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Contratti di noleggio: l’obbligo di manutenzione dell’attrezzatura
Brescia, 01 Mar - La disciplina antinfortunistica vigente, attualmente contenuta nel c.d. “Testo Unico della sicurezza” del 2008, prevede un ampio catalogo di regole cautelari – penalmente sanzionate, in caso di violazione - rientranti nel novero dei cosiddetti “reati (nello specifico, contravvenzioni) propri”.
Con tale categoria, si intendono le fattispecie penali il cui perfezionamento sia condizionato, oltre che dalla verifica degli altri elementi tipici, anche dalla sussistenza di una specifica qualifica soggettiva in capo a chi sia individuato quale “contravventore”.
Il diritto penale del lavoro, in quanto destinato alla tutela di un insieme qualificato di soggetti (ovvero i “lavoratori”, nell’ampia accezione definita dall’art. 2 lett. A del Dlgs 81/08), allo stesso modo, individua, quali potenziali contravventori, un "numerus clausus" di autori.
La ratio di siffatta tecnica legislativa è evidentemente rinvenibile nella necessaria sussistenza di un rapporto qualificato tra debitore e creditore di sicurezza, in base al quale giustificare la punibilità di chi violi la regola cautelare.
È pacifico infatti che, alla stessa stregua del nesso di causalità tra azione od omissione ed evento, anche la sussistenza del dominio soggettivo sul percorso causale dell’evento rappresenta un elemento imprescindibile nel giudizio sulla penale responsabilità dell’autore.
Alla luce di quanto sopra, il legislatore delegato del 2008, ha delineato un sistema cautelare essenzialmente fondato sulla responsabilità del datore di lavoro prevenzionistico (e, si badi bene, non dell’imprenditore o del datore di lavoro inteso in senso civilistico) individuando, in capo al soggetto che rivesta tale qualifica, il destinatario naturale dei precetti ivi contenuti.
Accanto al datore di lavoro, il Testo Unico costituisce ulteriori posizioni di garanzia, a carico di due gruppi soggettivamente eterogenei.
Da un lato, l’organizzazione interna all’azienda o all’unità produttiva, viene garantita dai c.d. “collaboratori” del datore di lavoro, ovvero “dirigenti” e “preposti”.
A monte delle responsabilità dei soggetti endo-aziendali, viene individuato un secondo insieme di autori qualificati, chiamati al rispetto di regole cautelari, altrettanto essenziali, ma necessariamente più circoscritte e specifiche.
Al secondo gruppo, appartengono, tra gli altri, i progettisti, i fabbricanti, i venditori, i noleggiatori, i concedenti in uso e gli installatori di “attrezzature”.
Nuovamente immediata appare l’indagine delle ragioni che giustificano la contemplazione – nel catalogo dei destinatari delle norme di cautela - di soggetti extra aziendali e, quindi, tipicamente estranei al rapporto qualificato con il soggetto titolare del bene giuridico tutelato, ovvero il lavoratore; la ratio appare chiaramente quella di garantire una tutela ancor più pregnante in relazione ad una fonte di rischio – di provenienza esterna all’azienda - derivante dagli strumenti utilizzati dai lavoratori ed affidati dal datore di lavoro.
Rispetto alle responsabilità “generalizzate” previste a carico del datore di lavoro, dei dirigenti e – in misura minore – dei preposti, le regole cautelari prescritte nei confronti degli appartenenti al gruppo extra-aziendale appaiono, a prima vista, maggiormente limitate e necessariamente connesse alla verifica del corretto svolgimento della fase, cronologicamente antecedente l’utilizzo dell’attrezzatura, che va dalla progettazione alla installazione dell’attrezzatura nell’ambiente di lavoro, ovvero ad uno stadio che sfugge necessariamente alla sfera di controllo del datore di lavoro.
Pur dedicando a progettisti ed installatori autonome disposizioni (rispettivamente l’art. 22 e 24 del Dlgs 81/08), il legislatore delegato, con una tecnica simile a quella utilizzata per la regolamentazione dei doveri datoriali e dirigenziali (miscelati all’interno di un unico precetto, l’art. 18), ha scelto di accorpare le regole cautelari previste a carico di venditori e fornitori, generando, nell’applicazione giurisprudenziale, pericolose duplicazioni di responsabilità, il cui effetto distorsivo è già stato segnalato dalla dottrina (A. Oddo, in ISL n. 10/2012 p. 511).
Nel momento in cui l’attrezzatura, alla conclusione di un contratto di compravendita o di noleggio, rientra all’interno della disponibilità e nella sfera di controllo del datore di lavoro “utilizzatore”, i doveri inerenti il suo utilizzo, ricadono in via esclusiva nella responsabilità del gruppo endo-aziendale, salvo, ovviamente, una corresponsabilità colposa, in ipotesi di evento che si verifichi per difetti costruttivi e/o progettuali.
