Cantieri edili o d’ingegneria civile: rischi interferenziali e non
Innanzi tutto va chiarito cosa s’intende per “rischi d’interferenza” e quali sono le altre tipologie di rischi presenti in un cantiere edile o d’ingegneria civile dove operano più imprese esecutrici.
Questa particolare tipologia di rischio deriva da una situazione di presenza simultanea o successiva di più imprese o di lavoratori autonomi nella medesima area di lavoro; esso è, pertanto, generato non da singole attività lavorative ma dalla suddetta situazione di promiscuità e/o di polifunzionalità e dalle ricadute esterne delle attività stesse. I rischi interferenziali possono anche derivare dalla specifica interazione tra le diverse attività presenti nel cantiere come, ad esempio, durante l’utilizzazione d’impianti, d’aree e/o d’attrezzature di lavoro comuni.
Accanto a questi esistono altre tipologie di rischi come, ad esempio, quelli derivanti dalle particolarità dell’ambiente fisico dove sono eseguiti i lavori e cioè dalle specifiche condizioni dell’area di cantiere, come le condizioni idrogeologiche o dalle particolari condizioni della zona dei lavori e dell’ambiente circostante.
Infine, ci sono anche i rischi specifici o propri derivanti dalla natura dell’attività delle imprese esecutrici.
Al riguardo va ricordato che, rispetto i rischi specifici o propri, la posizione di garanzia continua ad essere quella del datore di lavoro che, tramite la sua catena gerarchica, è chiamato a soddisfare gli obblighi posti a suo carico dal legislatore fin dagli anni ’50 del secolo scorso con i D.P.R. 164/1956, D. P. R. n° 547/1955, ecc.. Ogni datore di lavoro ha la sua autonomia organizzativa ma più datori di lavoro, nello stesso ambiente e ciascuno con la sua autonomia, possono creare delle situazioni di rischio che non sono governabili da ciascuno di loro ma che necessitano di una regia.
Per questo motivo l’Unione Europea aveva emanato la direttiva 92/57/CEE e non certo per aggiungere un ulteriore livello di controllo sui rischi propri dell’impresa.
Aspetto che, ancor oggi, risulta di difficile comprensione tra molti degli addetti ai lavori.
Nella realtà, ciò che oggi continua a mancare è una seria ricerca prevenzionale in fase progettuale svolta almeno “a quattro mani” dal progettista (nelle sue vare declinazioni: architettonico, strutturale, impiantistico, ecc.) e il Coordinatore della Sicurezza per la Progettazione dell’opera (CSP).
Nella realtà, specialmente nei piccoli cantieri “privati” (sono la maggioranza), non c’è traccia di ricerca prevenzionale in fase progettuale con la totale assenza d’integrazione delle scelte conseguenti nella progettazione dell’opera. Il PSC è, in genere, un documento che vive in una “dimensione parallela” alla progettazione dell’opera o, e succede anche questo, viene ad essere redatto a cantiere già aperto. Naturalmente, in questi casi, appare evidente quale sia l’effettiva utilità di tale documento.
Ciò avviene perché il committente, non ha proceduto alla nomina del CSP o perché non lo sapeva o perché non voleva procedere in tal senso per una sua precisa scelta in dispregio delle norme di legge vigenti.
E’ indubbio, infatti, che il soggetto deputato ad informare il committente sui suoi obblighi è, innanzitutto, il professionista a cui ci si rivolge per le pratiche autorizzative e la successiva progettazione; in altri casi è lo stesso imprenditore a cui il committente si è direttamente rivolto.
Per evitare queste pratiche difformi dalle norme nei cantieri “privati”, sarebbe bastato prevedere che, al momento della richiesta del titolo autorizzativo all’amministrazione concedente, il legislatore avesse imposto, visto che la nomina del CSP deve avvenire contestualmente all’affidamento dell’incarico di progettazione, anche la comunicazione dell’avvenuto affidamento dell’incarico di CSP o, in caso contrario, specifiche motivazioni sul perché non si è proceduto in tal senso (ad esempio: certezza della presenza di un’unica impresa esecutrice) .
Così come concepita la norma, però, va ricordato che è sempre possibile permettere al committente di poter attendere fino all’ultimo momento per l’affidamento dell’incarico di coordinatore, visto che l’appalto per l’esecuzione dell’opera, viene assegnato, quasi sempre ad un’impresa (esclusi gli appalti scorporati) che, generalmente, poi subappalterà parte dei lavori ad altre imprese (e lavoratori autonomi).
Quindi, se si volesse rimuovere la causa prima di PSC “raffazzonati o appiccicati” al progetto dell’opera da eseguire, basterebbe prevedere quanto sopra perché, diciamolo chiaramente, quanti sono oggi gli appalti per la cui esecuzione, in cantiere è realmente presente una sola impresa?
