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Attori della sicurezza o spettatori del Safety Theatre?

Attori della sicurezza o spettatori del Safety Theatre?

Autore: Andrea Cirincione

Categoria: Cultura della sicurezza

23/04/2025

Oggigiorno in azienda si parla di sicurezza con una certa frequenza, superiore alle abitudini del passato. Riunioni, documenti, corsi, firme. Eppure, qualcosa non torna. Ci si protegge davvero… o si mette solo in scena la sicurezza?

Se hai mai compilato una checklist sapendo che nessuno la leggerà, se hai mai firmato un modulo senza crederci, se ti sei sentito spettatore di una recita scritta da altri, allora probabilmente sei stato coinvolto – consapevolmente o no – in quello che Sidney Dekker chiama Safety Theatre.

Un palcoscenico su cui si muovono attori della prevenzione che, per paradosso, non agiscono sulla prevenzione reale.

 

Attori, spettatori e copioni già scritti.

Nel linguaggio della sicurezza, il termine “attore della prevenzione” è usato spesso e a cuor leggero. Ma è un termine pesante.

Attore, dal latino actus, participio di agere, significa “colui che agisce”.
In ambito giuridico è chi agisce per far valere un diritto, contro un convenuto.
In teatro, invece, l’attore recita una parte scritta da altri.

Ed è qui che scatta il cortocircuito.

Domandiamoci: in azienda, chi è l’attore vero della prevenzione? Quello che agisce in modo autentico, mosso da responsabilità e contesto? O quello che recita, convinto che la sua funzione sia solo “mettere in regola” la scena?

Il D.Lgs. 81/08, all’art. 299, ci parla del principio di effettività: chi agisce come un preposto, un dirigente, un responsabile, è responsabile, anche se formalmente non lo è. Ma questo vale anche per la prevenzione vera: sei responsabile della sicurezza che fai, non di quella che dichiari.

 


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Quando la sicurezza si fa per chi controlla, non per chi lavora.

E qui entra in gioco il lato più scomodo. Quello che nessuno ha il coraggio di dire a voce alta nei convegni. Quante attività di sicurezza sono fatte non per proteggere chi lavora, ma per dimostrare qualcosa a chi controlla?

  • Audit interni costruiti per superare l’audit esterno.
  • Corsi sulla sicurezza fatti per fare numero, non cultura.
  • Procedure scritte per “fare vedere” che ci siamo adeguati.
  • Cantieri messi in ordine solo nei giorni di visita dell’ente ispettivo.

È la sicurezza cosmetica, che punta a rassicurare l’ispettore più che a proteggere il lavoratore. E il risultato è un'azienda che, invece di imparare dalla realtà, recita la parte di fantasia.

 

Le maschere del Safety Theatre

Il Safety Theatre è il frutto di un sistema che misura la sicurezza in funzione della conformità, non della realtà operativa.

E così nascono le sue maschere più comuni:

  • La maschera della falsa sicurezza
    • Tutto è a norma, tutto è compilato. Ma se vai in reparto, la realtà è un'altra.
  • La maschera della burocrazia protettiva
    • Scriviamo tutto per tutelare noi, non per aiutare loro.
  • La maschera della formazione “fine a sé stessa”
    • Corsi che parlano di rischio ma non di contesto. Che “insegnano” senza ascoltare.
  • La maschera del preposto silenzioso
    • Figura chiave sulla carta, ma senza strumenti reali per incidere.
  • La maschera dell’operatore rassegnato
    • Che firma per dovere, non per comprensione. Che sa che nulla cambierà, quindi esegue, recita, sopravvive.

 

Il nodo invisibile: sistemi socio-tecnici e Non Technical Skills.

Nel Safety Theatre, a perdere non è solo il tempo. Sono anche le competenze invisibili:

  • La capacità di comunicare un rischio che cambia di turno in turno.
  • L’intelligenza situazionale per leggere i segnali deboli.
  • Il problem-solving collaborativo per agganciare procedure a realtà.

