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La parità di genere, le strategie nazionali e le novità per le aziende

La parità di genere, le strategie nazionali e le novità per le aziende

Cosa è il “Rapporto relativo alla situazione del proprio personale femminile e maschile”? Quali sono gli aspetti rilevanti della Strategia nazionale? Qual è la situazione nel mondo del lavoro? Ne parliamo con Cinzia Frascheri, responsabile SSL Cisl.


Brescia, 8 Mar – L’Unione Europea ha scritto parole esplicite in tema di promozione della parità di genere, indicando – come sottolinea ed argomenta più avanti l’articolo - che ‘la parità di genere è un valore cardine dell'UE, un diritto fondamentale e un principio chiave del pilastro europeo dei diritti sociali’. Ma, come si è ricordato anche nell’articolo “ Questione di genere: disvalore, opportunità, luci ed ombre”, se diversi passi avanti sono stati fatti anche nel nostro Paese è indubbio che ci siano ancora criticità e aspetti da migliorare, anche nell’ambito della salute e sicurezza sul lavoro.

 

Per questo motivo, come negli anni passati, affrontiamo la giornata internazionale della donna cercando di fornire ai nostri lettori nuovi spunti di discussione che riguardano la parità di genere. E per farlo abbiamo intervistato Cinzia Frascheri, giuslavorista e Responsabile nazionale Cisl Salute e Sicurezza sul Lavoro, che ci aggiorna su alcuni obblighi delle aziende. Adempimenti che possono favorire una maggiore attenzione alle differenze ed esigenze di genere nella gestione dei rischi.

Cinzia Frascheri si sofferma anche su vari altri aspetti normativi e di “strategia” e fa una riflessione sulla situazione nel mondo del lavoro relativamente alla parità di genere, anche con riferimento alla gestione della salute e sicurezza.

 

 

Che cosa è il “Rapporto relativo alla situazione del proprio personale femminile e maschile”?

Si tratta di un mero obbligo documentale o può essere un adempimento importante e utile per le aziende?

Quali sono gli aspetti più rilevanti della Strategia nazionale per la Parità di Genere 2021-2026?

Cosa indica la legge 162 del 2021 e quanto è stata importante la sua entrata in vigore?

Qual è la consapevolezza nelle aziende e tra i lavoratori delle problematiche relative alle discriminazioni e gli stereotipi di genere?

Ritiene che questa futura scadenza del 30 aprile possa essere utile per migliorare l’attenzione alle differenze e il miglioramento della parità di genere?

Quali riflessioni si possono avanzare nei riguardi della salute e sicurezza sul lavoro?

 

L’intervista si sofferma su vari argomenti:

 



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Parità di genere: il rapporto sulla situazione del personale femminile e maschile

Entro il prossimo 30 aprile tutte le aziende private e pubbliche con oltre cinquanta dipendenti dovranno redigere un “Rapporto relativo alla situazione del proprio personale femminile e maschile”. Cominciamo a raccontare da cosa deriva questo obbligo?

 

Cinzia Frascheri: Esattamente, entro il prossimo 30 aprile (salvo proroghe dell’ultima ora, come avvenuto alle soglie del biennio 2020-2021) tutte le aziende private e pubbliche «che occupano oltre cinquanta dipendenti» sono obbligate a redigere un “Rapporto relativo alla situazione del proprio personale femminile e maschile, in merito all’arco temporale riferito al biennio 2022-2023. È prevista la trasmissione – per le realtà rientranti nelle soglia ridotta ai 50 dipendenti (determinata dalle rilevanti modifiche introdotte dalla L.162 del 2021) - attraverso un’esclusiva modalità telematica (su maschera istituzionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ), la stessa deve essere garantita, in modalità “libera”, anche alle Rappresentanze sindacali aziendali.  Un elemento quest’ultimo di grande valore, a conferma del modello partecipativo, che segna un grande passo evolutivo nel sistema delle relazioni interne aziendali.

