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L'importanza della leggibilità dei testi nella formazione per la sicurezza

L'importanza della leggibilità dei testi nella formazione per la sicurezza

Come scrivere per accrescere la sicurezza e la capacità di rispondere efficacemente alle situazioni critiche? Due strumenti per migliorare la leggibilità dei testi e la comprensibilità delle parole.

Scrivere un testo può avere molti scopi: quello di emozionare, di condizionare i comportamenti, di informare o anche di suggerire comportamenti adeguati. Si può scrivere per un pubblico limitato di addetti ai lavori come per un pubblico vasto non particolarmente interessato al tema che stiamo affrontando.
Evidentemente gli stili di scrittura, le stesse parole utilizzate, risentono delle diverse finalità, dei destinatari e degli strumenti che abbiamo a disposizione. Scrivere con l’obiettivo di accrescere la sicurezza e la capacità di rispondere efficacemente alle situazioni critiche deve tener conto che la comprensibilità del testo ha un’importanza strategica anche per la possibilità che lo stesso venga più facilmente memorizzato.

Per lavorare in questa direzione crediamo occorra tenere conto di alcuni aspetti legati alla leggibilità delle frasi e alla comprensibilità delle parole.

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Leggibilità del testo

La leggibilità linguistica è di particolare rilevanza sulla base degli studi PIAAC-OCSE, che mostrano come in Italia abbiamo il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni alle prese con un problema di analfabetismo funzionale. Ciò significa che il 28% delle persone italiane sono “incapaci di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità” (definizione dell’UNESCO del 1984). Non analfabete, quindi, ma nella condizione di non comprendere in modo efficace un testo e, aspetto più significativo, con il rischio di interpretarlo nel modo sbagliato.
Si tratta di una percentuale che cresce con l’età, tanto che passa dal 19,7% della fascia 16-24 anni al 27,4% dai 45 ai 54 anni, fino al 41,2% degli over 55. Un dato purtroppo stabile per il nostro Paese visto che l’analoga indagine del 2016 collocava questa percentuale al 27,9%.

A questo dato, già molto negativo, se ne aggiunge anche un altro che indica come circa il 70% della popolazione italiana tra i 16 e i 65 anni si collochi al di sotto dell’indice minimo necessario per interagire con le competenze linguistiche richieste da questo mondo in continua evoluzione.

D’altra parte, come scriveva De Mauro (2002), la parola scritta mette in gioco l’intera capacità di intelligenza e di vita delle quali siamo dotati. Quando leggiamo sottoponiamo il nostro cervello a un lavoro molto complicato e dispendioso che possiamo descrivere nel modo seguente.
Per prima cosa percepiamo e selezioniamo una catena di stimoli visivi (pensiamo alla forma delle lettere che differisce a seconda del font utilizzato). Il cervello li deve riconoscere e decodificare (ovvero fornire un significato – la parola - a quello che vede). Li deve poi elaborare collegando ogni parola e ogni frase tra di loro. In questo modo viene costruita una rappresentazione dei contenuti del testo a partire dai segni grafici per arrivare al loro significato. E per farlo il cervello utilizza anche le sue capacità logiche, la memoria e le conoscenze che possiede. Una fatica immensa di cui non ci rendiamo conto se non quando uno dei passaggi cruciali descritti entra in difficoltà oppure inizia a non funzionare.
Ecco perché ogni aiuto che riusciamo a fornire al nostro interlocutore non solo è gradito, ma migliora la comprensione della comunicazione.

Ad esempio, l’uso di frasi brevi è molto utile, perché il cervello ha poca energia a disposizione. Quindi, più una frase è lunga e più energia consumerà. Inutili lungaggini causano anche poca attenzione e scarso investimento nella lettura. Inutili lungaggini possono essere interpretati dai nostri interlocutori come una poca attenzione nei loro confronti, e causare così uno scarso investimento da parte loro nella lettura. Una regola fondamentale è quella per cui quando si può tagliare una parola è bene farlo. Semplificare una comunicazione è molto difficile perché per farlo occorre saper cosa togliere e saper individuare l’essenzialità del messaggio che si vuole trasmettere. In questo caso i suggerimenti possono essere due:
-spezzare le frasi, cercando di non superare le 20-25 parole ciascuna. Ricordiamoci però che usare sempre e solo frasi composte da un identico numero di parole può risultare noioso e diminuire l’attenzione del lettore (Clark, 2006);
-ricorrere a degli elenchi puntati nel caso una frase contenga più concetti o riferimenti. Così si rende la lettura più chiara, immediata e assimilabile.

