Comunicare la sicurezza: le parole per dirlo
Di fronte alla crescente complessità delle procedure aziendali e al fatto che al lavoratore possa essere chiesto, con una frequenza superiore al passato, di adeguarsi al loro mutamento, occorre prestare ogni attenzione per favorire i processi di apprendimento e di attuazione di queste azioni, non solo per il conseguimento dell'obiettivo aziendale, ma anche alla sicurezza del lavoratore.
Uno degli strumenti più potenti per lavorare in questa direzione è il linguaggio utilizzato per scrivere indicazioni operative e procedure. Come dice Searle (1995), per scrivere con chiarezza occorre prima di tutto pensare con chiarezza, vi è, quindi, un'attinenza diretta tra ragionamento, pensiero e scrittura. Un processo che sa pensare con attenzione al potere delle parole e si assume la responsabilità di utilizzare quelle che meglio si prestano all'obiettivo di una comunicazione efficace. Il modo di scrivere una procedura agli occhi di chi le legge esprime anche il nostro modo di essere e il modo con il quale l'azienda intende approcciarsi ai problemi. Errori di scrittura, barocchismi, il ricorso a linguaggi iniziatici tecnici esprimono la cultura aziendale, così come l'attenzione più alle disposizioni di legge che ai problemi concreti dei lavoratori. In sostanza occorre sempre chiedersi per quale motivo si sta scrivendo, cosa si vuole dire, a chi e per ottenere quale risultato. Un'immagine efficace relativa a una buona comunicazione la troviamo in una celebre scena del film "I predatori dell'arca perduta". Indiana Jones viene affrontato da un guerriero che sfodera una scimitarra e la brandisce con grande enfasi e maestria. Jones estrae la pistola e gli spara: fine del duello. Non importa se questa soluzione sia stata determinata, come narrano le cronache, dal fatto che Harrison Ford quel giorno fosse alle prese con un attacco di diarrea: l'immagine rimane efficace, lo sfoggio e lo spargimento di parole è del tutto inutile quando lo scopo è altro.
L’esperienza condotta in questi anni ci ha permesso di individuare alcune regole di fondo utili a rendere non solamente comprensibili, ma fondamentalmente efficace la scrittura delle regole e delle procedure aziendali in modo che queste vengano apprese e seguite dai lavoratori.
Frasi Brevi
Usare frasi brevi. Si può utilmente pensare di redarre frasi che non superino le 25-30 parole. Questo perché, come abbiamo più volte detto (Zuliani 2017, Zuliani e Santoro, 2019), il cervello ha poca energia a disposizione, quindi, più una frase è lunga e più energia consumerà. Per cui quando si può tagliare una parola è bene farlo sempre.
Inutili lungaggini mostrano anche poca attenzione e causano scarso investimento nella lettura. Come ebbe a scrivere Pascal "mi scuso per la lunghezza della mi lettera, ma non ho avuto il tempo di scriverne una di più breve" (1657).
Complicare la comunicazione è facile: basta aggiungere colori, forme, decorazioni e così via. Semplificare è molto più difficile (Munari, 2008) perché per farlo occorre saper cosa togliere e saper individuare l'essenzialità del messaggio che si vuole trasmettere. In questa direzione occorre evitare l'uso di subordinate e ricordare che spesso i problemi nascono dal voler concentrare troppe informazioni in una sola frase.
Scrivere positivo e semplice
Usare frasi in positivo e non in negativo. Quando le persone ricevono informazioni negative non sono spinte a rivedere le loro posizioni precedenti su di un argomento sul quale hanno già un'opinione come quando ricevono informazioni positive (Sharot, Korn e Dolan, 2011). L'aspetto rilevante è che ci sono prove convincenti che vi siano delle basi neuronali che facilitano l'incorporazione delle buone notizie. Si tratterebbe del giro frontale inferiore (IFG) che correggerebbe gli errori di stima utilizzando maggiormente le informazioni positive, rispetto a quelle negative (Sharot e altri, 2012). In più le frasi con doppia negazione oltre ad essere superflue confondono non poco l'interlocutore. Anche lo sfoggio retorico che contengono fanno perdere di significato la frase. Ad esempio scrivere "non è escluso che" lascia una traccia di ambiguità che non permette di comprendere appieno il messaggio che si vuole trasmettere. Analogamente si sconsiglia di usare la forma passiva quando può essere usata quella attiva, inutile complicare la frase con tempi verbali che non si utilizzano nel linguaggio comune.
