Ancora molte ombre dopo 25 anni dal recepimento della Direttiva Cantieri
Nell’agosto di venticinque anni fa, fu emanato il D. Lgs. n. 494/1996, riguardante il recepimento della direttiva 92/57/CEE meglio conosciuta come “direttiva cantieri”. Ai tempi, i commenti degli addetti ai lavori furono piuttosto concordi nel ritenere che il testo di recepimento, così come strutturato, necessitava di modifiche significative per riavvicinare realmente la norma ai principi ed ai contenuti della direttiva cantieri. Il successivo D. Lgs. n° 528/1999 apportò alcune modifiche eliminando, tra l’altro sia l’obbligo di redazione del Piano Generale di Sicurezza, sia rivedendo, ma solo in parte, gli obblighi del coordinatore per l’esecuzione.
Il successivo D. P. R. n° 222/2003, stabilì i contenuti minimi del Piano di Sicurezza e Coordinamento, del Piano Operativo di Sicurezza e del Piano Sostitutivo nonché definì la tipologia e le modalità di calcolo dei costi per la sicurezza.
Nel 2008, il legislatore, nel D. Lgs. n. 81/2008 (impropriamente conosciuto come “Testo Unico”), dedicò l’intero Titolo IV ai cantieri temporanei o mobili apportando una serie di modifiche al precedente e specifico corpus normativo, con l’intento di migliorare l’efficacia dell’azione prevenzionale in questo particolare settore.
Infine, nel D. Lgs. n. 106/2009, accanto a significativi e importanti cambiamenti, si era potuto constatare come, ancora una volta, si fosse persa l’occasione per fare chiarezza su alcuni punti nodali venuti alla luce nei precedenti tredici anni continuando così a mantenere ancora insoluti alcuni importanti problemi applicativi.
Le conseguenze di quanto avvenuto in questi cinque lustri, sono quelle che portano gli addetti ai lavori a scontrarsi con interpretazioni variegate delle norme ma che, in concreto, non forniscono chiare indicazioni sulla loro concreta applicabilità.
In tutti questi anni chi scrive ha avuto modo di frequentare ambienti lavorativi differenti sia per localizzazione geografica che per tipologia di opere da eseguire ed ha potuto constatare, relazionandosi con gli altri attori della prevenzione nei cantieri edili, le differenti interpretazioni ed applicazioni delle stesse regole in materia di sicurezza e tutela della salute.
Nel seguito di questo intervento, riportando affermazioni da parte di funzionari degli enti di vigilanza e di Consulenti Tecnici delle Procure, raccolte nei cantieri e nelle aule di Tribunale, si commenteranno le prime cinque tra le principali tematiche che sono continuamente oggetto di discussione, spesso scatenando forti conflittualità, tra gli addetti ai lavori:
- rischi interferenziali, rischi contestuali e rischi specifici o propri dell’impresa;
- integrazione della sicurezza nel progetto;
- scelte prevenzionali;
- etica professionale del coordinatore;
- impegno morale del coordinatore.
I rischi interferenziali, rischi contestuali e rischi specifici o propri dell’impresa
La prima tematica riguarda l’affermazione, piuttosto diffusa, che il Coordinatore per l‘esecuzione ( CSE) <<debba occuparsi non solo dei rischi interferenziali ma anche del controllo dei rischi specifici o propri delle imprese esecutrici>>.
Un’affermazione di questo tipo denota il perdurare dell’incapacità di comprendere la differenza esistente tra la gestione dei “rischi interferenziali”, “rischi contestuali” ed i “rischi specifici o propri”.
Allora è opportuno prima chiarire la sostanziale differenza esistente tra rischi interferenziali, rischi contestuali e rischi specifici o propri, in modo da definire gli attori che sono obbligati alla loro individuazione e valutazione ed alla successiva adozione delle misure di prevenzione e protezione atte ad eliminarli o ridurli al minimo.
