
Nuovo accordo sulla formazione: i punti qualificanti e le criticità

Brescia, 21 Mag – Non c’è dubbio che, qualunque sia l’opinione sulla sua qualità e/o efficacia, il tanto atteso Accordo tra il Governo, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano del 17 aprile 2025, finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi in materia di salute e sicurezza, ridisegna il mondo della formazione.
Per questo motivo e in attesa della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (il nuovo accordo, compreso il periodo transitorio delineato, entra in vigore il giorno della pubblicazione in Gazzetta) è bene cercare di raccogliere indicazioni, pareri, informazioni sulle novità, anche per mettere in rilievo le eventuali criticità, lacune o dubbi interpretativi presenti nel testo.
Per farlo abbiamo ospitato in queste settimane diversi contributi, raccolto varie riflessioni e presentato diversi documenti, come la recente nota di Confindustria sul nuovo accordo.
Continuiamo questo approfondimento ospitando oggi, per conoscere anche le opinioni di una parte sindacale delle cosiddette “ Parti sociali”, una intervista a Cinzia Frascheri, giuslavorista e Responsabile nazionale Cisl Salute e Sicurezza sul Lavoro.
Quali sono i punti più qualificanti dell’Accordo?
Quali sono le eventuali carenze, aspetti meno chiari o incongruenze?
Ci sono dubbi interpretativi o indicazioni carenti riguardi all’applicazione?
Il nuovo Accordo migliorerà la qualità della formazione in materia di salute e sicurezza?
L’intervista si sofferma su vari argomenti:
- Nuovo accordo in materia di formazione: quali sono i punti più qualificanti?
- Nuovo accordo in materia di formazione: le carenze e le deroghe
- Nuovo accordo in materia di formazione: il modello penelope e l’efficacia
Nuovo accordo in materia di formazione: quali sono i punti più qualificanti?
Il 17 aprile 2025 è stato approvato il nuovo Accordo Stato-Regioni in materia di formazione sui temi della salute e sicurezza sul lavoro. Quali sono, a suo parere, i punti più qualificanti?
Cinzia Frascheri: Alla soglia di quasi tre anni oltre la scadenza del termine (seppur ordinatorio) espressamente indicato nel dettato normativo del novellato articolo 37 del D.Lgs. 81 del 2008 s.m., finalmente è stato approvato il nuovo Accordo tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano (di seguito ASR).
Non certo ragione del ritardo, ma sicuramente elemento identificativo dell’attuale Accordo Stato-Regioni è l’«accorpamento», oltre ai necessari interventi di revisione e di modifica, dei cinque accordi che fino alla loro abrogazione (avvenuta con il varo del nuovo Accordo) regolavano i diversi percorsi formativi, in tema prevenzionale, confluiti oggi sul piano tematico all’interno del nuovo testo, rendendolo sostanzialmente il principale riferimento ai fini dello svolgimento dei percorsi di formazione, base e aggiornamento, delle figure della prevenzione aziendale.
Una precisa volontà di ordine e chiarezza, espressa dal legislatore che nel dicembre del 2021 (mediante la Legge n. 215) è intervenuto significativamente nell’innovare profondamente quanto disposto sul tema − attraverso la radicale modifica del dettato normativo dell’art.37, a partire dal comma 2 − operando in modo assertivo su due fronti paralleli.
Da un lato, confermando, come prima della modifica, la scelta di demandare la definizione della durata, dei contenuti minimi e della modalità dei corsi di formazione allo strumento regolativo dell’Accordo Stato-Regioni; dall’altro, introducendo elementi di totale cambiamento con il passato, a partire dal rendere obbligatoria la formazione per i datori di lavoro, al prevedere la verifica finale dell’apprendimento per tutti i percorsi formativi (base e aggiornamento), al predisporre la verifica di efficacia della formazione durante lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Un legislatore illuminato, pertanto, al quale vanno anche riconosciute, sempre mediante il medesimo intervento normativo del 2021− a piena coerenza con il rafforzato ruolo del preposto (previsto nello stesso articolato) − le rilevanti modifiche apportate in tema di formazione di tale centrale figura della prevenzione aziendale, condotte anch’esse mediante una rilevante integrazione al dettato dell’art.37, con i nuovi commi 7 e, in particolare, 7-ter, dai contenuti confluiti, necessariamente, nel neo Accordo Stato-Regioni
L’avvio del mandato - da norma di rango primario ad atto regolativo (di seppur indubbio elevato livello, data l’ampia composizione istituzionale degli estensori – governo, regioni e province autonome, oltre il previsto confronto con le Parti sociali, e il contributo permanente tecnico dell’Inail), tenuto conto delle tante novità di merito introdotte sul piano legislativo e necessitanti di declinazione specifica - poneva senza alcun dubbio a favore delle diffuse attese riposte in tale atto, nel quale, dopo più di un decennio, si sarebbe tornati a stabilire come svolgere e gestire una delle primarie misure generali di tutela, in ambito lavorativo, sull’onda delle esperienze e degli sviluppi dell’azione prevenzionale, maturate negli anni.
