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Supporto psicologico per i soccorritori
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Le operazioni di soccorso possono comportare per i soccorritori non solo rischi fisici, ma anche psicologici. Situazioni di disagio che non sempre possono essere risolte e superate senza un aiuto.
Per affrontare questa situazione, in molti paesi europei e nel nord America viene utilizzata la figura del “peer supporter”, un soccorritore che ha seguito uno specifico percorso formativo per prestare il primo intervento di supporto psicologico ai colleghi.L’intervento diretto degli psicologi in queste situazioni infatti non è sempre la soluzione migliore.
La figura del peer supporter è stata analizzata in un articolo pubblicato sull’ultimo numero del 2006 diPdE, rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente.
Secondo gli autori, la funzione del peer supporter appare importante per due ordini di motivi. In primo luogo, il fatto di appartenere alla stessa organizzazione di soccorso permette di stabilire un clima di accettazione e di condivisione delle emozioni e dei vissuti dei colleghi.
In secondo luogo, i peer possono più facilmente fungere da ponte tra i colleghi che soffrono e gli psicologi.
La vicinanza quotidiana dei colleghi inoltre consente di cogliere rapidamente i primi sintomi del disagio, prima che divenga troppo difficile da gestire.
Ascolto, valutazione e supporto sono i tre strumenti a disposizione del peer supporter che opera secondo la strategia internazionale denominata PIAS (Prossimità, Immediatezza, Aspettativa soddisfatta, Semplicità nell’intervento).
“Ascoltando essi offrono ai colleghi l’occasione di esprimere difficoltà, frustrazioni, timori e emozioni legate ad un determinato evento o ad una situazione professionale.[…]
Più che fornire un consiglio, quindi, i peer possono aiutare i colleghi a rendersi conto delle emozioni, positive e negative, normalmente collegate ad un evento critico. […]
Attraverso l’ascolto i peer possono valutare se l’entità del problema espresso dal collega è tale da richiedere l’intervento di un professionista. Un addestramento adeguato permette di imparare a cogliere i segnali di disagi profondi e di situazioni a rischio di patologia (per esempio depressione, dipendenza da sostanze, Sindrome Post Traumatica da Stress, ecc.).”
Riguardo alla posizione gerarchica che il peer assume all’interno dell’organizzazione, è suggerito che i peer possano aiutare solamente i pari grado e, in ogni caso, non i loro familiari.
Tra i criteri di selezione utilizzabili per la selezione dei peer supporter figurano il possesso di abilità empatiche e di ascolto, il fatto che la persona sia conosciuta come una persona alla quale i colleghi già si rivolgono informalmente per informazioni e/o consigli, il possesso di buone capacità nella gestire di situazioni problematiche e di capacità di mantenere le riservatezza sulle informazioni ricevute.
La formazione necessaria per svolgere questo ruolo deve prevedere un addestramento di base e una continua e costante supervisione sul lavoro, fornita da qualificati professionisti della salute mentale.
L’articolo mette in luce pregi e limitazioni sull’utilizzo del peer supporter.
L’utilizzo di queste figure consente, ad esempio, difornire un’assistenza mentale là dove si è manifestato l’evento stressante, nel tempo più breve possibile. Inoltre favorisce la comprensione reciproca tra i soccorritori che intervengono in un’emergenza eaiuta a superare due pericolosi atteggiamenti mentali: quello di sentirsi gli unici che stanno vivendo un’esperienza emotiva difficile e quello di sentirsi passivi rispetto a quello che sta accadendo.
Tra i limiti individuati all’intervento dei peer supporter vi è il fatto che egli non possa fornire un intervento terapeutico perché lo stesso è di competenza dei professionisti della salute mentale.
Inoltre l’intervento del peer supporter potrebbe essere rifiutato, per varie ragioni, tra le quali il timore da parte della persona interessata che il collega non sia in grado di garantirgli la necessaria riservatezza.
“Esiste poi un problema - rilevano gli autori - legato al fatto che il peer supporter non può avvalersi della tutela del segreto professionale, come un professionista della salute mentale, e quindi potrebbe essere chiamato a testimoniare, all’interno di un’inchiesta giudiziaria, sulle confidenze rilevategli da un collega. Ciò significa che appare opportuno non intervenire con tale funzione quando si ravvede l’esistenza di problemi legati alla responsabilità da parte di colleghi, anche se si trovano in difficoltà.”
