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Dirigenti: obblighi, responsabilità e doveri di sicurezza
Urbino, 30 Sett – Il legislatore italiano non si è limitato, come fa invece la direttiva quadro europea 89/391/CEE, a responsabilizzare il solo datore di lavoro, ma ha coinvolto direttamente anche gli altri soggetti della line aziendale, raggruppandoli in due categorie: dirigenti e preposti.
Dirigenti e preposti, come per il datore di lavoro, vengono quindi “responsabilizzati a titolo originario e i reati prevenzionali posti a loro carico in caso di violazione, hanno natura di reati propri”.
A parlarne, e a permetterci di fare qualche riflessione sulle responsabilità prevenzionali dei dirigenti, è un Working Paper (breve saggio sul diritto della salute e sicurezza sul lavoro pubblicati da Olympus) dal titolo “ L’individuazione e le responsabilità del datore di lavoro e dei dirigenti in materia di sicurezza sul lavoro” e a cura di Francesco Stolfa, avvocato a Trani e docente nel Master in “Gestione del Lavoro e delle relazioni sindacali” dell’ Università di Bari.
Il saggio indica che i contorni delle due categorie, dirigenti e preposti, non “coincidono necessariamente con quelli delle corrispondenti figure definite nell’organigramma aziendale secondo le norme del diritto del lavoro”. Tuttavia solo occasionalmente, però, la dottrina ha affrontato “le problematiche connesse alla loro esatta individuazione e alla definizione dei loro ambiti di responsabilità, mentre la giurisprudenza ha sempre fatto largo uso di criteri equitativi o di buon senso”.
Si ricorda che il D.Lgs. 81/2008 definisce il dirigente come colui che “attua le direttive del datore di lavoro, organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa” e resta confermato, quindi, “che il dirigente è il primo collaboratore del datore di lavoro, chiamato a dare attuazione alle decisioni di carattere generale che questi deve adottare in materia di sicurezza. I confini della sua azione sono, quindi, fissati dall’incarico conferitogli dal datore di lavoro”. E “condizione per l’acquisizione delle correlative responsabilità” è che al dirigente siano stati conferiti ‘competenze professionali’ e ‘poteri gerarchici e funzionali adeguati’ (Art. 2, lettera d, D.Lgs. 81/2008).
In molte aziende di dimensioni medio-piccole, ricorda l’autore del saggio, “potranno assumere il ruolo di dirigente, a fini prevenzionali, anche quadri o impiegati di concetto (specie rientranti nell’area tecnica) che siano stati investiti, in determinati settori dell’attività aziendale, di ampi poteri decisionali, nell’ambito degli indirizzi generali fissati dal datore di lavoro. In ogni caso è opportuno, ancora una volta, sottolineare che, in applicazione del principio di effettività, i reati propri posti, in sede prevenzionale, a carico dei dirigenti sono connessi dall’ordinamento non tanto alla titolarità formale della qualifica bensì al concreto svolgimento delle relative funzioni”. Come d’altronde più volte confermato anche dalle sentenze commentate dal nostro giornale.
Il saggio si sofferma poi in particolare sui doveri/obblighi dei dirigenti - fra “competenze” e “attribuzioni” - e sulla ripartizione di responsabilità fra datore di lavoro e dirigente.
Si evidenzia come il dovere di sicurezza sia strettamente connesso con il “potere direttivo/organizzativo proprio del datore di lavoro e si è anche rilevato che nell’impresa moderna questo potere, di norma, non è più concentrato nelle sole mani dell’imprenditore avendo questi distribuito gran parte delle sue funzioni a collaboratori esperti, conservando per sé una, più o meno ampia, funzione di coordinamento”. E proprio in considerazione di ciò il legislatore italiano “ha ritenuto di vincolare direttamente anche questi altri soggetti ad esercitare quella porzione di potere direttivo/organizzativo nel rispetto del dovere di sicurezza che, come si è più volte ripetuto, ai sensi dell’art. 41 Cost., ne costituisce un limite interno”. (art. 41 Cost. “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”).
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L’autore ricorda inoltre che “le attribuzioni e competenze delle figure dirigenziali di cui parla la legge devono essere viste come gusci vuoti il cui concreto contenuto non è direttamente fissato dalla norma eteronoma ma varia, naturalmente, da azienda ad azienda e da dirigente a dirigente. È infatti l’imprenditore, quale titolare del potere organizzativo primario, a definire quantitativamente e qualitativamente le porzioni di potere organizzativo che ciascun dirigente sarà chiamato ad esercitare”.
E la ripartizione, a titolo originario, dei compiti prevenzionali “viene realizzata dal datore di lavoro mediante quelle che si definiscono in gergo deleghe di mera esecuzione o collaborazione con le quali egli, pur conservando la titolarità del relativo potere decisionale in materia di sicurezza, coinvolge tuttavia i dirigenti nei relativi processi (a livello propositivo, consultivo o istruttorio) ovvero nella fase attuativa delle decisioni adottate. Tali deleghe di esecuzione non sono soggette al regime delle deleghe di funzioni di cui agli artt. 16 e 17 del d.lgs. n. 81/2008 e non devono neanche necessariamente essere conferite con atti formali bensì, semplicemente e informalmente, secondo le prassi interne alla particolare organizzazione aziendale data”.
