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La percezione del rischio tra teoria e ricerca

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Gestione emergenza ed evacuazione

03/07/2006

Accanto a una visione tecnico-probabilistica della percezione del rischio, si impone sempre più l’importanza della valutazione soggettiva o del gruppo sociale di riferimento. Un esempio: la legge Seveso. A cura di E. Bellotto e A. Zuliani

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Pubblichiamo un articolo tratto da PdE, Rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente.

 

LA PERCEZIONE DEL RISCHIO: UN PROBLEMA APERTO

di Emanuela Bellotto e Antonio Zuliani

L’uomo, nel corso della storia, è sempre stato esposto a pericoli, sul lavoro, sulla strada, in casa, sia che stesse svolgendo una mansione, sia che si stesse divertendo o dormendo.

Tale situazione ha certamente avuto un’evoluzione nella storia dell’umanità verso una significativa riduzione dei danni derivati da tali pericoli, tanto che le aspettative di vita si stanno allungando sempre di più.

Ciononostante le persone assumono spesso atteggiamenti, sia personali che collettivi, che non sempre corrispondono all’effettiva incidenza del pericolo, anzi si nota un certo aumento della preoccupazione per i rischi che si corrono.

Come se la percezione del rischio non corrispondesse ad una sua valutazione razionale.

Dal punto di vista tecnico esiste una distinzione tra il concetto di pericolo e quello di rischio, anche se nel linguaggio comune i due termini sono spesso utilizzati come sinonimi.

In breve con il termine pericolo si tende ad identificare l’agente, la situazione, l’evento capace di portare danno (pericolosi sono un’automobile, una frana, un nubifragio, ecc).

Con il termine rischio si identifica la probabilità che l’evento produca il danno.

Una probabilità che è in funzione della vulnerabilità del sistema e del valore dei beni coinvolti.

Per rimanere negli esempi precedenti, guidare un’automobile sarà rischioso in funzione dello stato della strada, della manutenzione del mezzo, del traffico, dell’abilità del guidatore, del suo stato emotivo e così via.

Accanto a questa visione, sostanzialmente tecnico-probabilistica, si affaccia, sempre con maggior forza, anche l’importanza della valutazione soggettiva del rischio, cioè della percezione che la persona o il suo gruppo di riferimento sociale ha di quel determinato pericolo.

Ecco allora che la guida dell’auto, pur provocando più decessi del volo aereo, è considerata meno pericolosa e il comportamento del guidatore ne risente profondamente.

Analogamente il problema dei campi elettromagnetici, generato dalla installazione delle antenne per la telefonia mobile, viene considerato molto più pesante di quello del fumo, e gruppi di popolazione disposti a battaglie per i primi non si preoccupano altrettanto di fumare in presenza dei figli.

Quindi, se da un lato gli esperti valutano il rischio su base statistica e probabilistica, dall’altro la gente comune lo valuta con l’esperienza e la cultura condivisa che contiene una caratteristica fondamentale: la difficoltà a tollerare l’incertezza sugli effetti di un determinato pericolo. In molto campi la scienza e la tecnica non sono in grado di fornire delle risposte definitive e perciò rassicuranti.

Nei momenti più critici dell’influenza aviaria si sono diffuse forti preoccupazioni sulla possibile trasmissione del virus attraverso i gatti e i piccioni, che il mondo scientifico italiano non ha fermamente escluso esistendo una probabilità sia pur minima.

In altre nazioni una probabilità così modesta non è stata neppure presa in considerazione nella comunicazione pubblica per cui, ad esempio, il messaggio in Francia è stato “i piccioni non trasmettono l’aviaria”.

Il rischio, da questo punto di vista, fa riferimento al comportamento umano o, comunque, alle modalità con le quali la persona si rapporta a una situazione o a un oggetto specifico.

Di qui la legittimità di parlare di percezione del rischio piuttosto che di percezione di pericolo.

Il problema è che, spesso, la definizione tecnica di rischio mal si collega con la valutazione soggettiva che viene data del medesimo oggetto dalle persone interessate, tanto che si è arrivati a differenziare il rischio “reale” da quello “percepito”.

Questa distinzione può portare a considerare il soggetto come da “educare” piuttosto che da comprendere nelle sue dinamiche di preoccupazione.

La tematica va quindi affrontata sotto tre profili:

 quello tecnico-informativo, perché le persone dispongano di tutti gli elementi per valutare;  quello “politico”, che esprime maggiormente l’opinione di gruppi piuttosto che quella di singoli individui, e può anche risentire di strumentalizzazioni;

 quello dei valori di riferimento delle persone, che spesso offre maggiore possibilità di avvicinarsi al loro punto di vista.

 

Un esempio: la legge Seveso

Il 15 maggio 2006 il Dipartimento dei Vigili del Fuoco ha inviato una circolare relativa all’informazione della popolazione interessata alla presenza di attività a rischio rilevante in riferimento ai D. Lgs. 334/99 e 238/05 (legge Seveso e collegati).