I rischi interferenziali derivano da una situazione di presenza simultanea o successiva di più imprese o di lavoratori autonomi nella medesima area di lavoro; essi sono, pertanto, generati non da singole attività lavorative ma dalla suddetta situazione di promiscuità e/o di polifunzionalità e dalle ricadute esterne delle attività stesse. Possono anche derivare dalla specifica interazione tra le diverse attività presenti nel cantiere come, ad esempio, durante l’utilizzazione d’impianti, d’aree e/o d’attrezzature di lavoro comuni.
Per rischi contestuali s’intendono quelli derivanti dalle specifiche condizioni dell’area di cantiere, come le condizioni idrogeologiche o dalle particolari condizioni della zona dei lavori e dell’ambiente circostante.
I rischi specifici o propri derivano dalla natura dell’attività svolte dalle singole imprese esecutrici.
Al riguardo va ricordato che, rispetto i rischi specifici o propri, la posizione di garanzia continua ad essere quella del datore di lavoro che, tramite la sua catena gerarchica, è chiamato a soddisfare gli obblighi posti a suo carico dal legislatore fin dagli anni ’50 del secolo scorso con i D.P.R. 164/1956, D. P. R. n° 547/1955, ecc.. Ogni datore di lavoro ha la sua autonomia organizzativa ma più datori di lavoro, nello stesso ambiente e ciascuno con la sua autonomia, possono creare delle situazioni di rischio che non sono governabili da ciascuno di loro ma che necessitano di una regia.
Per questo motivo l’Unione Europea aveva emanato la direttiva 92/57/CEE e non certo per aggiungere un ulteriore livello di controllo sui rischi propri dell’impresa.
Il nostro legislatore non ha certo brillato per chiarezza nel recepimento della citata direttiva ed ha innescato, negli enti di vigilanza, soliti rilevare i reati di puro pericolo, la convinzione che una situazione di reato concretizzatasi in seguito alla mancata adozione di una misura prevenzionale prevista da un obbligo “proprio” (cioè posto a carico di ben determinati soggetti che, nel caso in esame, sono il datore di lavoro, i dirigenti ed i preposti), sia sempre addebitabile anche al CSE per un omessa verifica o controllo.
Ma c’è di più. Questo approccio dimostra la palese incapacità a comprendere quale sia la “condotta penalmente esigibile” da parte dei CSE. Ammesso che lo stesso CSE possa essere sempre presente in cantiere, questi non potrebbe mai conseguire il risultato di assicurare la completa adozione di tutte le misure prevenzionali in quanto, fisicamente, non potrebbe mai esercitare la propria azione di controllo su tutto il cantiere.
Infatti, non è un caso che lo stesso legislatore, fin dagli anni ’50, abbia definito la figura del “preposto” e cioè quel soggetto, appartenente alla sfera imprenditoriale, addetto a vigilare sulla concreta applicazione delle misure prevenzionali adottate dal datore di lavoro.
Pertanto, con l’introduzione della figura del CSE, è un grave errore pensare che i compiti (e le responsabilità) del preposto siano condivisibili con il coordinatore o che quest’ultimo sia sempre chiamato a rispondere in concorso per la mancata attuazione degli obblighi di sorveglianza posti a carico del primo.
Del resto, basterebbe leggere i contenuti dell’allegato XV al D. Lgs. n° 81/2008 (Contenuti minimi dei piani di sicurezza) per rendersi conto che l’oggetto dell’azione dei coordinatori sono i rischi interferenziali e quelli derivanti dalle particolarità dell’area di cantiere e della relativa organizzazione dei lavori ma non quelli propri o specifici. In conclusione, pensare che il coordinatore debba occuparsi anche del puntuale controllo anche dei rischi propri o specifici delle imprese esecutrici altro non è che l’applicazione distorta del precetto normativo.
L’integrazione della sicurezza nel progetto
Un altro aspetto riguarda le critiche mosse ai coordinatori riguardo <<la mancata azione di ricerca prevenzionale in fase progettuale con l’integrazione delle scelte conseguenti nella progettazione dell’opera; si ritiene che il PSC sia un documento che viene allegato a posteriori alla progettazione dell’opera o, addirittura, a cantiere già aperto, per cui la predisposizione di qualsiasi misura di sicurezza diventa difficile e, talvolta, impossibile>>.