 

Ai dati trasmessi di ogni Rapporto sul personale, è previsto che la/il Consigliera/e regionale di parità vi acceda mediante un canale telematico dedicato al fine di elaborare analisi d’insieme, relative al proprio contesto di riferimento, per poi trasmetterle alle istituzioni competenti (sia del territorio, di diretta appartenenza, che a livello nazionale).  La mancata trasmissione da parte di ogni singola azienda, tra quelle rientranti nell’obbligo sul fronte dimensionale – inizialmente recuperabile entro sessanta giorni dal sollecito da parte dell’Ispettorato del Lavoro, sul livello inter-regionale (a seguito di segnalazione proveniente dalle Rappresentanze sindacali aziendali o dalla/dal Consigliera/e regionale di parità) – determina l’applicazione di specifiche sanzioni, fino alla sospensione dei benefici contributivi, quando goduti dall’azienda, in caso di non ottemperanza dell’obbligo per oltre 12 mesi.

All’Ispettorato Nazionale del Lavoro spetta la verifica della rispondenza dei dati contenuti nel Rapporto sul personale, trasmesso dalle aziende, alla situazione reale che, in caso porti ad evidenziare dei dati non veritieri o incompleti, è previsto scattino sanzioni amministrative (da 1000 euro a 5000 euro). Questo sostanzialmente, ad oggi, quanto stabilito dal novellato art.46 del Codice delle Pari Opportunità (dlgs 198 del 2006).

 

A suo parere il Rapporto sulla situazione del personale è solo un mero obbligo documentale o può essere un adempimento importante e utile per le aziende?

 

C.F.: Se quanto previsto dalle disposizioni normative dovesse essere considerato quale mero adempimento burocratico imposto dalle autorità competenti, pur rilevando un’attenzione non scontata e di grande rilievo, come detto, ad un procedimento che pone il modello partecipativo a cardine centrale, il tutto si ridurrebbe ad un onere, organizzativo, gestionale, economico, per una grande platea di aziende; tenuto conto che il nostro sistema produttivo, al di là di una rilevante presenza di micro-piccole imprese, trova una significativa consistenza anche nelle medio-grandi realtà lavorative, con una presenza diffusa in molteplici settori produttivi.

 

Ma considerato che il Rapporto sulla situazione del personale un “mero obbligo documentale” di certo non è, per comprenderne a pieno la portata di un tale impegno, riconducendolo all’effettivo valore costituito da tale rilevante flusso di dati, quale strumento concreto nell’ambito delle misure di intervento, avviate da tempo, a tutti i livelli a favore, sostegno e promozione del principio della parità di genere, in tutte le sue forme, contesti e attività, è quanto mai necessario evidenziare e valorizzare alcuni elementi fondamentali (ad oggi, seppur lentamente in divenire, un po' più diffusamente ri-conosciuti; ma ancora lontani, purtroppo, dall’essere concretamente e diffusamente agiti). Di certo, però, è innegabile che il Rapporto costituisce un concreto strumento di auto-analisi da parte delle aziende e misurazione del grado di maturità di ciascuna sul fronte della parità di genere e pari opportunità.

 

Parità di genere: la strategia nazionale e la legge 162/2021

Partendo da un quadro europeo, quali sono gli aspetti più rilevanti della Strategia nazionale per la Parità di Genere 2021-2026?

 

C.F.: I temi della parità di genere e delle pari opportunità non sono nuovi sul fronte regolativo ad ogni livello. Limitandosi a ricordare  i 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile ( Sustainable Development Goals - SDGs) nell’ambito dell’Agenda 2030 dell’ONU, quale programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità, dal 2015 i quasi duecento Paesi membri, sottoscrittori del piano di sviluppo, si sono impegnati nei prospettati quindici anni in corso, al pieno raggiungimento di tutti i Goals, avendone riconosciuto il valore strategico per condurre il mondo (in un prossimo imminente futuro, considerato il ritardo già accumulato) sulla strada della sostenibilità. Obiettivo n.5: parità di genere.

 

Anche tra i Millennium Development Goals (MDGs), proposti sempre dalle Nazione Unite nei termini di impegno comune globale che si rivolge a tutti i Paesi, in un quadro di sviluppo che non intende lasciare nessuno indietro, nel rispetto dei tempi di maturazione sociale di ogni comunità, all’insegna del “to promote gender equality”, l’appello contenuto nel “Terzo Goals” è di garantire le pari opportunità ad ogni individuo, abbattendo le barriere che, direttamente o indirettamente, producono disparità, diseguaglianze, discriminazioni, o già solo ostacoli ad un potenziale percorso di realizzazione della propria persona: nell’ottica di una valorizzazione delle tipicità di ciascuno, andando anche solo oltre il mero criterio delle differenze biologiche tra uomo e donna, considerando l’appartenenza ad un genere, sia esso femminile, come anche maschile.