In tale circolare si ribadisce “che il diritto della popolazione a essere correttamente informata sugli aspetti riguardanti gli stabilimenti a rischio presenti nel territorio costituisca un aspetto fondamentale imprescindibile per il successo della gestione delle azioni intraprese nel caso si verifichi un incidente”.

Già dal D. Lgs. 334/99, emanato dopo il 1976, quando dai camini dell’Icmesa di Seveso fuoriuscì una nube contenente diossina, si prevedeva che la popolazione residente nelle vicinanze di industrie a rischio “di incidente rilevante” fosse informata dei rischi e delle misure da attuare in caso di incidente.

Lo stesso decreto conteneva alcune prime tabelle indicanti le tipologie di industrie a rischio.

Tabelle che sono in continua evoluzione, a causa sia della ricerca scientifica, sia dell’aumentata sensibilità dell’opinione pubblica verso i temi di tutela della salute.

L’evoluzione di questa legislazione, da un lato rappresenta un progresso per la tutela della cittadinanza, dall’altro dimostra quali seri problemi di comprensione del rischio si pongano per le persone, in particolare nei casi in cui le industrie interessate, pur non modificando il loro ciclo produttivo, siano entrate, nel corso degli anni, nel novero delle industrie a rischio.

Di qui il paradosso: alle persone che hanno sempre vissuto a ridosso di una determinata industria viene improvvisamente comunicato che il luogo dove abitano si trova in una zona a rischio.

Il problema è che il pericolo non si è determinato da un cambiamento produttivo, bensì dal fatto che solo oggi si considera quella produzione come “rischiosa”.

Si giunge così a chiedere alle persone interessate di compiere un’operazione “impossibile”: scorporare la loro storia dal dato tecnico, ovvero considerarsi a rischio solamente dal momento della dichiarazione ufficiale della sua esistenza.

Ma ciò non è facile: come farà la persona a non pensare che ha vissuto per anni in una situazione che era, di per sé, già rischiosa? Come sarà possibile comprendere che, se oggi risiede in una zona a rischio, ciò è proprio una conseguenza dell’aumentata preoccupazione per il rischio, che ha indotto il legislatore a modificare le tabelle di cui si parlava sopra? Come potrà controllare l’ansia derivata dal pensare che, come già ha sperimentato nella sua storia, le cose potrebbero mutare ancora e un domani potrà scoprire di trovarsi di fronte ad un rischio ancora maggiore? L’incertezza di cui si parlava sopra può diventare intollerabile sia a livello di qualità di vita percepita, sia nel determinare l’acquisizione dei comportamenti da adottare in caso di effettiva emergenza.

Dalla percezione alla comunicazione del rischio Queste riflessioni aprono la partita sull’importanza strategica della comunicazione, che non può riguardare solamente gli aspetti tecnici, ma deve aiutare le persone a comprendere e interpretare tutti questi fenomeni.

Occorre individuare le variabili che possono influenzare la percezione di rischio nel soggetto, di fronte ad un determinato evento minaccioso.

Da questo punto di vista esistono delle strategie di lettura di tali percezioni, che fanno riferimento a variabili quali, ad esempio, il fatto che un pericolo viene percepito come meno rischioso: se vi è familiarità con esso, se la persona sente di avere il controllo della situazione, se pensa che le conseguenze non siano gravi o comunque immediate, se la sua fonte è naturale e non artificiale, se vi è un’equa distribuzione di rischi e benefici e, infine, se si riesce a immaginare cosa potrà accadere e se ciò non provoca troppo orrore.

Gli strumenti di indagine basati su tali percezioni, di cui si è appena dato un elenco parziale, sono estremamente utili, anche se occorre ricordare che non sempre ci si può ridurre alla semplice somministrazione di questionari.

La somma di tali misurazioni, infatti, non sarà equiparabile alle valutazioni che le stesse persone potranno proporre una volta riunite in gruppo.

Gli studi sulla forza del gruppo nel determinare opinioni e comportamenti dei suoi membri sono oramai consolidate, al punto che è necessario considerare anche questa modalità di elaborazione della percezione del rischio.

Di fatto molte delle situazioni più critiche riguardo alla visione dei rischi sono connesse all’elaborazione che ne fanno i gruppi sociali di riferimento delle singole persone, e nei confronti di questa dinamica la prospettiva di analisi psicometrica non fornisce i risultati attesi.

Risulta allora importante conoscere le principali forme di aggregazione sociale nelle quali le persone confluiscono.

Possono presentarsi degli scenari molto diversi: ad esempio, mettersi in contatto con una popolazione anziana e con una struttura familiare nucleare è molto differente dall’agire con soggetti giovani e inseriti all’interno di relazioni sociali efficaci.

In sintesi, è fondamentale conoscere queste caratteristiche di una popolazione per poter comprendere il modo in cui si svilupperà la percezione del rischio, e scegliere e sviluppare i migliori canali per entrare in comunicazione con essa.

Una comunicazione che, se vuole essere efficace, non potrà comunque prescindere dal punto di vista delle persone che si sentono in pericolo.Solo se si sentiranno comprese nella loro situazione potranno accettare una comunicazione.

 

Fonte: PdE, Rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente

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