In questo caso basterebbe ricordare che non è certo un obbligo di un professionista, in possesso dei requisiti per svolgere le funzioni di coordinatore, andare dal committente e proporsi per la nomina a Coordinatore per la Progettazione (CSP). È sufficiente ricordare quanto già previsto prima nel DPR n° 222/2003 e poi ripreso nell’allegato XV del D. Lgs. n° 81/2008, quando si parla di “scelte progettuali ed organizzative”; infatti sarebbe ben facile comprendere che il soggetto deputato ad informare il committente sui suoi obblighi è, innanzitutto, il professionista a cui ci si rivolge per le pratiche autorizzative e la progettazione o lo stesso imprenditore (nei casi in cui il committente gli si è direttamente rivolto).
I PSC diventano documenti “appiccicati” solo perché il committente, non ha proceduto alla nomina del CSP o perché non lo sapeva o perché non voleva procedere in tal senso per una sua precisa scelta.
Eppure, sarebbe bastato che, al momento della richiesta del titolo autorizzativo all’amministrazione concedente, il legislatore avesse imposto anche la comunicazione dell’avvenuto affidamento dell’incarico di CSP o dell’insussistenza di tale obbligo in quanto i lavori sarebbero stati eseguiti da un’unica impresa.
Così come concepita la norma, però, va ricordato che sempre possibile permettere al committente di poter attendere fino all’ultimo momento per l’affidamento dell’incarico di coordinatore, visto che l’appalto per l’esecuzione dell’opera, viene assegnato, quasi sempre ad un’impresa (esclusi gli appalti scorporati) che, generalmente, poi subappalterà parte dei lavori ad altre imprese (e lavoratori autonomi).
Quindi, se si volesse rimuovere la causa prima dei “PSC appiccicati a posteriori”, basterebbe prevedere quanto sopra perché, in concreto, quanti sono oggi gli appalti per la cui esecuzione, in cantiere è presente una sola impresa? Praticamente nessuno!
Infine, vista la necessità di sensibilizzazione del committente sui cui tutti gli attori sono d’accordo, sarebbe da chiedersi se tutti gli organismi preposti alla vigilanza e controllo, gli enti locali, ecc., abbiano effettuato, nei territori di competenza, campagne informative sugli obblighi del committente.
Le scelte prevenzionali
Molto spesso si sente dire che il coordinatore <<debba effettuare ed imporre ai datori di lavoro delle imprese le scelte prevenzionali effettuate>>.
Fare prevenzione vuol dire intervenire diminuendo le probabilità di accadimento di un evento; le azioni preventive devono essere messe in atto, in termini di scelte progettuali ed organizzative, dal progettista supportato dal CSP (ove esistente/operante perché temporalmente nominato in modo corretto) durante lo sviluppo di tutta la fase progettuale. Le scelte progettuali ed organizzative, definite per eliminare o ridurre i rischi, sarebbero così già dentro il progetto ed il capitolato.
Va anche ricordato che non è certo il CSE e neanche il CSP che può, fin dall’inizio del processo costruttivo (inizio, inteso come concezione dell’opera) che può far incamminare il committente lungo il percorso virtuoso definito dal legislatore ma è il progettista che può, ovviamente, anche coincidere con il CSP.
In generale, quindi, affermazioni come quella citata, denotano, ancora una volta, che non si riesce a comprendere come si debba organizzare l’attività prevenzionale all’interno del processo costruttivo.
Ad esempio, dovendo realizzare una villetta con due piani fuori terra, si avrà la necessità di eseguire dei solai. Nella fase progettuale, e nell’ipotesi di percorso virtuoso intrapreso dal committente, il progettista e il CSP dovrebbero analizzare e valutare il rischio di caduta dall’alto e conseguentemente scegliere, ad esempio, di realizzare la posa delle pignatte realizzando un impalcato sul quale si muoveranno gli operai per la posa delle stesse. In questo modo, si ridurrebbe al minimo il pericolo di caduta dall’alto. In altre parole, con una misura progettuale ed organizzativa definita in fase di progetto, si riduce l’entità del rischio per gli addetti alla posa ….. ma non lo si elimina.