Attenzione alle metafore e alle similitudini
Utilizzare, con la dovuta attenzione, le metafore. Queste, infatti, hanno la forza di attivare strutture mentali preesistenti e per lo più inconsapevoli. Se ben utilizzate, attivano i frame mentali delle persone, il senso di identificazione e accrescono il consenso verso il contenuto del messaggio (Lakoff e Johnson, 1980) proprio nella misura in cui sono in grado di evocare un'immagine che trasferisce il messaggio anche su un piano emozionale. Come scrive Carofiglio (2017) è importante distinguere le similitudini dalle metafore per il maggior impatto delle seconde. Carofiglio ricorda che dire che "la faccia di Cesare era come un cielo in tempesta" (similitudine) è molto meno efficace che dire "la faccia di Cesare era un cielo in tempesta" (metafora).
Quindi le metafore vanno utilizzate con l'attenzione che i destinatari ne condividano il significato.
Il peso delle parole
Essere consapevoli del peso delle parole che caricano di una grande responsabilità chi le utilizza. Tra le possibili dimensioni che assumono le parole qui ci limitiamo a evidenziarne tre: semantica, sintattica e pragmatica.
L'efficacia comunicativa di un testo è legata anche al valore semantico delle parole che vengono utilizzate, ma anche dal contesto nel quale sono inserite, dal supporto utilizzato, dalla loro concatenazione e da quanto altri stimoli possano indirizzarne l'interpretazione e, ancor di più, la velocità di comprensione. Per restare su quest'ultimo punto pensiamo a un messaggio che tutti conosciamo: "attenti al cane". Ebbene questo messaggio se risulta solamente scritto ha un'efficacia comunicativa molto inferiore di quella che ottiene se accompagnata dall'immagine di un cane. Questo perché l'immagine ci indirizza, con una sorta di priming semantico, verso il fatto che la scritta parlerà di un cane. Sappiamo che la codifica visiva è più rapida di quella scritta. Ecco allora che la scritta "attenti al cane" troverà la strada preparata per una più rapida comprensione. A questo punto però il significato che quella specifica immagine di cane ha per ognuno di noi acquista valore non trascurabile. Se, a titolo di esempio, mi piacciono i pastori tedeschi e magari ne ho avuto uno al quale ero particolarmente affezionato, ecco che l'immagine di quella razza di cane non mi predisporrà a comprendere che mi stanno avvisando di un pericolo.
Come detto anche la sequenza delle parole ha un valore simile. Così la parola "pesca" può far pensare per associazione a un altro frutto (un'albicocca), a un pesce (frutto della pesca) o a quel luogo, dove si vincono degli oggetti "pescando” i biglietti con i numeri fortunati.
Così, se dovessimo attribuire a questi due disegni un nome scelto tra Takete e Maluma con tutta probabilità chiameremo Tekete il disegno spigoloso e Maluma quello con le forme arrotondate.
Il cervello collega le informazioni sensoriali a suoni specifici attraverso il meccanismo chiamato “simbolismo sonoro” per cui immagini, suoni e odori si collegano nel nostro cervello a parole che li rappresentano. Si tratta di sinestesie che hanno un'importanza cruciale per la percezione che abbiamo del mondo esterno (sembra che ve ne siano più di 50) alcune sono uditive, altre spazio temporali, altre, appunto linguistiche.
