La percezione del rischio ai tempi del Coronavirus
Dopo qualche mese dall’avvio dell’”Emergenza Coronavirus”, tematica ormai all’ordine del giorno sia in ambito lavorativo sia non, ci si pone inevitabilmente domande su stati d’animo, reazioni da parte di aziende e comunità a valle di questo cambiamento radicale imposto per tutta la nazione. Quali sono le emozioni derivanti da questo “cambio di rotta”? Inizialmente si percepivano confusioni, paura, panico derivato da un sistema sanitario sull’orlo del collasso nelle Regioni in cui l’emergenza ha raggiunto il picco più critico.
Quando il virus era ancora lontano, tutti sono stati molto, forse troppo ottimisti ed eccessivamente fiduciosi sul fatto di poter essere o meno contagiati. Studi scientifici hanno constatato che la stragrande maggioranza della popolazione avesse la certezza di non essere neanche lontanamente a rischio contagio; in pratica vi era la convinzione che qualora il virus fosse arrivato in Italia, avrebbe colpito sì, ma senza contagiarci in prima persona. Tutto ciò nonostante l’OMS e gli epidemologi più rinomati al mondo, già prevedevano una pandemia di tipo mondiale che avrebbe infettato fino all’80% della popolazione mondiale (asintomatici compresi). Si può pertanto affermare con discreta certezza che la maggior parte dei cittadini sono stati vittima di una sorta di “ottimismo irrealistico” rispetto alla situazione in atto. In questa come in molte altre situazioni meno gravi e più comuni, tendiamo a percepire che “gli altri”, abbiano un rischio maggiore rispetto a noi, come se in qualche modo fossimo immuni da un qualcosa che statisticamente però, potrebbe accadere a noi con la stessa statistica di accadimento degli altri; questa percezione è ulteriormente accentuata nel caso di soggetti che non sono immuno-depressi e/o non soffrono di malattie gravi.
Nel momento in cui però, il virus è arrivato in Italia, i decessi e i ricoveri in terapia intensiva sono saliti a dismisura, e tutto il mondo a cui eravamo abituati fino al giorno prima è cambiato, la nostra percezione ha subito un rapido “giro di boa”, per tutta la durata della “Fase 1” imposta dal Governo. Ad oggi, ci si potrebbe aspettare, a valle dell’avvio della tanto sofferta fase di ripertura delle varie attività, un atteggiamento più consapevole dei rischi da parte di tutta la popolazione. Come ribadito più e più volte dall’OMS e dai maggiori esperti in materia, soprattutto in questa fase, sono, anzi dovrebbero, essere proprio i comportamenti umani a fare la differenza per riuscire a contenere il contagio; pertanto, sarebbe utile per non dire essenziale, conoscere e analizzare le nostre percezioni della situazione che attualmente ci circonda.
Il problema, molto triste e alquanto preoccupante, è che la percezione del rischio da contagio per la stragrande maggioranza della popolazione, sembra essere arrivata, nonostante l’incubo dei mesi passati, ai minimi storici: è sufficiente uscire di casa per vedere quante persone circolano senza mascherina (o con la mascherina ma lasciando il naso scoperto!), con passo spedito, in maniera indifferente.
Spesso camminano in coppia conversando amabilmente. Addirittura, si tossisce e si starnutisce senza mettersi la mano davanti alla bocca, gesto che dovrebbe essere dettato dall’educazione e dal senso civico della singola persona, più che dalla paura di un virus mondiale.
Nemmeno un’ordinanza restrittiva con relative multe salate potrebbe essere efficace per fare usare finalmente alle persone comuni un po’ di buon senso.
La scarsa percezione del rischio, e di conseguenza la bassa aderenza alle misure di prevenzione è una caratteristica diffusa sia nei giovani (a quali in un certo senso sembra piacere la trasgressione, forse perché dà la sensazione di essere invincibili), sia negli adulti (che senz’altro avranno altro a cui pensare, e che pensano che indossare la mascherina sia ridicolo, e che tutto quello che ci dice l’OMS siano stupidaggini), sia degli anziani (che spesso si fossilizzano dietro la posizione di aver finito la propria vita e non avere più nulla da perdere).
Ormai è fuori da ogni dubbio che il distanziamento fisico e non “sociale” (che fa ricorrere i nostri pensieri verso un costrutto di casta sociale, quanto meno pericoloso..) costituisca la principale misura di prevenzione contro la diffusione dei contagi e della pandemia: l’utilizzo di mascherine e guanti, la riduzione dei contatti e il mantenimento della distanza di sicurezza, sono le norme basilari da seguire.
Invece, gli stessi condomini, che sono sempre stati i maggiori centri di litigi e discussioni, sono diventati dei veri centri di aggregazione per aperitivi di gruppo, incontri sul pianerottolo, scambi di conversazioni e confidenze. Ora che, peraltro, la visita dei nonni ai nipotini è consentita, così come la partecipazione ai pranzi domenicali, sono la prova palese di come una motivazione affettiva, seppur comprensibile, possa provocare conseguenze anche molto gravi. La leggerezza di molti (per non dire l’irresponsabilità) espone a un grave rischio tutti quelli con cui vengono in contatto, senza neanche rendersene conto.