Il rischio di caduta dall’alto che rimane, per gli addetti alla posa, va ancora analizzato per comprendere se si tratta di un rischio interferenziale oppure “specifico o proprio” e cioè afferente esclusivamente le lavorazioni dell’impresa che eseguirà il solaio.
Nel primo caso, lo si dovrà gestire con il PSC individuando le “regole” conseguenti; nel secondo caso, lo dovrà gestire l’impresa che eseguirà i lavori con il proprio POS.
Per quanto riguarda i relativi costi, la scelta dell’impalcato non potrà che essere considerata come un costo della sicurezza e quindi computata come un costo previsto nel PSC e non soggetto a ribasso.
Il CSE, quando inizieranno i lavori, verificherà che:
- la posa delle pignatte avvenga mediante l’utilizzo dell’impalcato ed il rispetto di quanto scritto nel PSC per rischi interferenziali (ad esempio, il divieto di eseguire qualunque tipo di lavorazione e/o di passare al di sotto dell’area di posa pignatte, il posizionamento di barriere fisiche e della segnaletica di divieto d’accesso al piano sottostante, ecc.);
- quanto definito nel POS dell’impresa esecutrice (corretto montaggio dell’impalcato, modalità di accesso allo stesso, ecc.), sia correttamente attuato dalla stessa.
Questa ultima verifica, però, non potrà essere eseguita con continuità da parte del CSE e ciò per almeno tre motivi:
- la posa delle pignatte non può ritenersi una fase così critica da necessitare della presenza stabile del CSE in cantiere durante tutto il suo sviluppo;
- non è concretamente possibile che il CSE effettui con continuità una attività di vigilanza sul rispetto di obblighi propri della catena gerarchica dell’impresa durante tutta la fase di lavoro di posa delle pignatte;
- la legge individua nel datore di lavoro, nel dirigente e nel preposto, i soggetti deputati all’attuazione e controllo di quanto previsto del PSC e nel POS.
Anche se la norma non lo richiede espressamente, è opportuno che il CSE, al fine di dare evidenza del proprio operato, produca specifiche evidenze documentali (verbali di coordinamento, ecc.), da divulgare a tutti i soggetti interessati (imprese affidatarie, esecutrici, lavoratori autonomi, nonché direttore dei lavori e committente). Inoltre, è consigliabile che tale attività produca anche evidenze fotografiche contenenti non solo le “non conformità” ma anche e soprattutto le “conformità” rilevate durante l’espletamento dell’attività, in modo da dimostrare il rispetto di quanto previsto nel PSC e nel POS in quel preciso momento temporale in cui il sopralluogo è stato effettuato.
L’etica professionale del coordinatore
Un’altra corrente di pensiero afferma che <<anche se le norme non sono chiare e le interpretazioni sono variegate, l’obiettivo è quello di contribuire ad elevare le condizioni di sicurezza nei cantieri. Quindi, tali regole raggiungono l’obiettivo quando qualificano e specializzano i tecnici incaricati (CSP e CSE) se sono eticamente spinti da una “motivazione prevenzionistica”>>.
Il problema è che le regole di comportamento devono essere scritte con il pieno coinvolgimento degli attori che le dovranno applicare. Fino ad oggi ci sono soggetti che inquadrano il problema “sicurezza cantieri” sulla base delle loro conoscenze esperenziali maturate, ad esempio, in un contesto particolare come quello dell’area della vigilanza. Queste indubbie e qualificate conoscenze, però, permettono di avere solo una visione parziale del problema. La conseguenza è che tutto ciò che viene prodotto, non abbraccia la complessità del fenomeno, non è aderente alla realtà, non può essere condiviso e applicato e, quindi, non può raggiungere l’obiettivo prefissato.
La visione del CSE che tutto sa, tutto vede e tutto può, è la solita italica logica della ricerca del capro espiatorio o, se vogliamo, è il frutto di meccanismi di proiezione che sono originati dalla constatazione dell’estrema difficoltà a modificare i comportamenti dei committenti e, soprattutto, delle imprese e dei lavoratori autonomi che, vale la pena ricordarlo, sono gli attori principali della sicurezza o della non-sicurezza in cantiere.