Le condizioni di partenza ponevano, perciò, a favore di una produzione di rilevante e innovativo impatto sulla complessiva tematica della formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ancor più dovendo considerare che sostanzialmente pochi potevano essere i reali elementi di confronto con gli accordi che si andava lasciandoci alle spalle, non solo considerati i quattordici anni trascorsi dal principale ASR del 2011 (un tempo assai rilevante, in particolare per una materia come quella prevenzionale in costante evoluzione), ma sicuramente per gli effetti sul tema della formazione determinati dall’avvento del COVID, al quale si deve l’aver scritto una pagina di “non-ritorno”, almeno su questi aspetti positiva, accelerando l’entrata in uso nella formazione della modalità di video-conferenza sincrona.
Così, di altrettanto non minor rilievo, l’avvenuta approvazione del DI 6 marzo 2013 s.m. riferito ai requisiti di qualificazione richiesti per la figura del docente-formatore in materia di salute e sicurezza e, più di recente, l’istituzione del Repertorio nazionale degli Organismi Paritetici, mediante il quale si è stabilito chi considerare tali, ai sensi del dettato normativo (aspetto significativo, per molteplici ragioni, tra cui proprio in ambito di formazione sulla salute e sicurezza sul lavoro).
Ma l’ASR del 17 aprile u.s., caratterizzato da un impianto, mi si consenta di definirlo, dal “modello penelope”, ha sostanzialmente deluso sul fronte del poter costituire una concreta nuova tappa avanzata del percorso di evoluzione e miglioramento continuo in materia prevenzionale. E, viste le condizioni diffuse di mancate garanzie di tutela, continui eventi di danno e condizioni di generalizzata scarsa prevenzione nei diversi contesti lavorativi, è apparso del tutto evidente, già in prima lettura, che il cambio di passo auspicato, indubbiamente opportuno e urgente (almeno in campo formativo), non è stato sostanzialmente realizzato.
Come i più ricorderanno, la leggenda di Penelope narra, a fronte di una tela perfettamente di giorno tessuta, la notte, per mano della stessa, la trama veniva disfatta, rendendo vano tutto l’impegno profuso.
Guardando alla tela perfettamente tessuta, è evidente come nell’ASR siano stati introdotti svariati elementi di indubbio valore, che poi però hanno trovato, nelle tante deroghe contestualmente previste, i punti di caduta, vanificando la qualità complessiva espressa.
In estrema sintesi, rimandando tutti ad una lettura e analisi accurate del copioso testo dell’ASR. tre i punti da indicare tra quelli maggiormente emblematici del “modello penelope”. Partiamo dagli aspetti di qualità.
Un primo plauso deve essere sicuramente rivolto all’aver reso concreto l’intento di identificare i «soggetti formatori» in coloro che, per ragioni diverse, risultino garanti del perseguire obiettivi di efficienza, qualità ed efficacia dell’azione formativa, in specifico, sul fronte prevenzionale, suddividendoli in tre nette aggregazioni.
Da questo, altrettanto rilevante, per quanto concerne il raggruppamento (tra i soggetti formatori) degli «accreditati», l’aver previsto, oltre alla conformità al modello di accreditamento stabilito da ogni singola Regione e Provincia autonoma, anche la necessaria attestazione riferita all’esperienza del soggetto formativo accreditato, da soddisfare mediante documentazione comprovante almeno un triennio di attività di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Infine, di grande portata, l’aver arricchito il testo dell’ASR con una “dotta” sezione (la Parte IV) incentrata sulle «indicazioni metodologiche» volte alla progettazione, erogazione e monitoraggio dei percorsi formativi delle diverse figure della prevenzione aziendale, quali elementi necessari da dover esplicitare al fine dell’organizzazione dei percorsi formativi, ponendo attenzione alle regole dettate dall’andragogia (quale disciplina volta alla formazione dell’adulto).