 

Si devono però all’Unione Europea le parole più concrete ed esplicite in tema di promozione della parità di genere, quale fattore strategico determinante (e irrinunciabile) per un futuro globale di sviluppo, nell’ottica di una sostenibilità giusta, solidale, equa. Definendo precisi obiettivi politici e azioni chiave volte alla realizzazione di misure specifiche indirizzate al conseguire concrete pari opportunità (nell’arco ipotizzato di quinquennio – oggi in corso), ad incipit del documento dal titolo già esplicitamente indicativo “Un'Unione dell'uguaglianza: la strategia per la parità di genere 2020-2025”, gli estensori comunitari hanno ritenuto di precisare, tra le priorità, che: «La parità di genere è un valore cardine dell'UE, un diritto fondamentale e un principio chiave del pilastro europeo dei diritti sociali. Rispecchia la nostra identità ed è inoltre una condizione essenziale per un'economia europea innovativa, competitiva e prospera (…). La parità di genere fa aumentare i posti di lavoro e la produttività: è quindi un potenziale che va sfruttato man mano che si procede verso le transizioni verde e digitale e si fronteggiano le sfide demografiche.».

 

Se però, le spinte dal fronte internazionale e comunitario hanno definito il terreno sul quale costruire azioni concrete di impegno e piani di intervento, è dal percorso di “portata a terra”, attuato nel luglio 2021, tramite il Dipartimento per le Pari Opportunità (reso Ministero, nell’attuale Governo), attraverso il varo della Strategia nazionale per la Parità di Genere 2021-2025, che una svolta significativa si è registrata nel nostro Paese. Avviatasi difatti una produzione legislativa coerente a seguire, non solo volta a definire precise politiche di direzione, ma soprattutto tesa ad indicare misure specifiche orientate a conseguire risultati tangibili di una parità di genere effettiva e agita, si è andati favorendo una sempre maggiore trasversalità di approccio, predisponendo interventi mirati per realizzare – usando le parole della Strategia – «l’integrazione della prospettiva di genere in tutti gli ambiti della vita sociale, economica e politica e per la diffusione di strumenti idonei a consentire di valutare l’impatto delle politiche pubbliche in chiave di genere.». 

Una Strategia nazionale, quale concreto programma di sistema che, dobbiamo dire, in tema di salute e sicurezza sul lavoro si attende da decenni.

 

Cosa indica la legge 162 del 2021 e quanto è stata importante la sua entrata in vigore?

 

C.F.: Se la Strategia nazionale, nel quadro degli impegni e dei risultati attesi delineati sul livello internazionale e comunitario, ha definito il campo di azione, gli strumenti, le misure e i target, declinati e mirati per il contesto italiano, è agli interventi legislativi e regolativi che ne sono derivati che va posta una particolare attenzione, considerata la portata, in termini di impatto positivo, che determineranno sul fronte di un miglioramento del livello di pari opportunità e parità di genere, guardando soprattutto al campo lavorativo.

 

Pronti per il recepimento della recente rilevante Direttiva UE 2023/970 in tema di parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, obiettivo che evoca le parole sagge e profetiche dei nostri Padri costituenti ai quali si deve, nel primo capoverso dell’art.37 Cost., il richiamo proprio al binomio “parità di lavoro, parità di retribuzione”, è quanto introdotto con l’entrata in vigore della L.162 del 2021 che occorre porre un specifica attenzione, ancor più alla luce dell’imminente scadenza del 30 aprile prossimo.

La Legge 162/2021, in particolare, intervenendo sull’ampliamento della già consistente definizione di «discriminazione diretta» e «indiretta» (ex art.25, CPO), sull’allargamento della platea di aziende chiamate a redigere il “Rapporto sulla situazione del personale” (ex art.46, CPO) e sull’introduzione della “Certificazione della parità di genere” (ex art.46-bis, CPO) – in piena linea di coerenza con la promozione di politiche volte ad un totale raggiungimento di una parità di genere e opportunità, puntando alla concretezza delle disposizioni previste – ha portato ad un ulteriore utile spinta per un significativo passo avanti nel percorso in atto.