Infatti le deleghe di esecuzione, a differenza delle deleghe di funzioni, “non implicano traslazione dei poteri decisionali e non determinano, quindi, di norma, il trasferimento delle responsabilità penali ma solo un coinvolgimento in esse anche dei dirigenti”. Si assiste cioè ad una duplicazione di responsabilità, non a “una deresponsabilizzazione del datore di lavoro”.
È evidente, tuttavia, che i dirigenti possono essere destinatari anche di “vere e proprie deleghe di funzioni, con le modalità fissate dall’art. 16 e nei limiti fissati dall’art. 17, in questo caso con conseguente (parziale) esonero di responsabilità del datore di lavoro. Ricordando che tuttavia alcuni doveri - come sancito ad esempio nell’articolo 17 del Testo Unico - e, “conseguentemente, alcuni reati sono ‘propri’ del solo datore di lavoro. Ciò non esclude, ovviamente, che pure nell’adempimento dei compiti indelegabili, il datore di lavoro possa richiedere la collaborazione dei dirigenti, anche conferendo loro deleghe di mera esecuzione. In questo caso, però, costoro non saranno coinvolti nelle relative responsabilità, trattandosi di reati propri del solo datore di lavoro, se non, al limite, a titolo di concorso”.
Concludiamo ricordando che non si deve ritenere che le “responsabilità dei dirigenti in materia prevenzionale siano limitate alle sole deleghe ricevute dal datore di lavoro. Si deve ritenere, al contrario, che i dirigenti siano gravati anche da doveri prevenzionali propri pur in mancanza di deleghe (di esecuzione) da parte del datore di lavoro. Vi sono infatti doveri prevenzionali che derivano loro, semplicemente, dagli stessi limiti interni del potere direttivo/organizzativo che sono chiamati a esercitare” (sempre con riferimento al già citato art. 41 della Costituzione).
A questo proposito l’autore riprende un utile esempio, “purtroppo non infrequente nella realtà”. Se il datore di lavoro omette del tutto gli adempimenti di carattere formativo, “il dirigente sarà comunque tenuto a impartire ai preposti le relative disposizioni vigilando, poi, costantemente sul loro operato. Deve, anzi, ritenersi che, proprio nel caso di gravi inadempienze del datore di lavoro, il dovere di sicurezza dei dirigenti si arricchisca ulteriormente essendo essi obbligati, da un lato, a segnalare ai propri superiori gli adempimenti previsti dalla legge, le situazioni di rischio prevedibili e le precauzioni a loro avviso necessarie e, dall’altro, ad adottare comunque tutte le cautele aggiuntive rientranti nelle loro possibilità e idonee a fronteggiare quei medesimi rischi anche parzialmente (ad esempio al solo fine di ridurne l’incidenza o la gravità)”. E rientra certamente fra le competenze dei dirigenti “quella di non tollerare lo svolgimento di lavori in condizioni evidentemente pericolose dovendo costoro, in tal caso, disporre anche la sospensione dell’attività lavorativa”.
E può accadere anche che il datore di lavoro “abbia espressamente esautorato i dirigenti da tutti o quasi i compiti specifici (attribuzioni) in materia di sicurezza non adottando nei loro confronti alcuna delega di esecuzione decidendo di affidarle, invece, ad esempio, a un determinato gruppo di addetti specializzati. Anche in tal caso, però, ovviamente, i dirigenti resteranno gravati dei doveri di sicurezza impliciti nelle loro competenze”.
Si può citare infine a questo proposito una sentenza della Corte di Cassazione, presentata anche sul nostro giornale, che indica, in riferimento alla formulazione legislativa sia del vecchio art. 1, comma 4-bis del d.lgs. n. 626/1994 che nel nuovo art. 18 del TU, che “la stessa formulazione della norma ... consente di ritenere che il legislatore abbia voluto rendere i dirigenti e i preposti destinatari delle norme antinfortunistiche iure proprio, prescindendo dalla eventuale delega [o da altri tipi di esplicito incarico antinfortunistico]” e “può far ritenere che per questi due ultimi soggetti sia stata prevista una investitura originaria e non derivata dei doveri di sicurezza” (Cass. pen., sez. IV, 31 marzo 2006, n. 11351).
Olympus - Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro, “ L’individuazione e le responsabilità del datore di lavoro e dei dirigenti in materia di sicurezza sul lavoro”, a cura di Francesco Stolfa, avvocato a Trani e docente nel Master in “Gestione del Lavoro e delle relazioni sindacali” dell’Università di Bari, Working Paper di Olympus 33/2014 (formato PDF, 369 kB).
Tiziano Menduto
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