Un grande valore espresso, quindi, non solo perché introdotto quale novità, nel sistema, ma in quanto puntualmente regolato e, per questo, reso agibile.
Ma – restando nel mito di “penelope” – a fronte di una tela perfettamente ordita…se si consentono azioni che ne disfanno la trama...i buchi si manifestano con rapida evidenza.
Nuovo accordo in materia di formazione: le carenze e le deroghe
Quali sono le eventuali carenze, aspetti meno chiari o, se presenti, incongruenze?
Cinzia Frascheri: Se ad oggi si riscontrassero evidenti carenze, o aspetti non del tutto chiari, nel testo dell’ASR del 17 aprile u.s., la speranza potrebbe essere quella di colmare tali mancanze con interventi di merito successivi.
Non certo pratica da perseguire in modo ordinario (seppur di frequente utilizzata, basti ricordare che a sei mesi circa dall’approvazione dell’ASR del 2011, seguì la pubblicazione di linee applicative con il preciso scopo di chiarire alcuni punti del testo di quell’Accordo), ma se anche questa volta risultasse utile una tale modalità, al fine di raggiungere l’obiettivo di una maggior chiarezza e corretta fruibilità dei contenuti, come soluzione potrebbe essere sicuramente percorribile.
Con rammarico, però, non sembra proprio essere questa la situazione che richiede tale intervento riparatore.
Difatti, si evince in modo puntuale dal dettato dell’ASR, che le deroghe che risultano introdotte, a fronte delle disposizioni previste, sono state scientemente indicate dagli estensori dell’ASR, non costituendo così carenze o mancanze, ma vere e proprie scelte che condivisibili, o meno, dovranno essere rispettate (o, per alcuni aspetti, “subite”) dall’intera platea di tutti coloro che, a diverso titolo, saranno chiamati a dover interagire con quanto previsto nell’ASR.
Mantenendo una linearità nelle argomentazioni affrontate, evidenziando alcuni tra i punti di maggior rilievo tra l’aver perseguito, da un lato, obiettivi di qualità, efficienza e efficacia dell’azione formativa, e dell’altro, l’aver introdotto deroghe al concreto raggiungimento di tali elementi di valore (confermandosi quello che ho definito un approccio sul “modello penelope”), ai fini di brevità e di maggior chiarezza, rimanendo sui punti da me, dapprima, richiamati, quali elementi di sicuro carattere positivo introdotti nell’Accordo, ne evidenzierò, qui di seguito, le eccezioni previste, di non altrettanto valore.
Al delineato rigore riferito alla richiesta di un accreditamento corredato da documentazione comprovante l’esperienza, si contrappone, nello stesso ASR, l’esplicita deroga che consente al «soggetto formatore» di erogare corsi di formazione, quando rivolti ai lavoratori, preposti e dirigenti, a fronte del solo possesso dell’accreditamento, non richiedendo anche l’esperienza almeno triennale. Un’eccezione, mi si consentirà, di cui è difficile da comprendere il valore aggiunto, essendo rivolta proprio nei riguardi delle figure centrali della prevenzione aziendale verso le quali la garanzia di una formazione di qualità ed efficacia (dove il criterio dell’esperienza è determinante) non solo appare evidente quale elemento prioritario, ma costituisce fattore primario per un adeguato intervento di tutela per la salute e sicurezza su lavoro.
Su questa linea (diremmo, in salita, sul fronte del perseguire la qualità), vanificando quanto precisamente stabilito in merito all’identificazione dei «soggetti formatori» e, quindi, alle diverse ragioni a supporto del considerarli tali, viene nell’ASR “acconsentito” che in caso il datore di lavoro intenda organizzare in house i corsi di formazione per i propri lavoratori, preposti e dirigenti, acquisisce “sul campo” il ruolo di «soggetto formatore», senza dover necessariamente appartenere ad una delle categorie puntualmente definite, ma soprattutto senza dover possedere alcun criterio/titolo richiesto agli altri «soggetti», indicati dallo stesso ASR, a garanzia di idoneità e qualità ai fini dello svolgimento dell’azione formativa.