Sono le Non Technical Skills, quelle che si sviluppano sul campo, che non finiscono nei moduli, ma che fanno la differenza tra un sistema resiliente e uno che implode al primo imprevisto.

E sono proprio loro le prime vittime del teatro: se nessuno le riconosce, nessuno le coltiva.

 

Come si esce da questo copione?

Uscire dal Safety Theatre non significa smettere di compilare moduli o abolire le regole. Significa riportare la scena nella realtà, rimettere il lavoro al centro, togliere il trucco alla cultura della sicurezza finta.

Ecco qualche riflessione pratica:

1. Sostanza prima della forma

Chiediti: quello che stiamo facendo… serve a chi lavora o a chi controlla? Se non fa migliorare un comportamento, forse è solo burocrazia.

2. Ascolta chi vive il rischio

Il modulo per le segnalazioni è utile. Ma ancora di più è andare al reparto e dire: “Come pensi che ci si possa fare male qui?” E stare zitto.

3. Allenati alla fiducia

La sicurezza è relazione. Fiducia. Apertura. Nessuno segnala un pericolo se ha paura di essere sanzionato.

4. Impara anche da ciò che funziona

Non solo near miss e incidenti. Studia anche i successi. Scopri cosa fa andare bene le cose, e falla diventare procedura.

5. Dai valore alla saggezza operaia

Quella che non trovi nei manuali, ma nei gesti del veterano. In quella soluzione artigianale che risolve problemi meglio della norma.

 

Da attori a costruttori di senso

Il vero cambiamento parte da qui: smettere di recitare, iniziare a costruire.

Non siamo solo attori della prevenzione perché ce lo dice una norma. Lo siamo quando agiamo davvero, quando trasformiamo le regole in strumenti, non in scudi. La sicurezza non è fatta per gli ispettori. È fatta per chi, ogni giorno, entra in reparto con le mani, la testa e il cuore.

E finché non ci sarà un cambiamento culturale — profondo, umano, autentico — continueremo a recitare. Ma il rischio, si sa, non guarda il copione. Guarda solo quello che fai.

 

E ti chiede: lo stai facendo per davvero?

 

 

dott. Andrea CirincionePsicologo del Lavoro e delle Organizzazioni

Ing. Alessandro BaseggioIngegnere della Sicurezza Civile e Industriale

 

 

 

Link al primo articolo “La Gestione della Variabilità: l'evoluzione della sicurezza sul lavoro”

Link al secondo articolo “Perché abbiamo bisogno delle regole? Il dilemma della guida o gabbia”

Link al terzo articolo “Il subdolo fenomeno della malicious compliance”

 

 