Avendo adesso il legislatore europeo e, poi quello “nostrano”, definito la figura del CSE, ecco pronto il “capro espiatorio” a cui attribuire, a prescindere, la responsabilità di qualunque evento in cantiere.
In altre parole, si costruisce il seguente processo:
- La vigilanza da parte degli organi preposti può essere assicurata solo nel 5 – 10 % dei cantieri per i problemi arcinoti di carenza di risorse (umane ed economiche);
- IL CSE è nominato in ogni cantiere ed ha risorse (???) in termini economici e di tempo, per “coordinare” e “verificare” (ma s’intende “vigilare” ……. purtroppo!) su tutto ciò che succede in cantiere.
- Quando in cantiere succede qualcosa (reato di puro pericolo o d’evento), visto che il CSE è nominato, ha tempo, ha risorse, deve “coordinare” e “verificare” (e cioè vigilare nel distorto senso comune……), allora non può non essere almeno co-responsabile di ciò che è successo.
L’impegno morale del Coordinatore
Un altro tema oggetto di discussione è se <<debba essere il coordinatore il soggetto che, avendo un livello di formazione e di conoscenze tecniche differente e più alto di quello di un committente, di cui deve farne gli interessi e curarne gli aspetti all’interno dei lavori commissionati, prioritariamente abbia come dovere quello di evitare l’accadimento di infortuni>>.
In linea di principio si è d’accordo con questa affermazione; quando però si va a parlare di strumenti e modalità con cui tradurla in concreto, andrebbe ricordato che se c’è un imprenditore che esercisce un’attività imprenditoriale ed essendo gravato da una serie d’obblighi propri, si dovrebbe presumere che sia anche al corrente degli obblighi minimi a lui imposti dalla normativa vigente in tema di sicurezza e salute dei propri dipendenti nell’ambito del suo esercizio d’impresa e non sia, quindi, necessario il continuo controllo sull’operato suo e dei suoi collaboratori da parte del CSE.
Quindi, la sicurezza sul lavoro inizia nell’ambito dell’esercizio d’impresa e non certo solo in cantiere con l’operato del CSE.
Nel prossimo contributo saranno oggetto di discussione altre tematiche che continuano ad essere oggetto di discussione tra gli addetti ai lavori.
Carmelo G. Catanoso
Ingegnere Consulente di Direzione
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Rispondi Autore: Francesco Cuccuini - likes: 0 | 23/07/2021 (07:23:09) |
Quando ci affidiamo - o ci affidiamo troppo - al “NON poteva NON sapere” cominciano i problemi Bravo Carmelo Saluti |
Rispondi Autore: Marco Martelletti - likes: 0 | 23/07/2021 (11:06:37) |
Come non essere d'accordo con le sagge considerazioni dell'ingegner Catanoso? Proprio partendo dalle ultime sue considerazioni sorge l'amara riflessione che anziché fa crescere la cultura aziendale della sicurezza partendo dal basso, ovvero coinvolgendo o pretendendo una adeguata formazione professionale dei Datori di lavoro e suoi Dirigenti, nella nostra Italia si è preferito semplicemente calarla dall'altro per il tramite della figura del CSE. Infatti, oggigiorno chiunque il giorno prima può fare il pasticcere il giorno dopo può aprire una impresa edile e fare il "pasticcione". Non per tutte le professioni è così. Ad esempio, per svolgere il mestiere del parrucchiere occorre avere una abilitazione, cosa che invece non avviene per quello dell'imprenditore edile. E quindi la "soluzione italiana", derivata più da interpretazione giurisprudenziale o degli Enti di controllo che non della normativa vera e propria, è stata proprio quella di investire il CSE (in quanto unico "sapiens" nel cantiere) di tutti i controlli possibili immaginabili, addebitandogli quindi tutte le responsabilità relative. In questa ottica la netta sensazione è che lo Stato italiano abbia - di fatto - subappaltato la propria prerogativa di controllo sulla realtà produttive e sul territorio a dei tecnici esterni alle amministrazioni (spesso chi scrive si è trovato nella imbarazzante situazione di essere considerato il "braccio armato" o la "longa manu" degli Enti di controllo in cantiere). Notare bene: subappalto spesso non retribuito adeguatamente. Anche perché mentre ancora oggi non è possibile fare ribassi sui costi della sicurezza lo è, invece, l'assoggettare a massimo ribasso la prestazione professionale del Coordinatore sicurezza in fase esecuzione. |