Anche sul rigore richiesto agli enti, nel rispetto dei criteri di accreditamento, in merito alla location per lo svolgimento dei corsi, il tutto svanisce a fronte della scelta di realizzarli internamente, potendo così erogarli, come precisa l’ASR, «direttamente nell’ambiente di lavoro», non richiedendo, pertanto, spazi dedicati e adeguatamente attrezzati per la formazione; elementi di cui ormai ne si conosce la rilevanza ai fini del contribuire all’efficacia del trasferimento dei contenuti oggetto della formazione.
Una scelta di concedere una tale deroga, sicuramente dalla non granitica certezza di una maggior qualità espressa nel percorso formativo quando svolto all’interno della propria realtà lavorativa, a confronto di quando affidato all’esterno; seppur, in particolare per le realtà lavorative di minor dimensione, sul piano della professionalità ed esperienza dell’azione formativa, il con-fondere la formazione con l’addestramento (timore paventato nello stesso ASR), può rilevarsi una pratica molto più frequente, favorita sicuramente dallo svolgere l’intervento formativo in azienda.
Infine, posto l’obbligo di avvalersi di docenti-formatori in possesso dei requisiti disposti dal DI 6 marzo 2013, quale vincolo positivo di qualità introdotto per garantire adeguatezza ed efficacia dell’intervento formativo nei diversi corsi delineati, viene contrapposta una ulteriore deroga. Nel caso il datore di lavoro risulti in possesso dei requisiti previsti per lo svolgimento diretto dei compiti del Servizio di Prevenzione e Protezione (ai sensi dell’art.34 del D.Lgs. 81 del 2008 s.m.), nell’ipotesi intenda svolgere la formazione per propri occupati (sempre per i ruoli centrali del lavoratore, preposto e dirigente), è previsto sia dispensato dal possesso di uno dei criteri richiesti per la figura del docente-formatore.
Una semplificazione evidente, anche in questo caso, che non può che sollevare perplessità, determinando evidenti diseguaglianze tra occupati, favorendo il rischio per tali discenti di ricevere una formazione molto probabilmente priva o, comunque, più debole (esponendo a eventuale maggiori pericoli tali ruoli) di quell’expertise ritenuta fondamentale, anche dallo stesso ASR, sul piano dell’acquisizione delle conoscenze, ma ancor più delle competenze (e qui ritorna il “modello penelope”, dell’ordire la trama e del disfarla subito dopo),
Tenuto conto, però, che oramai non è più il tempo delle critiche (avendo sollevato per molti mesi tali problematiche, nel confronto tra le Parti sociali e gli estensori del testo, in particolare come CISL, sui punti qui evidenziati, oltre ad altri di non minor impatto sul fronte del perseguire l’efficacia dell’azione formativa), è utile oggi ritenere che l’ASR, con le sue contraddizioni, deve forse essere considerato il miglior risultato di compromesso tra le diverse anime che vi hanno lavorato, dovendo tenere in giusto conto tutte le differenti esigenze del complesso sistema produttivo e lavorativo italiano. Non potendo, comunque, trascurare che la formazione, pur essendo una delle prioritarie misure di prevenzione aziendale, diviene efficace e strumento di tutela solo se svolta nel pieno rispetto dei principi di qualità e attenzione al discente e, non, in quanto tale.
Considerata l’ampiezza del campo di applicazione dell’Accordo le diverse regole e requisiti previsti risultano, a suo parere, subito applicabili? Ci sono dubbi interpretativi o indicazioni carenti su alcuni aspetti?
Cinzia Frascheri: Lasciandoci alle spalle le note critiche espresse durante tutto il percorso di elaborazione del testo dell’ASR, oggi comunque da ritenere, alla luce della definitiva approvazione ed entrata in vigore, mere annotazioni di repertorio, è attualmente senz’altro utile affrontare le questioni che con evidenza appaiono di difficile immediata applicazione, non per mancanza di chiarezza, ma per dubbi interpretativi o per non esaustive indicazioni.
Prioritaria, sicuramente, la questione delle diverse modalità di erogazione del corso di formazione per i preposti e, non meno, l’attuazione della verifica dell’efficacia della formazione nei riguardi del datore di lavoro.