Fare prevenzione vuol dire intervenire diminuendo le probabilità di accadimento di un evento; le azioni preventive devono essere messe in atto, in termini di scelte progettuali ed organizzative (Allegato XV, p. 1.1.1. lett. a)), dal progettista supportato dal CSP (ove esistente/operante perché temporalmente nominato in modo corretto) durante lo sviluppo di tutta la fase progettuale.
Le scelte progettuali ed organizzative, definite per eliminare o ridurre i rischi, sarebbero così già dentro il progetto ed il capitolato.
Va anche ricordato che non è certo il CSP che può, fin dall’inizio del processo costruttivo (inizio, inteso come concezione dell’opera) far incamminare il committente lungo il percorso virtuoso definito dal legislatore ma è il progettista che può, ovviamente, anche coincidere con il CSP.
Tornando ai rischi interferenziali, per spiegare come gestirli, è opportuno utilizzare un esempio.
Si può far riferimento alla realizzazione di un nuova porzione del tetto di un piccolo capannone industriale da ristrutturare per riadibirlo poi ad officina meccanica.
Se il CSP ha ricevuto un incarico realmente nella fase progettuale e non a progetto già finito (come avviene spesso) si dovrà innanzi tutto domandare quali saranno i rischi presenti durante l'esecuzione dei lavori.
Pertanto, il CSP, visto che nel capannone non sono presenti attività di un committente che è anche datore di lavoro (altrimenti dovrebbe considerare anche il rischio che le attività di cantiere trasmettono alle attività del datore di lavoro committente e viceversa), il primo rischio di cui si dovrà preoccupare ed a cui saranno esposti gli addetti all’esecuzione dei lavori, sarà il rischio di caduta dall'alto.
Semplificando al massimo, il rischio di caduta dall'alto si potrà concretizzare sul perimetro del tetto del capannone ed all'interno del perimetro stesso (mettendosi nelle peggiori condizioni con tetto assolutamente non portante).
In fase progettuale, la prima domanda che il CSP si deve fare è: il rischio di caduta dall’alto da circa 8 metri, nello specifico contesto, è eliminabile?
Ovviamente la risposta è no.
A questo punto, il CSP si deve domandare: il rischio è riducibile?
La risposta è sì.
La successiva domanda da farsi è: come si può ridurre il rischio di caduta dall’alto nello specifico contesto?
Ad esempio, le scelte del CSP e del progettista potrebbero essere quelle di:
- posizionamento di reti al di sotto delle porzioni di tetto su cui si interverrà, previa fisica inibizione di transito su porzioni di tetto non protette al di sotto con la rete e sulla proiezione a terra degli stessi;
- posizionamento di ponteggio perimetrale per tratti di intervento oppure parapetti perimetrali per evitare la caduta dal perimetro.
Possibili scelte ce ne sono altre ma, per brevità, limitiamoci a queste.
Questi sono due esempi, certamente non esaustivi, di scelte progettuali ed organizzative.
Il CSP ha risolto il problema?
Certamente no, perché il rischio di caduta dall'alto è stato solamente ridotto.
A questo punto appare evidente che il rischio di caduta dall’alto che permane nonostante gli interventi citati, è un rischio comune a tutte le imprese (affidatarie ed esecutrici) che opereranno sul tetto.
Quindi nel PSC ci saranno le scelte progettuali ed organizzative citate con le conseguenti misure adottate.
Nel POS, ciascuna impresa dirà come garantirà, tenendo conto di quanto definito nel PSC, la sicurezza dei propri addetti durante l'esecuzione dei lavori sul tetto.
Quindi, non si deve intendere come se il rischio di caduta dall'alto è "interferenziale", perché sono esposti i lavoratori di più imprese.
Quello che si vuole dire è che, vista la presenza di un rischio a cui sono esposti i lavoratori di più imprese, a ciascun datore di lavoro spetta l'onere di garantire la sicurezza dei propri lavoratori subordinati, esposti al citato rischio, attenendosi a quanto previsto nel PSC e nel proprio POS.
Ricapitolando, il CSP deve individuare i rischi e proporre scelte progettuali o organizzative in grado di eliminarli o ridurli al minimo; se un rischio non è eliminabile con quanto sopra ma solo riducibile, ci si deve domandare se esso è:
- un rischio derivante dalle "particolarità" dell'area di lavoro o
- b) è un rischio interferenziale o
- c) un rischio proprio di ciascuna impresa.
Nei primi due casi, sarà il PSC a governarne il controllo mentre nel terzo caso, ogni impresa che ha il proprio personale esposto a tale rischio, dovrà definire nel proprio POS come intenderà governarlo.
