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La dimensione organizzativa nella normativa e nella tutela penale

La dimensione organizzativa nella normativa e nella tutela penale
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Datore di lavoro

27/04/2016

Un intervento si sofferma sulle difficoltà dimostrate dal sistema penale a confrontarsi con l’orizzonte organizzativo tratteggiato dal Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Urbino, 27 Apr –  Se l’organizzazione aziendale è uno degli elementi centrali di cui ha tenuto conto il legislatore legiferando in materia di prevenzione, alla “sua adeguatezza rispetto alle ragioni di un lavoro sicuro” è dedicato “l’impianto della regolamentazione generale di settore” ( D.Lgs. 81/2008).
Ma non altrettanto può dirsi “per quanto riguarda l’assetto complessivo della tutela penale. Prevalentemente concentrata, soprattutto nel dispiegarsi della sua prassi operativa, sulla valutazione di condotte singolarmente considerate, in modo avulso dalla dinamica organizzativa in cui sono tipicamente incluse nella loro specificità storica”.

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A raccontare in questi termini la distanza tra l’importanza della dimensione organizzativa nella normativa e nella tutela penale, è un intervento da parte di Gabriele Marra (Professore associato di Diritto penale nell’ Università di Urbino Carlo Bo) al convegno di studi su «La sicurezza sul lavoro nella galassia delle società di capitali» che si è tenuto nell’Università di Urbino il 14 novembre 2014. Un intervento raccolto, insieme agli altri atti del convegno, nel Working Paper, pubblicato da Olympus nel mese di dicembre 2015, dal titolo “ La sicurezza sul lavoro nella galassia delle società di capitali - Atti del Convegno di Studi - Urbino - 14 novembre 2014” e a cura di Piera Campanella e Paolo Pascucci (professori ordinari di Diritto del lavoro nell’Università di Urbino Carlo Bo).
 
Nell’intervento “Società per azioni e sicurezza sul lavoro. Osservazioni penalistiche”, il Prof. Marra ricorda che “la centralità del momento organizzativo che oggi caratterizza la disciplina prevenzionistica si pone all’esito di un disteso processo di riforma” in cui il passo più deciso è stato compiuto proprio con il D.Lgs. 81/2008: il cosiddetto ‘testo unico’ ha posto il momento organizzativo al “centro della sua attenzione”.
In questo senso il dovere precauzionale viene così “internalizzato anche attraverso la previsione di un costante ‘dialogo’ tra potestà disciplinare ed autonomia privata, finendo per essere metabolizzato all’interno dell’organizzazione decisionale che presiede alla gestione dell’impresa ‘come un tutto’”. E si può dire che con questa centralità le ragioni di un lavoro sicuro vengono “affidate alla progettazione ‘originaria’ del lavoro stesso e, più in generale, alla governance gestionale dell’insieme dei rapporti che qualificano l’impresa come ente funzionale e che, per loro natura, condizionano la sicurezza dei lavoratori”.
 
Tuttavia – continua il relatore – “nella prospettiva del penalista questo passaggio è densissimo di implicazioni”.
 
Ad esempio questo passaggio “sembra chiamare in causa, oltre agli addetti allo specifico subsettore lavoristico dei preposti alla sicurezza (datore di lavoro, dirigenti, preposti e lavoratori), anche l’intero organigramma delle istanze societarie ove risiedono – a norma della pertinente disciplina codicistica – i poteri generali di decisione sull’organizzazione: con intuibili complicazioni sul piano della corretta allocazione delle responsabilità in caso di eventi infortunistici”. E si creano problemi connessi anche alla necessità di “mantenere i processi di imputazione dell’evento lesivo entro l’alveo personalistico fissato dall’art. 27, comma 1 Cost.” (la responsabilità penale è personale).
 
Rimandando il lettore al dettaglio delle argomentazioni e osservazioni proposte dal relatore, l’intervento ribadisce che se è indubbio che la vigente disciplina prevenzionistica valorizza il momento organizzativo, “è altrettanto certo che lo stesso non ha eguale rilievo sul piano penalistico”.
 
È infatti solo di recente che “nei dibattiti sul tema della responsabilità penale per infortuni sul lavoro, ha fatto la sua apparizione il riferimento alla ‘curvatura organizzativa’ delle regole cautelari. Altrettanto giovane è l’esperienza che la prassi applicativa dimostra nel maneggiare la nozione di ripartizione tra le sfere di rischio quale criterio qualificante la gestione interpretativa dei processi di imputazione attinenti ad eventi infortunistici. Recente, ma di certo significativa”.
 