Rispondi Autore: fausto pane - likes: 0 | 23/07/2021 (14:20:08) |
Buongiorno a tutti. Mi auguro che uno dei prossimi temi toccati dal bravo Carmelo, riguardi la documentazione inerente la verifica tecnico professionale dell'impresa: la 'carta' che, ormai ne ho certezza, è il vero scopo, il vero obiettivo, il mantra di ogni Coordinatore. Sono molto netto e non si offendano CSP e CSE, ma, a distanza di circa 12 anni dal 106 di correzione e modifica dell'81/08 ,continuo a ricevere, come RSPP dell'impresa affidataria/esecutrice, richieste di documenti contenute in check list che hanno visto la luce tra la data di emanazione del 'coso' 81 e quella di uscita del 106 dell'anno successivo e bon, scolpita nel granito più granitico, la teoria di documenti che occorrono per dimostrare che un'impresa sia tecnicamente e professionalmente valida, riduce inutilmente le foreste disponibili e giustifica le parcelle di chi poi quei documenti li verificherà ed analizzerà attentamente (ma quando mai!). Copia del verbale di consegna dei tesserini personali Copia dei libretti di uso e manutenzione di mezzi, attrezzature, utensili (un manuale di una terna ha dalle 80 alle 120 pagine...) Copia degli attestati di formazione (che contengono dati personali per i quali nessuna norma, ad oggi, prevede la loro trasmissione/diffusione a terzi da parte del datore di lavoro dell'impresa) Copia della valutazione del rischio chimico (quella sola, però e non si sa perché...) Copia delle verifiche di funi e catene a partire dall'anno mille Copia dei certificati di idoneità sanitaria alla mansione, chiesti una tantum per cantieri che magari durano anni e la maestranza e distanza di sei mesi, non sono più quelle per i quali il CSE richiese tali certificati. Dati personali? Pfuì! Copia dell'incarico di: gruista, autista, escavatorista, saldatore, PAV, PES, PEI, e chi più ne ha... Copia della nomina di RSPP, con i relativi attestati di qualifica, copia della nomina del medico Competente (almeno qui la laurea non me l'hanno richiesta...), copia della nomina (sic!) del Rappresentate dei Lavoratori per la sicurezza e relativi attestati Fai presente che non vi è norma che preveda questo scempio forestale e sai che ti rispondono? "Ma la Check list dell'ordine degli ingegneri..." Come quei finanzieri che da un mio cliente contestavano un mancato pagamento iva con la copia del sole 24 ore a mo' di Gazzetta Ufficiale. Mi fermo qui, per ora.... Grazie Carmelo Fausto Pane |
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0 | 23/07/2021 (19:36:54) |
Comunque i documenti di solito vengono mandati in PDF, così non si abbatte nessuna foresta. Viceversa non si può fare ameno della idoneità tecnico professionale, che va dimostrata in conformità alle leggi vigenti. E il Deus ex machina di questi adempimenti è il CSE. Il cui livello in generale è molto cresciuto in questi anni, grazie anche alla dialettica con gli organi di vigilanza Asl/ATS. Il problema a volte sono i cantieri, ci sono quelli di serie A, B, C, D e anche inferiori. |
Rispondi Autore: Alessandro Delena - likes: 0 | 25/07/2021 (04:07:14) |
Dubini davvero il Deus ex machina della verifica ITP è il CSE secondo lei? No comment... In merito all'articolo del sempre ottimo Carmelo Catanoso, non posso che concordare al 100% |
Rispondi Autore: Fausto Pane - likes: 0 | 26/07/2021 (15:56:09) |