Partendo sempre dal rispetto della gerarchia delle fonti e, pertanto, sulla base della priorità di una fonte primaria in rapporto agli strumenti regolativi attuativi, è dal dettato dell’art.37 del D.Lgs. 81 del 2008 s,m. che occorre necessariamente partire per comprendere le linee di mandato rivolte all’ASR, in particolare, per quanto concerne la figura del preposto, concentrandosi sulle modifiche al comma 7, e soprattutto, per le innovazioni introdotte, sul comma 7-ter.
Disposto l’obbligo formativo che tutti i ruoli aziendali della line prevenzionale, e, conseguente a questo, dell’aggiornamento periodico (nell’ambito del quale la formazione per tutti i datori di lavoro rappresenta un risultato di efficacia da tempo perseguito dalle organizzazioni sindacali - a partire dalla CISL, promotrice di tale intervento), sono le modalità e i programmi formativi delineati, per ogni figura della prevenzione, a dover essere resi concreti affinché l’obbligo generalizzato produca gli effetti auspicati. Impegno, ma soprattutto risultato, da perseguire in modo costante, per volontà corale, energie immesse e convinzione che solo attraverso la “buona formazione” si possa davvero costruire un futuro migliore sul piano delle tutele per la salute e sicurezza sul lavoro. Ognuno facendo la propria parte, nella correttezza data da quel senso di responsabilità che la tematica prevenzionale richiede, non percorrendo scorciatoie facili, contando su sporadici controlli o riducendo i precetti previsti a meri adempimenti da assolvere, al minimo di quanto disposto.
Guardando alla figura del preposto, però, analizzando quanto regolato sul piano formativo, occorre un’analisi attenta e particolareggiata, soprattutto considerato il rafforzamento, negli ultimi anni, del ruolo, con, di conseguenza, le nuove funzioni attribuitegli e, da queste, le responsabilità penali, poste a suo carico (non dimenticando che il preposto rientra tra le figure su cui grava una posizione di garanzia).
Partendo proprio dal dettato normativo del comma 7-ter dell’art.37, già ad una prima lettura, se rapportato alle indicazioni nel merito dell’ASR, come un “nodo al pettine”, emerge una delle questioni più rilevanti, ad oggi, non ancora risolte, riferite alla modalità di erogazione dei corsi di formazione, base e aggiornamento, espressamente previste.
Rendendo coerenti le modifiche apportate dalla Legge 215 del 2021 in tema di formazione, al complessivo intervento di novellazione delle disposizioni relative alla figura del preposto, volte al rafforzamento del ruolo (attuate, difatti, con il medesimo intervento legislativo), è stato esplicitamente previsto che le attività formative, ad esso destinate, dovessero «essere svolte interamente con modalità in presenza».
Un dettato normativo, quindi, privo di ombre, del tutto lineare a quanto tracciato per l’innovata funzione, doppiamente esplicativo anche nei riguardi del confermare la maggior efficacia della formazione – ancor più per quella rivolta agli adulti in ambito lavorativo – quando erogata in presenza, consentendo ai discenti di interloquire in modo diretto con il docente, specie in percorsi di formazione dove la trattazione sulle responsabilità è rilevante e centrale. Ancor più nel caso specifico, tenuto conto del minor rilievo della figura del preposto, prima delle modifiche apportate, non essendo chiamato a prendere autonome decisioni; oggi, invece, aspetto integrante del proprio agire, sia nei riguardi dei diretti sottoposti, che in merito ad eventuali inefficienze o condizioni di pericolo riscontrate durante l’attività lavorativa.
Modifiche normative, pertanto, poste sul finire del periodo COVID (siamo nel 2021), alla luce delle quali rilevata la perdurante difficoltà/impossibilità di svolgere la formazione in presenza, dovendo dare immediata vigenza al disposto, non ritenuto dagli estensori (a parere personale, correttamente) di demandare alcunché, sul punto, ad una futura regolazione da parte dell’ASR, in quanto precetto chiaro e immediatamente applicativo – avvalendosi di un intervento legislativo volto alla gestione del momento caotico che si stava vivendo (in uscita dallo stato di emergenza che aveva coinvolto tutto il nostro Paese) – venne introdotta una specifica deroga, temporalmente condizionata.