Un altro aiuto per il nostro interlocutore è che se c’è una parola più breve atta a esprimere lo stesso concetto è bene usarla, perché le parole lunghe affaticano la lettura e rallentano la comprensione del testo. Una dimostrazione di questo ci è data dal funzionamento del nostro stesso occhio: Il punto nell’occhio in cui è massima la definizione delle immagini si chiama fovea, un’area di circa 2 mm di diametro al centro della retina. Quando fissiamo un oggetto, l’immagine si proietta nella fovea e questa operazione è detta foveazione. Nel caso specifico della lettura, in una foveazione si riescono a percepire in modo abbastanza dettagliato otto lettere: due a sinistra del punto di fissazione e sei a destra.
Ecco perché le parole corte sono più facilmente leggibili e la lunghezza delle parole è un aspetto importante. In senso generale, proprio per questa caratteristica, è buona norma che il testo sia allineato a sinistra e che la riga non sia troppo lunga: in questo modo il cervello non perde tempo a cercare l’inizio della nuova riga.

Un terzo esempio di come possiamo aiutare il nostro lettore è quello di scrivere in positivo. Scrivere in positivo ha due vantaggi:
- il primo è quello di fornire un’informazione molto più semplice rispetto alla stessa fornita attraverso una frase negativa. Ad esempio, scrivere “camminare lentamente” è cognitivamente più semplice rispetto alla frase “non correre”.
- Il secondo aspetto sta nel fatto che negare un’azione può attivare l’effetto contrario. Così, scrivere “non premere il pulsante rosso” induce in chi legge l’idea che proprio quel pulsante sia così importante da arrivare a premerlo. L’utilizzo, fin troppo diffuso, di frasi del tipo “non farsi prendere dal panico” non solo ricorda a chi le legge che il panico sia nell’ordine delle cose, ma che stia a lui evitarlo, come si trattasse di una scelta che la persona compie deliberatamente in determinate situazioni. In più, le frasi con doppia negazione, oltre ad essere superflue, confondono non poco il lettore.
Analogamente si sconsiglia di usare la forma passiva quando può essere usata quella attiva: inutile complicare la frase con tempi verbali che non si utilizzano nel linguaggio comune.

Uno strumento utile
In questi anni sono stati elaborati alcuni strumenti utili per aiutarci a migliorare la leggibilità dei testi. Questi strumenti, infatti, sono utili quando predisponiamo un testo: possiamo scrivere frasi brevi facendoci contare le parole e le lettere, conteggiano la lunghezza delle frasi e l’utilizzo della punteggiatura, ecc. La maggior parte di questi strumenti, però, sono stati predisposti facendo riferimento a forme linguistiche inglesi e, seppur adattati all’italiano, presentano delle difficoltà di interpretazione. Uno dei pochi strumenti che fanno riferimento diretto alla lingua italiana è il GULPEASE, elaborato presso l’Istituto di Filosofia dell’Università degli studi di Roma «La Sapienza» (Lucisano e Piemontese, 1988). Rispetto ad altri strumenti, il GULPEASE ha anche il vantaggio di calcolare la lunghezza delle parole in lettere, e non in sillabe come gli altri.
In sostanza, il GULPEASE si basa sull'analisi di due variabili linguistiche: la lunghezza media delle parole (LP) di un documento misurata in lettere, e la quantità di parole (PF) nelle frasi del testo.

In questo modo si ottiene un valore compreso tra 0 e 100 che viene messo in relazione con tre livelli di scolarizzazione del lettore:

- chi ha un’istruzione elementare comprende facilmente testi con un indice maggiore di 80;

- chi ha un’istruzione media comprende facilmente testi con un indice maggiore di 60;
- chi ha un’istruzione superiore comprende facilmente testi con un indice maggiore di 40.

Ad esempio, un lettore con un’istruzione elementare leggerà con difficoltà un testo con un indice pari a 50. Questo output del GULPEASE ci permette ancora di più di adattare il nostro testo al destinatario, aumentando così la sua leggibilità e la sua comprensibilità.

Comprensibilità delle parole.

Avere uno strumento atto a indicare il livello di leggibilità di un testo è senza dubbio utile e spinge a un’azione di miglioramento dello stesso. Per ottenere un buon risultato, magari avvalorato dal miglioramento dell’indice di leggibilità, occorre conoscere e seguire alcune regole generali che elenchiamo di seguito.