Per affrontare questa situazione, in molti paesi europei e nel nord America viene utilizzata la figura del “peer supporter”, un soccorritore che ha seguito uno specifico percorso formativo per prestare il primo intervento di supporto psicologico ai colleghi.L’intervento diretto degli psicologi in queste situazioni infatti non è sempre la soluzione migliore.
La figura del peer supporter è stata analizzata in un articolo pubblicato sull’ultimo numero del 2006 diPdE, rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente.
Secondo gli autori, la funzione del peer supporter appare importante per due ordini di motivi. In primo luogo, il fatto di appartenere alla stessa organizzazione di soccorso permette di stabilire un clima di accettazione e di condivisione delle emozioni e dei vissuti dei colleghi.
In secondo luogo, i peer possono più facilmente fungere da ponte tra i colleghi che soffrono e gli psicologi.
La vicinanza quotidiana dei colleghi inoltre consente di cogliere rapidamente i primi sintomi del disagio, prima che divenga troppo difficile da gestire.
Ascolto, valutazione e supporto sono i tre strumenti a disposizione del peer supporter che opera secondo la strategia internazionale denominata PIAS (Prossimità, Immediatezza, Aspettativa soddisfatta, Semplicità nell’intervento).
“Ascoltando essi offrono ai colleghi l’occasione di esprimere difficoltà, frustrazioni, timori e emozioni legate ad un determinato evento o ad una situazione professionale.[…]
Più che fornire un consiglio, quindi, i peer possono aiutare i colleghi a rendersi conto delle emozioni, positive e negative, normalmente collegate ad un evento critico. […]
Attraverso l’ascolto i peer possono valutare se l’entità del problema espresso dal collega è tale da richiedere l’intervento di un professionista. Un addestramento adeguato permette di imparare a cogliere i segnali di disagi profondi e di situazioni a rischio di patologia (per esempio depressione, dipendenza da sostanze, Sindrome Post Traumatica da Stress, ecc.).”
Riguardo alla posizione gerarchica che il peer assume all’interno dell’organizzazione, è suggerito che i peer possano aiutare solamente i pari grado e, in ogni caso, non i loro familiari.
Tra i criteri di selezione utilizzabili per la selezione dei peer supporter figurano il possesso di abilità empatiche e di ascolto, il fatto che la persona sia conosciuta come una persona alla quale i colleghi già si rivolgono informalmente per informazioni e/o consigli, il possesso di buone capacità nella gestire di situazioni problematiche e di capacità di mantenere le riservatezza sulle informazioni ricevute.
La formazione necessaria per svolgere questo ruolo deve prevedere un addestramento di base e una continua e costante supervisione sul lavoro, fornita da qualificati professionisti della salute mentale.
L’articolo mette in luce pregi e limitazioni sull’utilizzo del peer supporter.
L’utilizzo di queste figure consente, ad esempio, difornire un’assistenza mentale là dove si è manifestato l’evento stressante, nel tempo più breve possibile. Inoltre favorisce la comprensione reciproca tra i soccorritori che intervengono in un’emergenza eaiuta a superare due pericolosi atteggiamenti mentali: quello di sentirsi gli unici che stanno vivendo un’esperienza emotiva difficile e quello di sentirsi passivi rispetto a quello che sta accadendo.
Tra i limiti individuati all’intervento dei peer supporter vi è il fatto che egli non possa fornire un intervento terapeutico perché lo stesso è di competenza dei professionisti della salute mentale.
Inoltre l’intervento del peer supporter potrebbe essere rifiutato, per varie ragioni, tra le quali il timore da parte della persona interessata che il collega non sia in grado di garantirgli la necessaria riservatezza.
“Esiste poi un problema - rilevano gli autori - legato al fatto che il peer supporter non può avvalersi della tutela del segreto professionale, come un professionista della salute mentale, e quindi potrebbe essere chiamato a testimoniare, all’interno di un’inchiesta giudiziaria, sulle confidenze rilevategli da un collega. Ciò significa che appare opportuno non intervenire con tale funzione quando si ravvede l’esistenza di problemi legati alla responsabilità da parte di colleghi, anche se si trovano in difficoltà.”
L'articolo completo (disponibile in forma completa sulla rivista PdE) è a cura di Antonio Zuliani e Keleana De Marzi).