Mediante l’art.9-bis del D.L. 24 marzo 2022, n. 24 (poi convertito in Legge 19 maggio 2022, n.52 – citato nell’ASR in modo errato), venne stabilito che: «Nelle more dell'adozione dell'accordo di cui all'articolo 37, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, la formazione obbligatoria in materia di salute e sicurezza sul lavoro può essere erogata sia con la modalità in presenza sia con la modalità a distanza, attraverso la metodologia della videoconferenza in modalità sincrona (…)».
Si intendeva, perciò, come evidente, parificare la formazione in presenza con quella da remoto (mediante video-conferenza sincrona), indicando esplicitamente, quale periodo di applicazione, l’arco di tempo intercorrente dall’emanazione della deroga, all’adozione dell’ASR.
Venendo ad oggi, considerata l’attuale vigenza dell’ASR, il periodo indicato dalla deroga – espresso in avvio del disposto, con un «Nelle more dell'adozione dell'accordo» – non può che ritenersi superato e, pertanto, ripristinati i precetti dettati sul punto dalla normativa vigente, sempre nel rispetto della fonte primaria, non potendo, come consolidato, essere modificati/ignorati da un accordo, anche di rango più elevato, come per quelli Stato-Regioni e Province autonome.
Ovvio riscontrare, quindi, con rammarico, che quanto previsto nell’ASR, in merito alle modalità di erogazione dei corsi di formazione, base e aggiornamento, per i preposti, nel consentire di svolgerli, oltre che in presenza, anche in video-conferenza sincrona, escludendo solo l’e-learning, non solo non rispetti la volontà specifica del legislatore nazionale (commettendo un illecito giuridico), ma sacrifichi un diritto da parte dei preposti di ricevere una formazione adeguatamente efficace, per il ruolo che sono chiamati a svolgere (ritenuta tale, difatti, solo quella in presenza, dall’estensore della normativa primaria vigente).
Su altro fronte, in attesa di chiarimenti sul punto dapprima argomentato, si rileva una mancanza di indicazioni necessaria per dare piena concretezza ad una ulteriore nuova regolazione.
Considerando evidente che il datore di lavoro (anche alla luce di quanto si constata dal novellato comma 7 dell’art.37 del D.Lgs.81 del 2008 s.m.) viene parificato, in qualità di discente, alle altre figure della line aziendale della prevenzione (il dirigente e il preposto) è indubbio si applichino, anche a tale figura in formazione, le medesime regole previste in modo trasversale per le altre.
Nel caso delle «Verifiche dell’efficacia della formazione», quale novità di sicuro rilievo e valore introdotta nel nuovo ASR, risulta chiaro che, in assenza di specifiche indicazioni mirate nei riguardi del datore di lavoro-discente, non si potrà dare concretezza a tale strumento.
Essendo, difatti, le verifiche dell’efficacia svolte per tutti gli altri ruoli aziendali a cura del datore di lavoro, supportato eventualmente dall’RSPP, è indubbio che lo stesso datore non possa mettere in atto un’auto-valutazione o sottoporsi alla valutazione condotta autonomamente dal proprio RSPP.
In attesa, quindi, di un eventuale utile indicazione operativa, in tal senso, la verifica dell’efficacia dell’azione formativa, attuata in qualità di discente dal datore di lavoro – da svolgere, come indicato, nell’ASR, «a posteriori» dalla fine del percorso formativo, «a una certa distanza di tempo» – potrà risultare, in modo indiretto, dai riscontri che si potranno avere dagli RLS/RLST nello svolgimento del proprio ruolo, dove, in caso di mancanze da parte del stesso datore riguardo delle tutele specifiche, come anche degli interventi mirati di prevenzione, potranno sicuramente far leva anche su quanto il datore di lavoro abbia appreso durante la frequenza del corso di formazione e di aggiornamento.
Nuovo accordo in materia di formazione: il modello penelope e l’efficacia
In definitiva, al di là delle possibili future integrazioni e indicazioni applicative, qual è la sua opinione sulla possibilità che il nuovo Accordo possa migliorare effettivamente la qualità della formazione in materia di salute e sicurezza?
Cinzia Frascheri: Posto il già previsto demando nell’ASR ad atto successivo, al fine di stabilire i requisiti minimi che dovranno essere posseduti dai soggetti che potranno definirsi ufficialmente «formatori», risultando in un apposito «repertorio/elenco nazionale», e i necessari chiarimenti attesi sui due punti dapprima argomentati, è sicuramente urgente andare a realizzare quanto regolato, avviando i diversi corsi di formazione definiti.
