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Valutare i rischi degli impianti industriali nelle aziende non Seveso

Valutare i rischi degli impianti industriali nelle aziende non Seveso

Autore: Alessandro Mazzeranghi

Categoria: Rischio di incidente rilevante

07/04/2021

La valutazione dei rischi degli impianti industriali “di processo” nelle aziende “non SEVESO”. Il rischio chimico, il rischio impiantistico e l’approccio semplificato alla identificazione dei pericoli impiantistici.

Valutare i rischi degli impianti industriali nelle aziende non Seveso

La valutazione dei rischi degli impianti industriali “di processo” nelle aziende “non SEVESO”. Il rischio chimico, il rischio impiantistico e l’approccio semplificato alla identificazione dei pericoli impiantistici.

Non c’è bisogno di spiegare a lungo come la valutazione dei rischi degli impianti industriali abbia da sempre prestato maggiore attenzione a quegli impianti che, in caso di incidente, potevano:

  • Provocare gravi danni alle persone presenti in impianto
  • Provocare gravi danni alle persone, che pure fuori dall’impianto, si venivano a trovare nelle vicinanze
  • Provocare gravi danni all’ambiente naturale e antropico

 

Il disastro provocato dalla ICMESA a Seveso ha finalmente indotto l’Europa a fare ordine su questo argomento anche tramite una precisa definizione di quali sono le aziende a rischio di incidente rilevante.


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Gli altri impianti industriali

Abbiamo detto sopra, in modo qualitativo, i fattori che contribuiscono a definire un impianto a rischio di incidente rilevante. Ma gli impianti pericolosi non sono solo quelli dove esiste la potenzialità che può generare un incidente rilevante. Tanti altri impianti possono generare incidenti gravi, con danni gravissimi o mortali alle persone, senza che questi incidenti possano essere classificati come “rilevanti”. Quindi la direttiva SEVESO non si applica, ma si applica comunque il D.lgs. 81/08 che impone di valutare tutti i rischi per i lavoratori.

 

Eppure anche in grandi aziende la valutazione dei rischi degli impianti (qualora siano pericolosi, ovviamente) non esiste o viene gravemente sottovalutata.I motivi sono ovvi: altre situazioni di rischio presentano una frequenza di “attivazione” molto elevata mentre gli incidenti industriali sono rari; per contro in alcuni casi le conseguenze siano ben più ampie rispetto ad altri incidenti: contatto con organi pericolosi delle macchine, elettrocuzione, investimento da parte di carrelli elevatori …

 

Un altro fattore da considerare è che le tecniche di analisi, nate per prevenire quegli incidenti rilevanti che, oltre a Seveso, hanno profondamente segnato il dopoguerra (Bhopal, Chernobyl, Deep Horizon, Fukushima) sono estremamente complesse e richiedono informazioni estremamente dettagliate sulle caratteristiche dell’impianto che forse erano disponibili al momento della progettazione/fabbricazione ma che spesso sono andate perdute. Un’opera di ricostruzione di tali informazioni tramite “reverse engineering” è spesso impossibile, nel migliore dei casi molto onerosa.

 

Rischio chimico e rischio impiantistico

Chi lavora in azienda come RSPP, come conduttore di impianto o come manutentore (ragionando sempre di aziende non SEVESO) ha, normalmente, una buona conoscenza del rischio chimico e una corrispondente capacità di riconoscerlo e prevenirlo. Parliamo però principalmente del rischio intrinseco delle varie sostanze utilizzate. Vorrei aggiungere che la formazione sul rischio chimico erogata dagli enti di formazione è decisamente buona e che esistono metodologie e algoritmi (spesso gratuiti) che sono di grande aiuto per stimare l’effettiva entità del rischio derivante dalle sostanze pericolose.

 

Al contrario il rischio impiantistico (process safety è la denominazione più diffusa nel mondo anglosassone) non si “vede” per due motivi:

  • È connaturato alla configurazione di impianto.
  • Si manifesta (divenendo rischio palese) solo eccezionalmente non solo a livello di incidente con danni ma anche di near miss. Anzi, aggiungo, spesso i near miss non vengono riconosciuti come tali (restano comunque nascosti).

 

Quindi l’unico approccio (alternativo all’attività analitica discussa sopra) è a carattere induttivo con una tecnica tipo WHAT IF. Per esempio: dato un determinato set di impianto (sostanze, temperature, pressioni ecc.) cosa succederebbe se ci fosse una miscelazione di sostanze non desiderata? Potrebbe trattarsi di qualcosa di innocuo che mi porta semplicemente a produrre scarto, oppure si potrebbe verificare una reazione esotermica, o ancora la reazione fra sostanze potrebbe generare un composto tossico ecc.

 

Credo che si possa convenire che questo non è “rischio chimico” come comunemente inteso.