Purtroppo, chi è responsabile e agisce correttamente, pensa, in assoluta buona fede, che altri si comportino allo stesso modo, seguendo le norme di prevenzione, evitando di esporsi a situazioni di rischio e mantenendo le rispettose distanze. Se provassimo a considerare ogni nostro interlocutore come un soggetto potenzialmente infettante, aumenterebbe lo stato di allerta, la prudenza, e senza troppo sforzo faremmo davvero tutti la nostra parte.
La convivenza con la paura del contagio ci accompagnerà per diverso tempo; e poi siamo così sicuri che i luoghi di lavoro siano gli ambienti “più a rischio”…?
L’attenzione a questo virus bio-psichico (cit. Andrea Cirincione), dovrà essere per forza di cose senza confini personali e di ruolo aziendale; la disciplina condivisa e rispettata da tutti è la prima vera iniezione di fiducia di cui tanto abbiamo bisogno!
Massimo Servadio
Psicoterapeuta e Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni
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Rispondi Autore: Pier Giorgio Confente - likes: 0 | 16/06/2020 (10:49:20) |
articolo molto saggio, in questa fase l'impegno individuale "controcorrente" fa la differenza. Non bisogna scoraggiarsi. I luoghi più a rischio sono quelli della "vita normale" e non certo i luoghi di lavoro che sono abbastanza controllati almeno quelli che sono dotati di una seria organizzazione! |
Rispondi Autore: abele - likes: 0 | 16/06/2020 (12:16:15) |
la percezione del rischio è data dalle informazioni che si ricevono. In questo caso una impropria e non reale diffusione di informazioni (solo indirizzate a demonizzare un pericolo) hanno portato ad una percezione del rischio di essere contagiati, maggiore degli effetti che lo stesso contagio ha potuto produrre soprattutto nelle persone al di sotto dei cinquant'anni e in buona salute. L’istituto superiore di sanità dalla fine di marzo presenta un prospetto che pochi conoscono: All’11 giugno sono 366 dei 32.938 (1,1%) pazienti deceduti SARS-CoV-2 positivi di età inferiore ai 50 anni. 14 non avevano diagnosticate patologie di rilievo. https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Report-COVID-2019_11_giugno.pdf I dati della terapia intensiva negli ospedali milanesi al 25 marzo erano: I ricoveri sotto i 50 anni erano 200 (il 12%) e quelli sopra i 50 anni erano 1381 (87%); I decessi sotto i 50 anni (persone fragili comprese) 20 (5%) e quelli sopra i 50 anni 385 (95%). Ci hanno fatto credere che la chiusura di tutte le attività con milioni di DPCM, di leggi e leggine che hanno provocato il fallimento di migliaia di attività era il modo per ottenere la riduzione dei contagi. Dei fenomeni che probabilmente ci direbbero che questo modello si potrebbe replicare per la riduzione degli infortuni sul lavoro o degli incidenti stradali!!! Le cose da dire erano poche ma chiare: “CURA DELL’IGIENE - DISTANZA SOCIALE – USO DI MASCHERINA. POTRESTE AMMALARVI E STARE A CASA DIECI GIORNI. IMPORTANTE E’ AVERE UNA ATTENZIONE PARTICOLARE QUANDO FREQUENTATE LE PERSONE ANZIANE (O FRAGILI) PERCHE’ LORO NON SOLO SI AMMALANO, LORO RISCHIANO DI MORIRE!” : Voglio solo chiudere con una provocazione, con un’ipotesi di pandemia …all’inverso: UNA PANDEMIA SIMILE A QUESTA CI SI PRESENTA CON UNA SOLA DIFFERENZA. COLPISCE QUASI ESCLUSIVAMENTE ESSERI UMANI AL DI SOTTO DEI VENT’ANNI. COSA CI ASPETTIAMO DAI NOSTRI GOVERNANTI? • Chiusura totale di tutte le attività non essenziali, blocco di tutta l’economia del paese; • Indagini giudiziarie (durante la pandemia) per Asili, Scuole, Università per non aver impedito i contagi; • Richiesta di certificazioni inutili; • Promessa di soldi a tutti con scarsi risultati; OPPURE • Isolare quelle fasce di età con grande fatica soprattutto per gli adolescenti... fino alla scoperta di un vaccino; • Informare a tappeto tutta la popolazione di prestare attenzione a come non contagiare i più giovani; • Impedire che i familiari possano contagiare i figli e quindi: o Insegnare loro quali precauzioni utilizzare; o Permettere congedi a chi ha figli per evitare che possa infettarsi sul luogo di lavoro; Purtroppo un’occasione persa per distinguerci . Le ragioni? Ce ne sono alcune e sono come sempre di carattere economico ma non è questa la sede per parlarne |
Rispondi Autore: Simone Zotti - likes: 0 | 16/06/2020 (15:31:05) |
Stiamo parlando dell'OMS. Mascherina no, mascherina forse, mascherina si. Guanti si, guanti no. Se prima questi esperti imparassero a comunicare probabilmente il comportamento e la percezione del richio sarebbero differenti. |