In questo caso il priming semantico che mi predisporrà a comprendere di cosa si sta parlando dipenderà dal contesto (all'interno di una sagra popolare la parola pesca indirizza il pensiero verso il luogo in cui si vincono i fatidici premi), ma anche dalle parole che la precedono. Ecco allora che la parola "barca" costituirà un priming semantico che porterà a pesce (barca - pesca - pesce). Diversamente la parola frutto alla catena frutto - pesca - albicocca ; la parola "festa - pesca - numero fortunato". Così dopo aver sentito la parola “paura” la maggior parte delle persone, se richiesto di completare la parola “pani_o”, diranno “panico” e non “panino”. Il problema è che ogni stimolo, come ogni parola, non attiva solamente una catena di associazioni, ma costituisce un vero e proprio moltiplicatore, come quando si lancia una biglia in un gruppo di altre biglie: gli urti che ne scaturiscono creano una reazione vasta e non facilmente prevedibile (Zuliani e Santoro, 2019). Anche un piccolo cambiamento nella collocazione, nella costruzione, nella scelta dei tempi o nel contesto del modo in cui le informazioni sono trasmesse può alterare radicalmente il modo in cui queste vengono recepite e utilizzate (Martin e altri, 2009).
L’affordance della comunicazione
Le frasi utilizzate devono avere una buona affordance. Con il termine affordance indichiamo l'insieme delle qualità di un oggetto che consente la sua utilizzabilità da parte di una persona. Ogni oggetto è fatto per essere agito e il modo in cui è fatto implica questa utilizzazione.
Come scrive Sakata e altri (1995) i neuroni canonici, presenti nel lobo parietale, codificano l'affordance di un oggetto e la trasformano in un atto motorio. È come se i neuroni canonici possedessero una sorta di vocabolario motorio dal quale pescano le azioni appropriate per prendere e utilizzare quel determinato oggetto. Possiamo quindi dire che ogni oggetto innesca un comportamento ottimale, anche se ciò non preclude una sua diversa utilizzazione. Così una sedia spinge chiunque a sedervisi sopra, ma può essere utilizzata anche come sgabello per raggiungere una mensola posta in alto nella stanza. Anche le idee posseggo in qualche modo una loro affordance, così come la posseggono le procedure aziendali, tanto più se sono il risultato di una serie di azioni e dell'utilizzo che il lavoratore fa degli oggetti consoni a metterle in pratica. Analogamente agli oggetti anche le procedure devono prevedere delle "impugnature intellettuali" che ne agevolino la realizzazione (Aberkane, 2016).
La spinta (gentile) all’azione
Infine, e con questo ritorniamo all’effetto pragmatico delle parole e delle frasi utilizzate, occorre verificarne la capacità di suggerire le migliori decisioni da prendere. Con il termine “nudge” andiamo a individuare tutte le iniziative che sono utili a guidare le persone a prendere decisioni nella giusta direzione (Thaler e Sunstein, 2008). Si tratta di una vera e propria architettura che viene predisposta per spingere, gentilmente come direbbero gli autori citati, le persone verso le migliori decisioni possibili. Nessun condizionamento, ma solo dei suggerimenti che gli interessati possono o meno decidere di mettere in pratica. Ogni disposizione, ogni procedura prevede una progettazione e quindi l'idea di raggiungere un determinato risultato. In altri termini siamo sempre architetti delle scelte degli altri, la sfida è quella di essere dei buoni architetti delle scelte. E un modo efficace può essere quello di predisporre delle regole di default efficaci. Questo perché ognuno ha la tendenza, ad affidarsi al default degli oggetti e delle procedure e come tale spinta sia molto forte (Banhabib, Bisin e Schotter, 2010).
Antonio Zuliani
Fonte: PDE, n. 54
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Rispondi Autore: Matteo - likes: 0 | 21/01/2020 (09:33:57) |
Spunti interessanti. Certo è importante anche scrivere in maniera corretta. Così, ad esempio, scrivere "redarre" in un articolo sulla comunicazione non è proprio il massimo! |
Rispondi Autore: Renato D'Avenia - likes: 1 | 21/01/2020 (10:45:22) |
Apprezzabile il contenuto, anche perché, noto con piacere che si citano le fonti, il che, oltre a conferire correttezza scientifica, da al pezzo, appunto una connotazione altrettanto scientifica, cosa che nel "nostro mondo non usa molto... |
Rispondi Autore: mario - likes: 0 | 21/01/2020 (12:01:36) |
interessante spunto, tuttavia resto sempre stupito dell'evoluzione linguistica moderna… "agire" è diventato un verbo transitivo?? "ogni oggetto è fatto per essere AGITO"??? mah… forse no. |