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Durante l’intera pandemia i medici competenti sono stati e continuano ad essere un riconosciuto punto di riferimento per i lavoratori e per le aziende. Nel fornire la nostra consulenza in merito all’adozione delle misure previste dal cosiddetto Protocollo condiviso, abbiamo costantemente considerato sia la tutela della salute dei lavoratori, sia la necessità di contribuire al mantenimento del massimo livello possibile di operatività per le aziende.
La Società Italiana di Medicina del Lavoro conferma, come più volte dimostrato, la piena disponibilità dei medici del lavoro a dare ogni contributo allo sforzo del Paese per uscire dalla situazione emergenziale. Si vede, però, costretta a ribadire che questo può avvenire solo nel pieno rispetto del dettato normativo.
Coerenti con questo spirito, ci risulta necessario intervenire a proposito di una interpretazione, diffusa in questi giorni, che estende oltre quanto previsto dalla norma l’ambito delle nostre competenze. Tale intervento è doveroso al fine esclusivo di evitare un ulteriore aumento dell’incertezza e l’esplodere di un contenzioso dannoso per tutto il mondo del lavoro.
In estrema sintesi, viene sostenuto che il quadro normativo emergenziale (ivi compresi i pareri in proposito espressi dal Garante per la Protezione dei Dati Personali) attribuisce al medico competente la possibilità di esprimere un Giudizio di inidoneità parziale o assoluta per il lavoratore non munito di Certificazione verde (Green pass) e che in seguito a tale Giudizio, il datore di lavoro potrà liberamente sospendere il lavoratore. A supporto di questa attribuzione vengono invocati, talvolta congiuntamente, altre separatamente, l’articolo 2087 del Codice civile e l’art. 279 del D. Lgs. n. 81/2008. Queste posizioni, inoltre, vengono ritenute applicabili, sia all’ambito sanitario che a quello non sanitario.
Per le ragioni che succintamente si elencheranno di seguito e rifacendosi all’assunto che ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, riteniamo tale estensione irragionevole: stante il quadro normativo vigente, il medico competente che esprimesse un Giudizio di idoneità in relazione al possesso da parte del lavoratore della Certificazione verde, travalicherebbe il mandato assegnatogli dalla legge.
L’attività dei medici competenti, innanzitutto, è rigidamente sottoposta ad una riserva legale secondo la quale possono essere svolti nei confronti dei lavoratori esclusivamente quegli accertamenti che la legge esplicitamente ammette (tale riserva è espressa in maniera limpida dall’art. 5 della L. n. 300/1970).
Riguardo gli ambienti di lavoro non sanitari, è anzitutto il cosiddetto Protocollo condiviso, anche nella versione aggiornata del 6 aprile 2021, a ribadire che il “COVID-19 rappresenta un rischio biologico generico, per il quale occorre adottare misure uguali per tutta la popolazione”. È invece noto che l’espressione di un Giudizio di idoneità è ammessa dal D. Lgs. n. 81/2008 esclusivamente in relazione al rischio specifico, ovvero quello a cui sono esposti i lavoratori (e non la popolazione generale) in funzione della loro attività.
Riguardo l’invocato articolo 2087 del Codice civile il legislatore ha precisato che i datori di lavoro adempiono all’obbligo di massima sicurezza fattibile, adattando alla propria realtà aziendale le prescrizioni contenute nel cosiddetto Protocollo condiviso (art. 29 bis del D.L. n. 23/2020). Al momento, quindi, non è previsto che i Protocolli di Sicurezza AntiContagio comportino che il lavoratore esibisca la Certificazione verde.
A proposito degli ambienti di lavoro sanitari, dove siamo in presenza di un rischio (biologico) specifico, va ricordato che il D.L. n. 44/2021 (istitutivo per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario del cosiddetto obbligo vaccinale) fa esclusivo riferimento ad una finalità di tutela della salute pubblica. La norma, infatti, non fa alcun cenno al D. Lgs. n. 81/2008 e non prevede in alcun passaggio un ruolo del medico competente. Coerentemente con la finalità dichiarata, il percorso delineato attribuisce i compiti di erogazione della sospensione dei soggetti non adempienti alle Aziende Sanitarie Locali, congiuntamente agli Ordini professionali e ai datori di lavoro.
In relazione alla supposta possibilità di utilizzare l’art. 279 del D. Lgs. n. 81/2008, è da rimarcare che una sua non superficiale lettura rende evidente che esso non autorizzerebbe comunque a sottoporre i lavoratori ad una visita di aggiornamento dell’idoneità basata solo sul dato vaccinale, il quale non si configura come una variata o nuova esposizione al rischio. Pertanto, se la visita non è in scadenza il medico competente non può arbitrariamente rivalutare l’idoneità dei soggetti non vaccinati.