 

Un approccio semplificato alla identificazione dei pericoli impiantistici

Conveniamo tutti che la finalità primaria della valutazione dei rischi è quella di conoscere gli stessi per poterli eliminare o controllare. In questo percorso uno dei passi fondamentali è l’informazione dei lavoratori riguardo ai rischi cui sono esposti.

 

Nel contesto che stiamo considerando la questione più delicata è proprio quella di conoscere i pericoli, con ciò intendendo: identificare i guasti e le anomalie impiantistiche ma anche operative che possono condurre a un danno alle persone o all’ambiente (non dimenticherei neanche gli asset e la business continuity, visto che estendere il ragionamento a questi fattori viene praticamente “gratis”).

 

Un esempio: se ricevo una autocisterna di materia prima e l’autista, insieme a un mio lavoratore, scarica la sostanza nel silo sbagliato che succede? E se questa evenienza è dannosa come posso evitare che accada? Se vogliamo fare un paragone dalla vita di tutti i giorni: se faccio il pieno di benzina ad una auto a gasolio che succede? Osservate che il contrario non è possibile perché la pistola distributrice del gasolio è troppo grande per entrare nel bocchettone della benzina.

 

Sono già arrivato a possibili eventi; in realtà il percorso parte diversamente. Provo a descriverlo per punti secondo uno schema elementare ma che consente di sviluppare un primo livello di analisi:

 

  1. Mappare (elencare) tutte le sostanze “chimiche che si trovano, vengono utilizzate o vengono prodotte nel sito industriale:
  1. Composizione
  2. Conformazione fisica (liquido, pulverulento …)
  3. Parametri fisici quali temperatura, pressione ecc.
  4. Tipo di stoccaggio (in silo, in big bag, in sacchi …)
  5. Luogo di stoccaggio

 

Come si può facilmente osservare non è altro che un semplice data base sicuramente in parte già esistente ai fini di altre valutazioni (chimico, biologico ecc.).

 

  1. Verificare se la perdita di contenimento di una sostanza possa dar luogo a pericoli, vuoi per caratteristiche proprie o per possibili reazioni con l’ambiente esterno (ossidazione, evaporazione ecc.)
  2. “Combinare” fra loro le sostanze per verificare se le stesse possono, fra loro, generare reazioni pericolose.

 

A questo punto dovremmo avere un elenco dei pericoli ipoteticamente possibili in caso di guasti (p.es. perdite) o malfunzionamenti (una valvola che manda una sostanza nel miscelatore sbagliato) di impianto o errori umani nella conduzione.

 

  1. Solo se esistono pericoli potenziali, sin qui del tutto ipotetici, e solo per i pericoli (ovviamente) andremo a studiare l’impianto (possibili guasti / cedimenti) e la sua gestione (automazione industriale e operatività umana) che possono rendere effettivo il pericolo.

 

Questo approccio ci consente di limitare lo studio impiantistico a pochi aspetti ben delimitati evitando quel “reverse engineering” di cui si accennava all’inizio ma arrivando (auspicabilmente) ad una completa conoscenza dei pericoli e alla definizione di opportune misure di eliminazione o mitigazione dei rischi.

 

Perché una analisi semplificata è un indubbio passo avanti?

I rischi di processo risultano sfuggenti per i non specialisti, e talvolta non immediatamente riconoscibili neanche per gli specialisti del settore. Spesso vengono resi effettivi (innescati) da azioni banali che tutti giudicherebbero innocue. E non ci si può neanche affidare ad una certa propensione al riconoscimento di rischi e pericoli che le singole persone potrebbero avere sviluppato, perché la mancanza di conoscenze fa mancare il terreno su cui basare il ragionamento.

 

Pertanto se il primo scopo della analisi deve essere eliminare le situazioni gravi ad alta probabilità, il secondo obiettivo è primariamente didattico. Come per tante altre famiglie di pericoli poco note e non visibili: rischio elettrico, energie residue ecc.

 

Conclusione

Astraendo un attimo dallo spunto tecnico vorremmo concludere che

  • Se il fattore umano è oggi con causa di tanti infortuni (evidentemente per ignoranza o sottovalutazione dei rischi)
  • Se nelle aziende sono presenti anche rischi non ben chiari alle persone esposte

 

Indipendentemente da qualunque miglioria tecnica è fondamentale la conoscenza e la capacità di riconoscimento che ne dovrebbe derivare (sebbene tale capacità non sia scontata). Quindi credo si debba investire su una migliore conoscenza dei rischi da diffondere capillarmente a tutte le persone interessate.

 

 

Alessandro Mazzeranghi

 


Creative Commons License Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

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Rispondi Autore: Franco Rossi immagine like - likes: 0
07/04/2021 (09:45:45)
Dovremmo anche tenere presente il titolo III del DPR 302 del lontano 1956, "riabilitato" dallo stesso 81.

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