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Pubblica un commento

Rispondi Autore: GIANNI - likes: 0
23/04/2025 (08:10:12)
Meno male che qualcuno ha il coraggio di dire le cose come stanno anche se purtroppo
si sa bene che comunque non si risolve niente ( vedi presente e passato )
Rispondi Autore: michele montresor - likes: 0
23/04/2025 (08:27:16)
Ottimo contributo di Andrea & C. ed essendo "tirato in ballo" (indirettamente -> quale soggetto destinatario della sicurezza altrui), non posso che confermare che, spesso, carte e procedure, insieme a nomine (formali ed informali) sembrano più fatte per "fare bella figura" che non per la volontà di rispondere alle necessità di sicurezza aziendale. Peccato che, dato che tordi non siamo e ciechi nemmeno, la "falsa sicurezza" non ci accontenti, e quindi, tanto sforzo è, alla fine, fatto per nulla. Un vero peccato.
Dal punto di vista giuridico, poi, i castelli di carta crollano impietosamente.
Rispondi Autore: fausto pane - likes: 0
23/04/2025 (10:14:41)
MALICIOUS COMPLIANCE: sarebbe da elevare a reato penale, con esposizione sulla pubblica piazza....
E invece è diventato lo standard, a quanto pare.
Un conto è giudicare la regolarità di una situazione lavorativa: ci va competenza
Un conto è giudicare la completezza di un documento: basta una check list.
Il problema è che un documento perfettamente compilato mai e poi mai renderà più sicura una situazione lavorativa critica. Ma va bene così.
Facciamoci del male, è il caso di dire... E, ripeto, a fare sempre le medesime cose aspettandoci un miglioramento, è da stolti.
Io cerco nuove strade, ma poi gli UPG ed i PM vogliono sempre la frasetta nel DVR che se fosse stata scritta, non si sarebbe verificato l'evento....
Pazienza
Fausto Pane.
Rispondi Autore: Alessandro Delena - likes: 0
23/04/2025 (13:14:28)
Le 5 maschere più comuni indicate nell’articolo a mio parere hanno un elemento che le accomuna, elemento riportato come prima riflessione pratica subito dopo: la forma che prevale sulla sostanza (io la chiamo anche apparenza). Ridare centralità alla sostanza anziché alla forma costituisce elemento essenziale anche per le riflessioni pratiche successive riportate nell’articolo. Ad oggi purtroppo assistiamo sempre più ad una spasmodica ricerca di nuove riproposizioni di vecchi sistemi, senza però mirare alla sostanza delle cose. Mi complimento con gli autori dell’articolo per la nitidezza con cui hanno evidenziato questa grossa problematica del settore e mi associo all’invito di smettere di recitare e iniziare a costruire. In particolare l’invito lo rivolgo a chi in azienda ha potere decisionale e di incidere davvero
Rispondi Autore: Stefano B. - likes: 0
23/04/2025 (14:42:09)
Vero, spesso mi lamento del fatto che gran parte del mio tempo la passo a correre dietro alla firma, alla procedura, al modulino di nomina... ma poi c'è da dire che in caso di verifica, ATS arriva in azienda e va dritta in ufficio, mica in reparto.
Se c'è un infortunio, ATS (o chi al posto loro) ti preparano subito un bel verbalino con elenco infinito di documenti di nomina, consegna, firme, date certe. Roba che solo a raccoglirli tutti ci vanno un paio di giorni.
Solo ieri è stato approvato l'accordo, pieno di formalismi, tantissime ore in aula. 141 pagine di... sicurezza
Rispondi Autore: Riccardo Gianforme - likes: 0
04/05/2025 (21:29:11)
Tutto verissimo, peccato che poi la norma parli di burocrazia, di ore di formazione in aula, di 141 pagine di accordo stato regioni 2025.... Io sono quello che se la ISO mi aiuta a tenermi in "bolla" bene, altrimenti è solo un bollino per auto crogiolarsi oppure fare contenti gli stakeholder. Poi se i miei compiti di RSPP mi portano a dover burocratizzare tutto nel DVR perché poi agli UPG questo piace.... non so che farci. Provo sempre a rendere il tutto utile anche nella pratica, ma con queste norme così lontane dal mondo del lavoro la vedo molto dura. Così è, così dobbiamo agire. E le sentenze della Corte di Cassazione vanno sempre più nel verso della burocrazia: "eh se ci fosse stato scritto nel DVR che.... allora l'infortunio non si sarebbe verificato" Peccato che poi magari l'averlo scritto non basta, ci voleva la sorveglianza, la sorveglianza del preposto non basta perché il suo lavoro non gli permetteva di avere delle mansioni compatibili con la vigilanza tipica di un preposto..... L'Italia è composta nella maggior parte dei casi da PMI con meno di 10 lavoratori (oltre il 95 % delle p.iva). Di cosa stiamo parlando?! La sicurezza sul lavoro deve essere meno burocrata, ma più pratica. Le norme non vanno in questa direzione. Io ne prendo atto e metto le aziende e i lavoratori sul "chivalà".

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