbe solo ruoli di consulenza. In termini più espliciti la possibilità di delegare funzioni operative al responsabile del servizio di prevenzione e protezione che notoriamente invece non deve svolgere compiti operativi ed esecutivi, ma deve svolgere compiti di staff, di consulenza al datore di lavoro.
Troppo spesso purtroppo nelle nostre aziende il RSPP è un po' il factotum della sicurezza nel senso che non solo è colui che la progetta, ma poi è anche quello che la deve eseguire. E questo sicuramente è un punto che va assolutamente risolto”.
Tornando all’assenza di una cabina di regia, a suo parere siamo di fronte ad un problema di persone, di volontà che è mancata o di una norma che è stata scritta male?
P.P.: “Ci sono opinioni diverse. C'è chi ha criticato fin dall'inizio le norme più complessivamente dei sistemi istituzionali, gli articoli 5 e seguenti, qualcuno criticando l'eccessivo numero di soggetti che compongono questi organismi, altri sottolineando come sarebbe stato più opportuno avere organismi più snelli. Tutto può essere condivisibile. Certamente questi sistemi però funzionano se soprattutto c'è a monte una volontà politica di farli funzionare. Questo è il problema più serio (…)”.
Veniamo al campo di applicazione soggettivo del decreto 81. È chiaro che il mondo del lavoro si è voluto rispetto a quando il decreto 81 è stato scritto. C'è qualche lavoratore che oggi rischia di rimanere fuori dalle tutele che il decreto 81 norma?
P.P.: “Apparentemente nessuno dovrebbe essere escluso da quella definizione universalistica di lavoratore, ‘colui che svolge la prestazione nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro’, che prescinde anche da luogo fisico perché l'organizzazione può essere intesa anche come l'insieme delle regole che organizza il datore di lavoro. (…) Poi naturalmente tra teoria e prassi ci possono essere un po' di problemi. (…)”
Parliamo del futuro del Decreto 81. Secondo lei dovrebbe essere modificato, riformato, cambiato?
P.P.: “Io penso che il decreto 81 sia un provvedimento legislativo che, nel suo impianto di base fondamentale, penso soprattutto al Titolo Primo, ha sicuramente rappresentato una conquista che noi non possiamo assolutamente disperdere.
Questo non significa che non sia necessario qualche affinamento, direi, qualche modificazione, integrazione, laddove necessario. Io stesso prima ho segnalato alcuni punti di criticità e ce ne sono naturalmente anche tanti altri. Così come poi sulla parte dei cosiddetti allegati, tutta la parte tecnica del decreto 81, lì ancora ci portiamo dietro previsioni, norme tecniche che risalgono ad anni molto lontani. Lì noi abbiamo avuto sostanzialmente il travaso dei contenuti di molti decreti presidenziali degli anni 50 - parliamo dell'età della ricostruzione in Italia post bellica - che sono sostanzialmente morti e risorti come l'araba fenice, dalle proprie ceneri, e sono riapparsi sostanzialmente come parti specifiche del decreto 81. C'è da interrogarsi. La definizione di luogo di lavoro, per esempio, che è accreditata in quelle previsioni, è ancora attuale oggi che lo scenario complessivo è cambiato? E come quella tante altre…
Non c'è dubbio che una revisione di tutte queste parti probabilmente è necessaria. Fermo restando che l'impianto, diciamo di base, la filosofia regolativa su cui gioca il decreto 81, a mio modesto avviso, deve essere preservata.
E soprattutto va preservata e anzi valorizzata la logica di valorizzazione della organizzazione del sistema di prevenzione aziendale su cui è costruito il decreto 81. Da quello non si può prescindere. Quando io ripetutamente richiamo l'importanza, sempre più crescente, dei modelli di organizzazione e di gestione della sicurezza sul lavoro, faccio riferimento alla necessità di darsi un metodo per fare prevenzione. Senza un metodo organizzato, e lasciando quindi la prevenzione all'improvvisazione o al caso, non si può avere speranza che la prevenzione sia davvero effettiva”.
(…)
Vediamo, infine, di parlare della situazione odierna. Secondo lei, in questo momento, c'è una volontà politica di mettere mano al Decreto 81? E se sì, con quali obiettivi?
P.P.: “Io ovviamente non ho una risposta. Non sono un politico e guardo soltanto quello che accade. Ho letto il resoconto del primo intervento che il nuovo ministro del lavoro e peraltro anche dello sviluppo economico, Luigi Di Maio, ha fatto alla Camera dei Deputati, intervento che era proprio incentrato sui temi della sicurezza sul lavoro. Un intervento, debbo dire, particolarmente complesso, denso di anche di proposte, dove mi pare ci sia la consapevolezza della necessità di intervenire e di valorizzare questa tematica.
Se questa volontà politica poi è reale, io questo ovviamente non lo posso dire.
Certo è che senza la volontà politica, la consapevolezza della politica (…), poi mi sembra difficile poter procedere.
Il decreto 81, non dimentichiamolo, in tutti questi dieci anni è stato continuamente emendato, modificato con tantissimi interventi spesso sporadici, spesso a spot, senza rendersi conto che a volte invece di semplificare si andava a complicare la normativa. Forse ci vorrebbe un attimo di ponderazione, di pacatezza, in cui rimettersi attorno a quel tavolo che nel 2008 servì veramente per crearlo, chiamando a raccolta le forze sane e necessarie, quindi le istituzioni pubbliche, Stato, Regioni, le Parti sociali e anche, se vogliamo, la tecnica, la scienza, perché tutto questo naturalmente anche frutto di studi di ricerche. E vedere di adeguare sostanzialmente questa normativa, secondo me ancora una delle migliori che abbiamo in Italia nel campo del diritto del lavoro, a quello scenario in continuo mutamento che noi abbiamo davanti”.
Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto
Scarica la normativa di riferimento:
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Rispondi Autore: dott. Carlo PAMATO - likes: 0 | 20/11/2018 (11:04:44) |
il ruolo del Medico Competente è svilito riducendolo alla sole visite mediche ( 20 /30 visite in certe occasioni =visitificio!!!) in presenza di VDR di bassissimo livello (es. citazione di rischio "aborto" in impiegata in ufficio -?- ) e relativa difficoltà ad intervenire correggendo grossolanità e prolissità ( vs criteri di redazione per semplicità brevità (art29, 2co lett a) pena la perdita di incarico |