 

Parità di genere: gli stereotipi, il rapporto e la sicurezza e salute sul lavoro

Qual è a suo parere oggi la situazione nel mondo del lavoro e nelle aziende relativamente alle discriminazioni e agli stereotipi di genere? Si possono rilevare anche effetti su aspetti relativi alle tutele della salute e sicurezza?

 

C.F.: Una risposta a queste domande ci perviene proprio dalla Strategia EU. Guardando difatti al problema degli  stereotipi di genere, quale condizione emblematica di forme di discriminazione indiretta, è alla Strategia comunitaria che si deve l’intento di aver fatto riemergere il problema, avendovi dedicato uno specifico paragrafo, evidenziando opportunamente anche i connessi pericoli (già in essere – ricordiamo il caso di Amazon per l’aver adottato un sistema di recruiting, affidato all’intelligenza artificiale (IA), risultato discriminante), che si intravedono in un futuro quanto mai prossimo.

Se, difatti, i sistemi più avanzati oggi di IA operano secondo un processo di machine learning e deep learnig, dove sostanzialmente la macchina apprende da una propria elaborazione e sviluppo continui di dati (indipendentemente dal programmatore), ma che necessariamente ab origine la raccolta avviene da fonti di informazione esistenti, quando in esse vi sono consolidati stereotipi e pregiudizi di genere, il ritorno che si avrà, pur rielaborato, sarà sempre confermativo, se non rafforzativo, di tali forme di discriminazione, ancor più di difficile tracciamento e contrasto considerato la difficile (se non impossibile) identificazione della responsabilità di un tale processo “distorto”, che si auto-alimenta.

 

Ponendo, difatti, a confronto anche solo il dato dei laureati in Italia che vede il 59% essere donna (il 54% in EU) e l’11% ricoprire un ruolo di professore ordinario, di vertice aziendale o alta carica pubblica, fa comprendere come gli stereotipi di genere siano più consolidati di quanto se ne abbia una piena consapevolezza, pur alimentandoli spesso con un assecondarne silenzioso il reiterarsi, nella società e nel lavoro.

 

Le misure trasversali indicate dalla Strategia nazionale, partendo proprio dalla promozione di azioni rivolte all’evidenziare ambiti nei quali è tangibile il ritardo nelle pari opportunità, nell’indicare puntualmente i percorsi concreti da attuare, offrono un prezioso (seppur mortificante) quadro della miriade di aspetti sui quali, oltre all’evidente urgenza di recuperare terreno per giungere ad una minima soglia di equità, nei termini di opportunità e diritti, in ottica di generi”, manca sostanzialmente una diffusa consapevolezza di una tale consolidata condizione. Non avulsa dalla quale, orientando lo sguardo su aspetti più propri alle tutele della salute e sicurezza sul lavoro (di certo rientrando, al di là della specificità, nell’agire aziendale «di natura organizzativa», ambito come visto espressamente individuato come passibile di discriminazioni dirette e indirette – art.25, novellato dalla L.162/2021), si possono evidenziare ritardi nella parità di genere, causa di reiterati disagi/danni da lavoro, a partire dall’ancora consolidato diffuso utilizzo di Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) unisex (negazione tangibile di una prevenzione che tiene conto del genere e delle tipicità – senza trascurare gli illeciti relativi); indumenti da lavoro dalla foggia e taglia unica, attrezzature e strumentazioni progettati con una totale assenza di ergonomia di genere, arrivando alla grande assente medicina del lavoro di genere (indicata tra gli interventi trasversali nell’ambito della Strategia comunitaria, come anche nella Strategia nazionale per la parità di genere).

 

Ulteriore connessione da portare in evidenza, sempre nell’ambito dei riflessi che le discriminazioni dirette e indirette, in ottica di gener(i), di «natura organizzativa o incidenti sull’orario di lavoro», possono determinare, è il deteriorarsi del clima lavorativo e, pertanto, le relazioni all’interno/tra gruppi omogenei di lavoratori/trici (GOL), favorendo condizioni di stress lavoro-correlato diffuso, che non potranno essere ignorate, non valutate e oggetto di interventi di rimozione delle cause e piani mirati di miglioramento.