Egregio avvocato Dubini, e no! La check list infame di cui ho parlato, al fondo, piccolo piccolo, impone all'impresa di 'conservare in cantiere, per tutto il periodo di esecuzione dei lavori, la documentazione richiesta'. Non i file PDF. La documentazione, i documenti, la carta... In barba alla norma che prevede, per la verifica dell'idoneità professionale, l'ESIBIZIONE dei documenti, non l'invio, la consegna, la fornitura, la spedizione, ecc. ESIBIRE vuol dir 'mostrare': te li faccio vedere ma li tengo io, e non te li do. Ne più e ne meno come 'patente e libretto': gli agenti della stradale non se li portano mica via, appunto perché tu glieli hai ESIBITI, non forniti, consegnati ecc. ecc. Saluti Fausto Pane |
Rispondi Autore: Max Valerio - likes: 0 | 28/07/2021 (10:49:27) |
C'è un passaggio (riporto testuale): La visione del CSE che tutto sa, tutto vede e tutto può, è la solita italica logica della ricerca del capro espiatorio o, se vogliamo, è il frutto di meccanismi di proiezione che sono originati dalla constatazione dell’estrema difficoltà a modificare i comportamenti dei committenti e, soprattutto, delle imprese e dei lavoratori autonomi che, vale la pena ricordarlo, sono gli attori principali della sicurezza o della non-sicurezza in cantiere. Un punto nodale che dovrebbe essere in qualche modo inserito nella norma, e nella testa di chi verifica, perchè dopo 25 anni, non è ancora ben chiaro. A nulla valgono le sentenze della suprema corte, e il più comune buon senso. In Italia più semplicemente si sanziona e si denuncia, poi vediamo. Sei obbligato a difenderti, perdere tempo e soldi, per ricevere una "assoluzione" che non ti rende certamente indietro tempo, soldi, professionalità. |
Rispondi Autore: Fausto Pane - likes: 0 | 29/07/2021 (12:47:56) |
Buongiorno. Lo sconsolato (e sconsolante...) commento di Max Valerio induce una riflessione altrettanto triste: l'attuale sistema prevenzionale, teso a sanzionare e condannare, non previene e non tutela. A me spaventa l'inerzia dei decisori (chi scrive le leggi) e l'immobilismo degli interpreti di quelle leggi: atteso che l'attuale sistema prevenzionistico non sta funzionando, è evidente che sanzionare e condannare non è sufficiente (oltre che utile...). Cosa possiamo fare per modificare la situazione? Qualche decisore se lo sta chiedendo? Qualche interprete se lo sta chiedendo? Son passati 25 anni, e quanti dovranno ancora passarne per poter 'capire' che i veri artefici della sicurezza (o della non sicurezza) sono i committenti ed i datori di lavoro? CSP, CSE, RL, RSPP? tutti a scrivere carte che nessuno leggerà mai e, men che meno, nessuno ne terrà conto nell'impostazione dei lavori. Per scrivere i miei POS, leggo PSC irrealizzabili nel cantieri specifici, raccolte di schede che si ripetono indipendentemente dall'opera da realizzare, committenti e imprese residui di taglia-incolla distratti. Scrivo il mio POS già sapendo che nessuno lo leggerà, elaborando le scarsissime informazioni che riesco ad estorcere al mio datore di lavoro, il quale ha già deciso tutto in fase di offerta, proposta al cliente ed accettata 6 mesi prima della redazione del POS scritto da me. Ed in questo ASSURDO prevenzionistico, mi si richiede dal CSP/CSE (collezionista di schede prefatte) come assolutamente necessaria al parere positivo riguardo l'idoneità tecnico professionale, la dichiarazione di presa visione del POS da parte del RLS dell'impresa, firmata in data antecedente di almeno 15 giorni rispetto a quella di inizio dei lavori. Le schede prefatte non le sanzionerà mai nessuno. La mancata presa visione dell'RLS si. Con buona pace di chi oggi non tornerà a casa dal suo cantiere perché infortunatosi o defunto. Carta a posto, sicurezza zero (o quasi...) e va bene così. Decisori ed interpreti, tocca a voi. Grazie. Fausto Pane |