Ma ancora una volta, l’effetto “modello penelope” sembra consolidarsi.
Sulla base di quanto stabilito nelle «Disposizioni transitorie», dove vengono concessi fino a dodici mesi di tempo per avviare i corsi di formazione nel rispetto delle nuove regole e, perfino, ventiquattro mesi per i nuovi corsi di formazione rivolti ai datori di lavoro (se non già formatisi spontaneamente in assenza di obbligo specifico), l’impressione che se ne riceve sembra andare nella direzione opposta al credere fermamente, da parte degli stessi estensori dell’ASR, all’efficacia che le nuove regole potranno determinare nell’azione formativa. Che, comunque, a valle di ogni considerazione, resta una delle primarie misure generali di tutela (come espresso all’art.15 del D.Lgs. 81 del 2008 s.m.), solo, però, quando realizzata perseguendo obiettivi di qualità e rispettando le regole, per una corretta e costante attuazione.
Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto
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Rispondi Autore: stefano B ![]() | 21/05/2025 (10:10:13) |
Un muro di testo solo per soffermarsi sul fatto che la formazione la devono poter VENDERE solo gli enti attuali, tra cui molti sono diretta emanazione di confindustria. Possiamo abbandonare l'ipocrisia e dire, come sostiene un importante pensatore che scrive spesso su punto sicuro, che "non è importanti chi ci muore di sicurezza sul lavoro, ma chi ci campa..."? Davvero l'unica critica di confindustria all'Accordo è che non hanno dato l'esclusiva a "Formastocoso industria" e altri cartari che ad oggi hanno ridotto a mercato delle vacche la compravendita di attestati? Davvero? Tutti gli attestati (TUTTI) falsi, di corsi mai frequentati, che ho incontrato nei 13 anni dal primo accordo era stati rilasciati (stampati?) da Enti accreditatissimi e riconosciuti a livello nazionale. Il sistema di accreditamento per la formazione sulla sicurezza non apporta nulla alla qualità della formazione. Nulla. Apporta quote di iscrizione annuali e costi "ad attestato", quello si. |
Autore: Piero | 22/05/2025 (15:44:46) |
Super d'accordo con te |
Autore: Michele | 25/05/2025 (11:33:27) |
Stefano, pienamente d'accordo! Quante parole!!!....e sono fatte dagli stessi sindacati che vogliono meno morti!! Allora mi chiedo perché gli enti di formazione prendano tutti nella stessa aula (fornai, parrucchiere, operai saldatori, ecc) per erogare il medesimo corso! Nessuno parla dell'efficacia della formazione! E' solo business!! In 25 anni ne ho viste di ogni sulla formazione, ma mai una volta un Ente di controllo intervenire!!! |
Rispondi Autore: Rocco Vitale ![]() | 21/05/2025 (15:34:56) |
Un Accordo firmato da tutte le Regioni che consente ad ogni Regione di modificare e cambiare in quanto “Resta ferma la facoltà per le Regioni e Provincie autonome di introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli in materia di salute e sicurezza sul lavoro.” Ma attenzione, le Regioni con questa norma possono con delibere, determine, atti amministrativi (anche senza leggi regionali) dettare norme e regole sia per i propri enti accreditati (o come forse vorrebbe dire la Frascheri “dis-accreditati”) ma anche per tutti i soggetti che nei rispettivi territori si occupano di sicurezza. Si approva un Accordo che solo ciascuna Regione può modificarlo come crede più opportuno. Evviva l’autonomia regionale. E certamente sulla formazione valgono le considerazioni di Stefano che condivido. |
Rispondi Autore: Gian Piero Marabelli ![]() | 22/05/2025 (08:24:40) |
Ma se l'Accreditamento è regionale..e gli attestati valgono su tutto il territorio nazionale...vuol dire che l'Ente può accreditarsi in una sola regione...Questo potrebbe essere un passo avanti, rispetto ad alcune "icongruenze" che costringevano alcuni enti ad aprire proprie sede nelle varie regioni |
Rispondi Autore: Rocco Vitale ![]() | 22/05/2025 (15:59:08) |
Sì Gian Piero, però i corsi li devi fare solo nella sede accreditata. Però, ovviamente, se il corso in videoconferenza lo trasmetto dalla sede accreditata e gli utenti sono di altre regioni dovrebbe valere per tutti. Fatta la legge dove si ribadisce che l accreditamento è regionale nei fatti e come dici tu. Erga omnes. Così vado ad accreditarmi dove e più semplice, veloce e soprattutto senza controlli |