 

Come non citare, in questo senso, quanto il profetico art. 2087 cod.civ. dal 1942 recita, richiamando il datore di lavoro a tutelare «l’integrità fisica e la personalità dei prestatori di lavoro», pur riconoscendogli la piena autonomia nello stabilire le misure da mettere in campo, ritenute necessarie e adeguate sulla base del proprio modello gestionale, i propri obiettivi produttivi, la mission perseguita. Senza sottovalutare, secondo una lettura più “cinicamente” economica, i costi determinati dalle assenze per motivi di salute (quando non anche per infortunio o malattia professionale), ritardi nella produzione e una maggiore vulnerabilità diffusa per mancanza di fluidità nel sistema delle relazioni e ridotto senso di appartenenza, la maggior esposizione a rischio, riconducibile anche alla scarsa concentrazione sullo svolgimento della propria/altrui mansione, le frequenti rotazioni del personale, per dimissioni o richieste di spostamento/trasferimento. Per tutto quanto evidenziato si comprendono, quindi, le ragioni per le quali è affermazione incontrovertibile e suffragata da studi e letteratura economica consolidata che perseguire obiettivi di parità di genere costituisca un concreto motore di crescita economica e di sviluppo per il complessivo sistema produttivo di un Paese, e da questo per la singola impresa che quando più inclusiva e anche più competitiva.

 

In definitiva ritiene che questa futura scadenza del 30 aprile possa essere utile per migliorare l’attenzione alle differenze e il miglioramento della parità di genere?

 

C.F.: L’introduzione dell’obbligo della redazione e trasmissione del “Rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile” da parte dei datori di lavoro, pubblici e privati, introdotta ormai da tempo, cadenzata su di un periodo di attività della durata di un biennio, ha avuto indubbiamente il pregio, conservandone e potenziandone il valore, di portare alla luce quanto di immerso nel buio si verificava nelle diverse realtà lavorative; non necessariamente svelando condizioni di illiceità, discriminazioni perpetuate volontariamente, negazione dei diritti fondamentali e delle basilari regole e tutele contrattuali, ma chiamando a consapevolezza di quanto in essere, costringendo i datori di lavoro a rendere conto, in forma di dati relativi a voci specifiche di analisi del contesto, della situazione e condizione del rapporto di lavoro del proprio personale, frutto delle politiche e modalità organizzative “libere” adottate dal vertice aziendale. 

 

Operando sempre nel quadro delineato dai Padri costituenti che già nel 1948 indicavano con estrema puntualità e trasparenza i termini di un necessario balance, tra la piena libertà dell’imprenditore di avviare e condurre la propria attività economica privata e i vincoli del non poterla svolgere «in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» (art.41, testo integrato di recente, a rafforzamento di tale concetto), l’obbligo della redazione del Rapporto sul personale si colloca in linea di totale coerenza.

Da questo, anche la necessaria trasmissione alle Rappresentanze sindacali aziendali va a confermare quella, mi si consenta l’espressione, “libertà condizionata” che, anziché leggersi come una riduzione di autonomia, rafforza la funzione e ruolo sociale che le aziende hanno nel sistema Paese, integrando gli aspetti (sicuramente rilevanti) di natura economica e produttiva, innegabilmente da perseguire, sia da parte del sistema privato che pubblico.

Ampliate le informazioni richieste, in termini soprattutto di dati numerici, l’allagamento del campo di applicazione dell’obbligo di trasmissione alle aziende che «occupano oltre cinquanta dipendenti» (dai «cento dipendenti» precedentemente previsto), conferma ancor più (se mai vi fossero stato dubbi), l’utilità della redazione del Rapporto, non tanto (o non solo) per far emergere gli illeciti sul fronte delle pari opportunità e in merito ai diritti di genere, in ambito lavorativo, a partire dal fronte del rispetto delle tutele fondamentali contrattuali, ma per promuovere (seppur in modo coercitivo, metodo necessario ad oggi per colmare i ritardi e contrastare gli evidenti ostacoli ancora esistenti) l’auto-analisi da parte delle aziende su tali aspetti.