Sotto questo profilo è interessante analizzare il punto di vista della Suprema Corte nell’escludere la responsabilità del noleggiatore in caso di infortunio connesso all’utilizzo della macchina noleggiata. Afferma la SC: “In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il soggetto titolare dell'impresa che noleggia macchinari (eventualmente mettendo a disposizione anche un soggetto addetto al loro utilizzo) non ha l'obbligo di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione che l'appaltatore di lavori deve adottare in favore dei lavoratori alle sue dipendenze, e pertanto non assume, nei confronti di questi ultimi, una posizione di garanzia in relazione ai rischi specifici connessi all'ambiente di lavoro nel quale essi sono chiamati ad operare, non esercitando alcuna attività produttiva” Sent. Cass. 5 marzo 2009 n. 23604”.
Rispetto ai casi sopra delineati, ovvero di responsabilità del gruppo extra-aziendale per tutto ciò che avviene prima e responsabilità endo-aziendale per la fase post installazione, può essere interessante domandarsi come si atteggi il vaglio della colpa rispetto agli oneri manutentivi dell’attrezzatura noleggiata, alla luce della diffusa prassi, consistente nell’affidamento datoriale di tali compiti allo stesso noleggiatore.
Una prima osservazione sul tema nasce dal rilievo che quella scaturente dall’evento lesivo connesso alla colpa prevenzionistica è una responsabilità di tipo penale che, in quanto tale, non è suscettibile di traslazione negoziale per la mera volontà delle parti coinvolte. La matrice pubblicistica della tutela penale, in altre parole, non ammette uno sviamento di origine privata. Di qui, il c.d. principio della “riserva di legge” fatto proprio dal codice penale sostanziale che stabilisce che nessuno possa essere punito “per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge”.
Occorre, in seconda battuta, sondare l’applicabilità del c.d. “principio dell’affidamento” il cui funzionamento viene talvolta richiamato allorquando si debba valutare della responsabilità di più soggetti egualmente chiamati a rispondere della verificazione di un unico evento lesivo (caso tipico quello dell’equipe medica che effettui un intervento chirurgico con esito infausto). V’è da osservare che, contrariamente a quanto avviene nelle ipotesi in cui i soggetti che partecipano attivamente (od omissivamente) al decorso causale dell’evento sono - ognuno per sé - titolari di autonome posizioni di garanzia, per quanto attiene al caso sottoposto alla presente analisi ciò non si verifica.
Alla tutela del lavoratore attraverso l’attivazione del processo manutentivo dell’attrezzatura affidatagli è chiamato - in via esclusiva - il datore di lavoro utilizzatore (art. 71 TU), mentre, come si è visto, la responsabilità del gruppo extra-aziendale è limitata a condotte puntuali e tecniche, esplicitamente elencate dal legislatore. Di conseguenza, pare evidente che l’obbligato in via principale non possa efficacemente richiamare l’applicazione del principio di affidamento, allorquando il soggetto “destinatario” non sia, anch’esso, titolare di un’autonoma posizione di garanzia nei confronti dei titolari del bene giuridico.
Alla luce di quanto sopra, pare potersi affermare che l’essersi affidato ad altro soggetto per la realizzazione di doveri legislativamente connessi alla sua posizione di tutela, non possa esimere l’affidante da un giudizio di penale responsabilità nel caso in cui l’attività doverosa sia stata carente o, peggio, omessa da parte dell’affidatario.
Vi è, infine, da affrontare un ultimo tema, ovvero quello connesso alla individuazione - o meno – di una autonoma responsabilità in capo al soggetto che si impegni contrattualmente ad effettuare l’attività manutentiva (datoriale), in luogo del datore di lavoro, e la sua fonte.
Pur in assenza della previsione di una colpa specifica tra le disposizioni del Testo Unico, non può dubitarsi che la condotta negligente del manutentore possa essere inquadrata nell'ambito di un'ipotesi di colpa generica penalmente rilevante, in caso di verificazione di un evento lesivo, ad essa casualmente connesso, ai sensi dell'art. 43 c.p.
L'inquadrabilitá della condotta omissiva negligente del manutentore nell'alveo della colpa generica e non specifica, a prescindere dagli aspetti ermeneutici, comporta conseguenze pratiche di rilevanza di non poco conto. In primo luogo, l'inapplicabilità del regime sanzionatorio aggravato, di cui all'art. 590 comma 3 c.p.; in secondo luogo, la sottoposizione dell'esercizio dell'azione penale alla condizione di procedibilità (orientamento peraltro sposato da una certa giurisprudenza in tema di responsabilità del rspp).
Francesco Piccaglia De Eccher
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Rispondi Autore: Luca R - likes: 0 | 01/03/2013 (10:11:49) |
Mi pare che vi sia uno strabismo pericolosissimo nei principi del diritto che man mano vanno ad affermarsi, da una parte il principio di effettività (sacrosanto) e dall'altra queste disquisizioni di ermeneutica giuridica volte solo all'estetica dimenticando totalmente il fine di una norma giuridica. Se l'individuazione di una posizione di garanzia deve avere come fine la tutela di uno o più soggetti che senso ha addebitare la posizione di garanzia al soggetto che ha minore possibilità effettiva di garantire tale tutela? Nel caso specifico, se le operazioni di manutenzione vengono affidate a organizzazione che tecnicamente è competente (spesso proprio per mancanza di competenza interna, ma anche per mancanza di risorse interne), perché poi non dovrebbe rispondere della corretta effettuazione? Perché ad incarico specifico ricevuto non deve corrispondere una colpa specifica per la mancata/scorretta esecuzione dell'incarico? |