Rispondi Autore: Sara ![]() | 23/05/2025 (07:24:27) |
Caspita quanto odio per il modello di accreditamento regionale… tolte le osservazioni riguardo il fatto che sarebbero necessari controlli maggiormente stringenti sui soggetti formatori in generale… non sarà, per caso, che tutto questo odio nasce dal fatto che per accreditarsi occorrono struttura, personale con determinati profili, sedi con determinate caratteristiche, sistemi di gestione da sottoporre a revisione ogni anno… e non è quindi sufficiente essere un libero professionista con lo studio nella cameretta di casa che diventa “sede territoriale” con l’associazione di turno per 100-200€ all’anno e ottiene gli attestati semplicemente inviando le scansioni di fogli firmati e pagando qualche euro per ciascun certificato? Il fatto che abbiano specificato cosa si intende per “diretta emanazione” ecc è proprio il minimo che potessero fare. Essere dei buoni docenti e dei validi professionisti durante il trasferimento delle competenze ai discenti è un discorso. Essere un soggetto che si occupa di formazione come una scuola e che quindi può garantire che ci sia una struttura a monte del docente è tutt’altro. |
Autore: Sara | 12/06/2025 (08:06:20) |
Mi spiace ma questo commento non ha senso. Attestati rilasciati per corsi mai eseguiti è un illecito che hanno commesso negli anni soggetti di ogni dimensione e natura, così come tante altre pratiche scorrette ed illecite in ambito di sicurezza e non solo. L’accreditamento delle strutture serve, come ribadito, a certificare il possesso di un determinato tipo di struttura. La verifica di quello che lei chiama “requisiti morali” si chiama invece verifica sulle caratteristiche di qualità e professionalità, e dovrebbe esserci per tutti coloro che esercitano una professione. Un singolo professionista, per quanto bravo e qualificato, non può possedere la struttura necessaria a garantire che le cose vengano organizzate e svolte in un certo modo, e questo è un dato di fatto non solo nel mondo della formazione. L’accreditamento ha molte criticità e come tutto andrebbe di molto migliorato, ma è comunque al momento una misura oggettiva di controllo, che sui singoli professionisti non puó essere esercitata. Tra l’altro non ho capito perché lei non possa formare i lavoratori delle aziende in cui esercita la funzione di RSPP, dato che l’accordo spiega chiaramente che il DL può essere soggetto formatore collaborando con un professionista qualificato come lei. Per eventuali corsi nei quali il DL non potesse figurare come soggetto formatore (es. attrezzature) le sarà possibile collaborare con un soggetto qualificato allo scopo e formare tranquillamente i lavoratori interessati secondo quanto previsto dall’accordo. Non vedo il motivo per il quale un Ente dovrebbe rifiutarle tale collaborazione ed impedirle di seguire l’azienda di cui è RSPP. In sintesi, l’unica cosa che realmente lei come singolo professionista non potrà più organizzare, è la formazione interaziendale. Ossia organizzare corsi come una scuola. Per questo, guarda caso, è stato creato l’accreditamento e torniamo al punto di partenza. |
Autore: Stefano B. | 27/05/2025 (09:33:02) |
"Essere un soggetto che si occupa di formazione come una scuola" non serve assolutamente a nulla nella formazione per la sicurezza sul lavoro. Son 13 anni di formazione in cui è successo di ogni, quanti enti accreditatissimi organizzano regolarmente "formazione lavoratori rischio medio"? Per tutti, così. Quanti enti di formazione accreditatissimi sono andati avanti a fare aggiornamenti attrezzature in videoconferenza? E potrei andare avanti ed arrivare agli attestati rilasciati su corsi mai eseguiti, sempre da enti accreditatissimi. Io non posso formare i lavoratori di un'azienda in cui sono RSPP perchè ci sono Enti super accreditati in regione che per pochi spicci li sbattono in un'aula con lavoratori dei settori più disparati a mostrargli qualche slide. L'accreditamento NON SERVE A NULLA. Non verifica che l'Ente abbia chissà quali requisiti morali o che solo rispetti accordi e linee guida. L'accreditamento serve alle scuole, NON ai lavoratori. |