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I buoni dispositivi di protezione e gli indumenti da lavoro
Roma, 19 Ago – Sia i dispositivi di protezione individuale (DPI) che gli indumenti da lavoro, specialmente quando hanno una specifica funzione protettiva, concorrono nel prevenire ed evitare infortuni e problemi di salute nel mondo del lavoro.
Per affrontare il tema dei dispositivi di protezione, con attenzione anche alla funzione protettiva di molti indumenti di lavoro, possiamo sfogliare una pubblicazione elaborata dall’ Ente Bilaterale Nazionale del Turismo (EBNT), il “ Vademecum della sicurezza. Manuale per la informazione e la formazione degli operatori del settore Turismo”.
Nella scheda dedicata ai dispositivi di protezione individuale, si segnala che tali dispositivi sono trattati in modo particolare nel D.Lgs. 81/2008, Titolo III, Capo II. E si indica che l’ adozione dei DPI è in realtà una misura estrema: “quando tutto il possibile è stato fatto (in termini di organizzazione del lavoro e di adozione di mezzi di prevenzione e protezione collettiva) per eliminare o ridurre al minimo i rischi, e rimane tuttavia un certo rischio a carico del singolo lavoratore, allora si deve obbligatoriamente ricorrere al dispositivo di protezione individuale”.
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La normativa coglie anche un problema: i DPI oltre che una necessità possono in molti casi essere anche un fastidio, un ingombro: “un corpo estraneo che limita la libertà dei movimenti e l’abitabilità dello spazio”. Dunque il legislatore prescrive che i DPI “devono essere adeguati alle condizioni di lavoro, non devono comportare un rischio maggiore di quello che dovrebbero prevenire, devono tener conto delle esigenze ergonomiche e fisiologiche del lavoratore e devono adattarsi alle necessità del singolo utilizzatore. Se, in presenza di rischi multipli, si rende necessario usare più DPI simultaneamente, si deve fare in modo che siano fra loro compatibili”.
Due sono gli obblighi principali di legge:
- “per il datore di lavoro: fornire ai lavoratori i necessari e idonei mezzi di protezione, dopo avere eseguito accurate valutazioni (che riguardano l’entità dei possibili rischi, la frequenza dell’esposizione del lavoratore a tale rischio, la caratteristiche dei posti di lavoro e le prestazioni dei DPI);
- per i lavoratori: di osservare le norme e le disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di uso dei mezzi di protezione individuale messi a propria disposizione (avendo cura dei DPI a propria disposizione, non apportandovi modifiche di propria iniziativa e segnalando a chi di competenza ogni difetto o inconveniente)”.
La scheda, che vi invitiamo a visionare, riporta sia le sanzioni che altri obblighi più specifici a carico del datore di lavoro:
- “un’istruttoria completa sui rischi che non possono essere evitati se non con l’uso dei DPI;
- una scelta oculata dei dispositivi autorizzati disponibili sul mercato e l’aggiornamento degli stessi, in caso di significative variazioni di esposizione al rischio e/o di evoluzione tecnologica dei dispositivi stessi;
- l’individuazione delle condizioni di impiego dei dispositivi, in particolare per quanto riguarda la durata;
- il mantenimento dell’efficienza e dell’igiene, nonché la manutenzione dei dispositivi;
- la disponibilità in azienda e sul posto di lavoro di adeguate informazioni su ogni DPI;
- l’informazione del lavoratore circa i rischi dai quali il DPI lo protegge e una formazione adeguata che può comportare, in taluni casi obbligatoriamente, anche specifici corsi di addestramento”.
Inoltre “per tutti vi è l’obbligo di sorveglianza: dal datore di lavoro ai dirigenti e ai preposti, dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e ai colleghi tutti”. E, non dimentichiamoci: il lavoratore “non può sottrarsi all’informazione – formazione - addestramento, né tanto meno all’uso corretto, consapevole e collaborativo del dispositivo”.
La scheda sintetizza molte indicazioni normative segnalando che se l’ adozione dei DPI è dettata dall’ambiente, dai suoi rischi, dalle sue caratteristiche, tuttavia in generale è possibile dire che i “buoni dispositivi” possiedono le seguenti caratteristiche:
- “sono efficaci ed efficienti: raggiungono lo scopo per cui sono stati costruiti e lo fanno con la maggiore possibile economia di mezzi;
- sono certificati/autorizzati: un’autorità tecnica li ha passati al vaglio;
- sono appropriati all’uso: non sono mai generici;
- sono ergonomici e confortevoli: adatti alla personalità fisica e psicologica destinata ad indossarli;
- sono facili da pulire e disinfettare;
- sono personali o personalizzabili, adattabili alle esigenze personali”.