Possiamo suddividere le parole in sottogruppi (i linguisti li chiamano “marche”) secondo il criterio della comprensibilità. Ciò Significa che utilizzare parole il cui significato è maggiormente compreso e condiviso (e quindi nel sottogruppo delle parole più comprensibili) aumenta l’efficacia della comunicazione. Questo perché andremo a scegliere parole più comprensibili alla maggior parte degli italiani e quindi verremo intesi dal numero più alto possibile di persone che parlano italiano: una conoscenza, dunque, non fine a se stessa, non un vezzo da linguisti, ma un sapere con conseguenze assai concrete.
Quali sono queste parole? La risposta alla domanda deriva dal lavoro avviato da De Mauro e che è in continuo aggiornamento. Negli anni il numero di parole di sufficiente comprensibilità è cresciuto, ma ancora limitato; possiamo comunque dire che sottogruppi principali (nuclei) sono tre:
- Il primo è composto da poche parole, circa 2.000 (che sono classificate FO), ossia appartenenti al lessico fondamentale dell’italiano. Sono le parole che compongono il 90% dei nostri discorsi quotidiani. Sono quelle che sentiamo dire e usiamo più spesso.
- Il secondo nucleo è composto da circa 2.500 parole di alto uso (AU). Costituiscono circa il 6% dei nostri discorsi quotidiani. Si tratta di termini che conosciamo bene, ma che per vari motivi usiamo solo in casi specifici. 

- Il terzo nucleo è composto dalle parole di alta disponibilità (AD). Queste sono 1.900 parole interessanti: sono quelle che conosciamo bene perché sono tutto sommato comuni, ma raramente abbiamo bisogno di impiegarle. Le sentiamo insomma, in tv, le leggiamo sui giornali, ma non sono certo le prime scelte a venirci in mente quando parliamo.

Il numero delle parole di ogni singolo sottogruppo varia con il passare degli anni, per cui invitiamo il lettore a prendere questo dato come indicativo.

Accanto a queste parole ve ne sono migliaia di altre. Parole classificate come “comuni” (CO) che ci si può attendere siano conosciute da una persona di cultura medioalta, indipendentemente dal suo mestiere o dalla sua specializzazione. Ma di cui si sconsiglia l’uso per la possibilità di indurre errori di comprensione.

Per completezza altri sottogruppi di parole comprendono quelle appartenenti a un italiano regionale (RE), i dialettismi (DI), gli esoterismi (ES), cioè parole straniere pur entrate nella nostra lingua, i termini tecnicospecialistici (TS) e quelli letterari (LE). Per completare l’elenco può essere utile ricordale le parole di basso uso (BU) e quelle oramai obsolete (OB).

Conclusioni.

Scrivere un testo o una comunicazione leggibile e comprensibile richiede un grande lavoro e sforzo (lo sappiamo bene visto che è parte del nostro lavoro quotidiano di consulenti), ma sappiamo anche che è indispensabili per ottenere il livello di accuratezza nelle mansioni e nella sicurezza sul lavoro che tutti ci proponiamo.

Antonio Zuliani

Fonte: PdE, n. 60



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Pubblica un commento

Rispondi Autore: TM - likes: 0
02/02/2022 (08:33:40)
Articoo asssai interessante, lo fotocopierò per farlo leggere a persone della mia famiglia. Grazie.
Rispondi Autore: silvia zanotto - likes: 0
02/02/2022 (09:07:07)
Buongiorno. Sono una formatrice di "professione", ovvero pur avendo le qualifiche come RSPP e CSE ho scelto di fare solo la formatrice. Il problema della comprensione del testo e del linguaggio di comunicazione me lo pongo spesso soprattuto quando si opera sia tra aziende che in territori diversi nelle quali sia i linguaggi (dialetti o addiritura lingue) che i metalinguaggi aziendali sono diversi e quindi è necessario avere stili comunicativi molto divers, pur rispettando i dettami legislativi. L'articolo è molto utile e ritengo che per noi formatori sarebbe molto utile poter frequentare di corsi di didattica, intesa come linguaggio comunicativo che come gestione dell'aula.
Rispondi Autore: RAFFAELE Giovanni - likes: 0
02/02/2022 (12:10:04)
Concordo in pieno, difatti, non solo sui test ma nella formazione vera e propria, specie dei lavoratori va anche usato un linguaggio semplice, pratico ed intuitivo, magari con slide accompagnatrici della situazione esposta da poter dare ai discenti l'opportunità anche di una memoria visiva oltre che quella uditiva.

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