Il CSE, quando inizieranno i lavori, verificherà che:
- le lavorazioni vengano eseguite, previa messa in atto delle scelte progettuali ed organizzative definite in fase progettuale;
- le lavorazioni avvengano nel rispetto di quanto scritto nel PSC per rischi interferenziali (ad esempio, il divieto di eseguire qualunque tipo di lavorazione e/o di passare al di sotto dell’area di posa degli elementi della nuova copertura, il posizionamento di barriere fisiche e della segnaletica di divieto d’accesso al di sotto, ecc.);
- quanto definito nel POS dell’impresa esecutrice, sia correttamente attuato dalla stessa.
Questa ultima verifica, però, non potrà essere eseguita con continuità da parte del CSE e ciò per almeno tre motivi:
- tutte le fasi di realizzazione del nuovo tetto non potranno ritenersi tutte fasi critiche da necessitare della presenza stabile del CSE in cantiere durante tutto il loro sviluppo;
- il CSE individuerà quali ritiene siano le fasi critiche durante lo sviluppo dei lavori in cui è indispensabile la sua presenza durante lo svolgimento delle stesse (una fase critica è una fase dell’attività in cui si possono concretizzare situazioni e comportamenti in grado di alterare il livello di sicurezza atteso, già frutto dell’analisi dei rischi e della definizione delle misure prevenzionali previste nel PSC), rendendolo non più accettabile.
- non è concretamente possibile che il CSE effettui con continuità una attività di vigilanza sul rispetto di obblighi propri della catena gerarchica dell’impresa durante tutta la fase di lavoro;
- la legge individua nel datore di lavoro, nel dirigente e nel preposto, i soggetti deputati all’attuazione e controllo di quanto previsto del PSC e nel POS.
Anche se la norma non lo richiede espressamente, è opportuno che il CSE, al fine di dare evidenza del proprio operato, produca specifiche evidenze documentali (verbali di coordinamento, ecc.), da condividere con tutti i soggetti interessati (imprese affidatarie, esecutrici, lavoratori autonomi, nonché direttore dei lavori e committente).
Inoltre, è consigliabile che tale attività produca anche evidenze fotografiche contenenti non solo le non conformità ma anche e soprattutto le conformità rilevate durante l’espletamento dell’attività, in modo da dimostrare il rispetto di quanto previsto nel PSC e nel POS in quel preciso momento temporale in cui il sopralluogo è stato effettuato.
Per completezza, si ritiene opportuno citare anche un’altra casistica riguardante i rischi interferenziali.
Nel caso della sostituzione di una porzione del tetto del piccolo capannone industriale se, invece, ci trovassimo di fronte ad un committente che è anche datore di lavoro (in quanto nel capannone operano dei propri dipendenti) e che appalta, ad un'unica impresa esecutrice specializzata, il rifacimento di una porzione del tetto, saremmo nel campo di applicazione dell’art. 26 del D. Lgs. n° 81/2008, visto che non è presente una seconda impresa esecutrice.
Pertanto, sarà il datore di lavoro committente a dover dare le informazioni specifiche all'appaltatore sulle condizioni del tetto (art. 26 comma 1 lett. b) del D. Lgs. n° 81/2008) e non potrà che farlo utilizzando il lavoro fatto dal progettista dell’intervento, visto che non sussiste l’obbligo di nomina del CSP (una sola impresa esecutrice dei lavori in appalto). Questo perché se il tecnico scelto dal datore di lavoro committente sa fare bene il proprio lavoro, avrà lui stesso previsto nel progetto, le stesse scelte fatte dal CSP nel precedente esempio.
L'appaltatore, venendo a conoscenza, ad esempio, che il tetto esistente non è portante, deciderà, tenendo conto di quanto previsto progettualmente (reti, ponteggi, ecc.), come proteggere i suoi dipendenti dal rischio di caduta dall'alto esplicitando tali modalità nel proprio POS.
Poi, per definire sia le modalità per la cooperazione e il coordinamento che come gestire i rischi interferenziali che incideranno sulla sicurezza sia dei dipendenti dell'appaltatore che anche del datore di lavoro committente, questi due soggetti si sederanno ad un tavolo e definiranno tali misure nel DUVRI come, ad esempio il divieto assoluto di accesso e transito dei dipendenti del datore di lavoro committente al di sotto dell'area interessata dai lavori di rifacimento della porzione di tetto, la chiusura degli accessi all’area del capannone interessata dai lavori, i sistemi di accesso pedonale in quota, il posizionamento dell’apparecchio di sollevamento per portare in quota i materiali, le aree di sorvolo dei carichi, ecc..
Carmelo G. Catanoso
Ingegnere Consulente di Direzione
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Rispondi Autore: stefanopileci - likes: 0 | 14/12/2016 (11:41:54) |
Sempre illuminante leggerTi! Buone Feste |