Tuttavia spesso si è di fronte ad aperture che, “sebbene significative in termini dogmatici e politico-criminali, si dimostrano prive di continuità e di equilibrata distribuzione all’interno dell’esperienza giudiziaria: data l’evidente asimmetria che ne caratterizza la presenza nella giurisprudenza di merito rispetto a quella di legittimità” (ricordiamo che la giurisprudenza di legittimità è relativa alle pronunce della Corte di Cassazione).
E dunque “l’evocazione di un’avvenuta ‘curvatura organizzativa’ dell’accertamento della colpa sembra ancora essere un’aspirazione più che una fedele descrizione del diritto vivente”.
 
E le difficoltà dimostrate dal sistema penale a confrontarsi con l’orizzonte organizzativo tratteggiato dalla disciplina di settore della sicurezza sul lavoro, “sembrano essere figlie della progressiva ed inarrestabile normativizzazione di cui è ormai da tempo oggetto la colpa.  Schema che finisce per cristallizzare il giudizio di responsabilità sulla obbiettiva discrasia tra la condotta tenuta dall’agente concreto che agisce tra i flutti della quotidianità e quella invece prescritta dal modello ideale di agente alle cui a-storiche conoscenze si attinge per verificare la prevedibilità ed evitabilità dell’evento da parte del primo. Lettura che porta così a marginalizzare il rilievo che nella conformazione della condotta individuale può aver avuto l’esistenza ‘a monte’ di una lacuna nell’effettività prevenzionistica dell’organizzazione aziendale, non trattandosi, per così dire, della causa prossima dell’evento”.
E tutto ciò – continua il Prof. Marra - ha chiaramente effetti sul “piano della conformazione dell’accertamento processuale”, la cui prassi è da sempre “polarizzata su ricerche limitate alla ristretta cerchia dei componenti dell’organigramma aziendale specificatamente addetto alla sicurezza del lavoro”. Verifiche che spesso si limitano a “ripercorrere a ritroso, a partire dalla caratterizzazione del singolo fatto lesivo, la settoriale catena di soggetti specificamente obbligati dalla normativa prevenzionistica, fino ad arrivare, ove necessario, al suo vertice. Senza necessità, però, di procedere oltre, allargando orizzontalmente la ricerca a quanti condividono con la figura datoriale il potere di decidere in merito alle condizioni strutturali dell’organizzazione di un lavoro sicuro o a gestire fattori di sicuro rilievo ai fini di garantire un effettiva minimizzazione del rischio infortunistico”.
 
Tuttavia la rilevazione delle difficoltà che il sistema penale incontra nel “metabolizzare al suo interno il momento organizzativo e l’auspicio che a ciò possa porsi presto rimedio, trattandosi di passaggio necessario alla attuazione di una razionale politica di prevenzione dell’insicurezza nei luoghi di lavoro, non deve far velo ai rischi che l’intera operazione comporta”. Ad esempio con riferimento ai “pericoli innescati dalla deriva post-personalistica che l’intera operazione può prestarsi a favorire”.
In ogni caso “l’accennato rischio di de-personalizzazione innescato da disimpegnati esercizi interpretativi del quadro legale non è però privo di antidoti”. E un antidoto si ricava dalla “distesa valorizzazione della ‘curvatura organizzativa’ qualificante tanto la regolazione di settore, quanto la disciplina civilistica in tema di doveri e responsabilità degli amministratori non operativi”.
 
In definitiva la “progressiva maturazione della consapevolezza circa la centralità che il momento organizzativo riveste in ogni serio tentativo di cauterizzare la piaga degli eventi infortunistici”, appare comunque destinata ad avere “riflessi importanti anche sul piano penalistico”. E tra i tanti spiccano gli “interrogativi riguardanti la responsabilità degli organi apicali delle società per azioni”.
 
Tuttavia – conclude il relatore - occorre “avere piena consapevolezza, fin da ora, che su ogni futuro tentativo di ascrivere la responsabilità per eventi anti-infortunistici all’interno delle sale in cui siedono i consigli di amministrazione dovrà essere ben stampigliato un cartello con su scritto: ‘Handle with Care’”.
  
 
 
Olympus - Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro, “ La sicurezza sul lavoro nella galassia delle società di capitali - Atti del Convegno di Studi - Urbino - 14 novembre 2014”, a cura di Piera Campanella e Paolo Pascucci - professori ordinari di Diritto del lavoro nell’Università di Urbino Carlo Bo - Working Paper di Olympus 44/2015 inserito nel sito di Olympus il 31 dicembre 2015 (formato PDF, 2.56 MB).
 
 
Tiziano Menduto
 
 
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