 

Nel percorso di maturazione che lo strumento del Rapporto sul personale si presume abbia avviato, considerati gli anni di vigenza dell’obbligo (al di là dell’allargamento della platea del quale si vedrà un nuovo  riscontro dal prossimo 30 aprile, quale scadenza del Rapporto obbligatorio per le aziende oltre i cinquanta lavoratori, dopo il 2022), di certo anche un maggior favore non potrà che derivarne verso il praticare il modello partecipativo, attendendosi che questo avverrà anche nelle medie imprese, oggi appunto chiamate a tale processo di confronto con le proprie Rappresentanze sindacali sul tema delle pari opportunità. Perché se il Rapporto può essere motivo di rilievo da parte del sindacato aziendale (come anche delle/dei consigliere/i di parità regionali) sull’eventuale mancanza di veridicità o completezza dei dati trasmessi, trasformandosi in segnalazione agli organi di vigilanza, principalmente deve costituire base utile per confronti costruttivi nell’ambito delle relazioni aziendali e per promuovere eventuali percorsi contrattuali e negoziali aziendali/territoriali.

 

Guardando, quindi, allo strumento del Rapporto, quali riflessioni a Suo parere si possono avanzare nei riguardi della salute e sicurezza sul lavoro?

 

C.F.:

Se il percorso verso concrete, agite e diffuse condizioni di parità di genere e pari opportunità, guardando al mondo del lavoro, prevede ancora molte tappe di avanzamento e di sviluppo, di certo l’obbligo della redazione e trasmissione del Rapporto sul personale - compresa indubbiamente la comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali -, ha favorito significativamente l’aumento in termini di consapevolezza, auto-analisi e spinta verso percorsi di maturità da parte delle realtà aziendali.

 

In questo senso, ritengo si potrebbe auspicare di poter trasmigrare tale modalità anche sui temi della salute e sicurezza sul lavoro, arrivando a prevedere una trasmissione obbligatoria, sempre su piattaforma digitale del ministero del lavoro e delle politiche sociali, del documento di valutazione dei rischi delle imprese. Confermando la consegna di questo alle rappresentanze sindacali, come già ad oggi previsto nei riguardi degli RLS/RLST, si vincolerebbero le aziende ad un processo di maggior attenzione e puntualità nel redigerlo, all’inizio già solo temendo controlli e relative sanzioni da parte degli organi di controllo delle stesse autorità destinatarie - ma non meno derivanti dalle segnalazioni/denunce da parte delle rappresentanze sindacali, chiamate ufficialmente (anche) a tale funzione, contando sull’essere più ascoltate che ad oggi -, ma nel tempo, favorendo un  processo di consapevolezza del valore di certe tutele e, al contempo, delle mancanze evidenti di queste, nelle realtà lavorative.

 

A fronte di un ridotto numero di organi di vigilanza e di un numero crescente di micro/piccole imprese, tornare (in quanto già adottato e poi smantellato) ad un sistema di trasmissione del documento di valutazione dei rischi potrebbe attualmente costituire una possibilità ulteriore di presidio “indiretto” sulle aziende, facendo venire alla luce (seppur nella sola conoscenza degli organi preposti e delle rappresentanze sindacali interne) situazioni non sempre pienamente corrette, ma sicuramente più facilmente intercettabili e supportabili con interventi prevenzionali di ripristino condizioni adeguate, al posto di giungere all’infliggere una mera sanzione. Ma soprattutto, prima di un eventuale verificarsi di un evento di danno nei riguardi degli occupati.

 

Prevedendo poi l’inserimento in una maschera prefigurata anche per la valutazione dello stress lavoro-correlato, non solo si abbatterebbe il numero delle aziende che ancora non l’hanno effettuata, o aggiornata, ma si indicherebbe in modo vincolato i dati da fornire e le procedure da rispettare per ottenerli.

 

Lasciando intanto il campo delle ipotesi, sicuramente occorre predisporsi in vista della scadenza del 30 aprile, non solo per verificare le mancate trasmissioni dei Rapporti sul personale, ma per analizzare i dati che affluiranno e che daranno un quadro reale dello stato di maturità diffuso del nostro sistema produttivo sui temi della parità di genere e delle pari opportunità.

 

 

Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto

 

 

Scarica la normativa citata nell'articolo:

LEGGE 5 novembre 2021, n. 162 - Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n.198, e altre disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo.



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Rispondi Autore: Silvia Rossi - likes: 0
08/03/2024 (07:46:43)
Complimenti a Cinzia Frascheri e a Punto Sicuro, ottima intervista. W la parità di genere e auguri a tutte le donne.

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