Anche agli indumenti da lavoro è dedicata una specifica scheda, con particolare riferimento alle situazioni lavorative e agli indumenti degli operatori del settore Turismo.
Se il modo di vestirsi sul luogo di lavoro “tende a essere sempre più libero, legato al gusto personale e sempre meno ‘legato’ all’uniforme, è bene tuttavia prestare attenzione alle controindicazioni che l’ambiente di lavoro contiene.
Intanto è bene ricordare che un vestito serve almeno a tre cose:
- “protegge (ad esempio dal freddo), avvicinandosi così ad un DPI;
- identifica un ruolo, in quanto rende riconoscibile chi lo indossa come appartenente a una certa categoria di persone, avvicinandosi così ad una divisa;
- abbiglia, diventando esclusivamente espressione del gusto”.
In particolare Il riconoscimento della funzione (l’effetto divisa) “è indispensabile quando si opera su un fronte esposto al pubblico, ma il più delle volte è la stessa funzione di riconoscimento a contenere elementi di prevenzione e protezione:
- il cappello e la canottiera del bagnino (obbligatoria) proteggono e identificano;
- il grembiule del cuoco protegge dalle macchie e identifica;
- il cappello del cuoco - oltre ad essere un potente creatore di identità - protegge l’ambiente dai capelli, ma è fatto anche in modo da lasciar traspirare la pelle; il giubbotto in uso per lavorare nelle celle frigorifere è prima di tutto una protezione, ma è anche il segnale di una funzione (per es. nelle barche a vela l’istruttore indossa un giubbotto salvagente);
- le scarpe antiscivolo, usate in certe situazioni lavorative, aggiungono alla funzione principale (protettiva) una funzione non meno importante: sono igienizzabili”.
L’importante – sottolinea la scheda – “è indossare il vestiario da lavoro come un vestito, non come un impiccio; accettarlo come un’opportunità e non criticarlo come un’imposizione”.
Veniamo infine ai materiali, distinguendo tra le diverse tipologie di fibre:
- fibre tessili naturali: “lana e cotone assicurano una buona protezione igienica, resistono bene alle abrasioni e all’usura, presentano un buon isolamento termico, ma assorbono molta umidità, quindi hanno una scarsa capacità di isolamento elettrico. Il cotone non offre una sufficiente protezione agli agenti chimici. Lino e seta sono materiali resistenti; buono l’isolamento termico, scarso l’isolamento elettrico (assorbono umidità)”;
- fibre tessili sintetiche e altri materiali: “le fibre acriliche sono resistenti agli acidi, alla rottura, all’abrasione, bruciano lentamente, resistono bene al calore, hanno un buon isolamento termico ed elettrico, ma si restringono al lavaggio. I poliammidi (nylon), i poliesteri (dacron), le fluorfibre (teflon) hanno le stesse caratteristiche, e per di più sono molto leggeri; infatti vengono usati anche per il confezionamento dei normali vestiti. La gomma naturale e sintetica viene usata per indumenti impermeabili, per calzature, maschere, guarnizioni e cinghie. Resiste bene ad acidi e sostanze saline, ma in genere non è impermeabile ai solventi. Il cuoio non resiste né all’acqua (non va usato in ambienti umidi), né alle sostanze corrosive. È utilizzato principalmente in lavorazioni che comportano maneggio di lamiere, di oggetti da punta e da taglio, di lastre di vetro. Le materie plastiche, infine, hanno buona resistenza alle sostanze corrosive (acidi, alcali, sostanze saline, solventi), ma hanno scarsa resistenza alle temperature e sono chimicamente inerti. Inoltre, essendo meno porose della gomma, vengono impiegate per la protezione della cute da sostanze tossiche”.
Ente Bilaterale Nazionale del Turismo, “ Vademecum della sicurezza. Manuale per la informazione e la formazione degli operatori del settore Turismo”, documento aggiornato a cura di A.G.S.G. s.r.l., l’autore dell’aggiornamento è l’Ing. Carmine Moretti con la collaborazione di Parmenio Stroppa e Sara Vasta (formato PDF, 2.09 MB).
Tiziano Menduto
Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
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Rispondi Autore: Pioppi - likes: 0 | 15/05/2015 (09:40:29) |
Ottimo |
Rispondi Autore: fausta guastalegname - likes: 0 | 19/10/2015 (13:42:30) |
salve io sono in mobilita'..sto lavorando per una ditta chimica farmaceutica..ma non mi hanno dato gli indumenti di protezione nonostante io per ben 3gg continuavo a chiedere il camice.mi hanno dato quello di carta che assorbe le polveri farmaceutiche ora mi e' venuta una forte erosione cutania in mezzo al seno dove io ho una ferita cosa devo fare? |