A questo proposito, poi, va tenuto presente che, qualora successive disposizioni normative mettessero in carico al medico competente anche la valutazione dello stato vaccinale, si potrebbe arrivare a favorire proprio coloro che (al di fuori dei casi di impossibilità oggettiva) rifiutano l’obbligo. Questo avrebbe il paradossale risultato di consentire l’esclusione del personale volontariamente non vaccinatosi dai reparti maggiormente a rischio, disincentivando la vaccinazione in tutti gli altri operatori (con un serio pericolo per l’assistenza qualora ci si trovasse di fronte a nuove ondate epidemiche, ma anche qualora fosse necessario sottoporsi periodicamente a richiamo vaccinale).
In conclusione, la Società Italiana di Medicina del Lavoro auspica un aggiornamento sollecito del quadro legislativo che coniughi la ulteriore messa in sicurezza degli ambienti di lavoro con il maggior grado possibile di certezza degli adempimenti.
Proprio in quanto consapevole che una norma, per quanto ben scritta, potrà sempre lasciare un qualche spazio al dubbio interpretativo, la nostra comunità continuerà a mettere a disposizione del mondo del lavoro le sue competenze e ad offrire la sua collaborazione leale alle Istituzioni, alle Parti Sociali ed agli altri portatori di interesse.
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Green pass e giudizio di idoneità
Pubblichiamo una nota della Società Italiana di Medicina del Lavoro (SIML) che ha ritenuto di dover intervenire nella discussione che si sta sviluppando circa la certificazione verde e il Giudizio di idoneità al lavoro.
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Osservazioni su certificazione verde e giudizio di idoneità della commissione permanente per l’attività professionale dei medici competenti
Durante l’intera pandemia i medici competenti sono stati e continuano ad essere un riconosciuto punto di riferimento per i lavoratori e per le aziende. Nel fornire la nostra consulenza in merito all’adozione delle misure previste dal cosiddetto Protocollo condiviso, abbiamo costantemente considerato sia la tutela della salute dei lavoratori, sia la necessità di contribuire al mantenimento del massimo livello possibile di operatività per le aziende.
La Società Italiana di Medicina del Lavoro conferma, come più volte dimostrato, la piena disponibilità dei medici del lavoro a dare ogni contributo allo sforzo del Paese per uscire dalla situazione emergenziale. Si vede, però, costretta a ribadire che questo può avvenire solo nel pieno rispetto del dettato normativo.
Coerenti con questo spirito, ci risulta necessario intervenire a proposito di una interpretazione, diffusa in questi giorni, che estende oltre quanto previsto dalla norma l’ambito delle nostre competenze. Tale intervento è doveroso al fine esclusivo di evitare un ulteriore aumento dell’incertezza e l’esplodere di un contenzioso dannoso per tutto il mondo del lavoro.
In estrema sintesi, viene sostenuto che il quadro normativo emergenziale (ivi compresi i pareri in proposito espressi dal Garante per la Protezione dei Dati Personali) attribuisce al medico competente la possibilità di esprimere un Giudizio di inidoneità parziale o assoluta per il lavoratore non munito di Certificazione verde (Green pass) e che in seguito a tale Giudizio, il datore di lavoro potrà liberamente sospendere il lavoratore. A supporto di questa attribuzione vengono invocati, talvolta congiuntamente, altre separatamente, l’articolo 2087 del Codice civile e l’art. 279 del D. Lgs. n. 81/2008. Queste posizioni, inoltre, vengono ritenute applicabili, sia all’ambito sanitario che a quello non sanitario.
Per le ragioni che succintamente si elencheranno di seguito e rifacendosi all’assunto che ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, riteniamo tale estensione irragionevole: stante il quadro normativo vigente, il medico competente che esprimesse un Giudizio di idoneità in relazione al possesso da parte del lavoratore della Certificazione verde, travalicherebbe il mandato assegnatogli dalla legge.
L’attività dei medici competenti, innanzitutto, è rigidamente sottoposta ad una riserva legale secondo la quale possono essere svolti nei confronti dei lavoratori esclusivamente quegli accertamenti che la legge esplicitamente ammette (tale riserva è espressa in maniera limpida dall’art. 5 della L. n. 300/1970).
Riguardo gli ambienti di lavoro non sanitari, è anzitutto il cosiddetto Protocollo condiviso, anche nella versione aggiornata del 6 aprile 2021, a ribadire che il “COVID-19 rappresenta un rischio biologico generico, per il quale occorre adottare misure uguali per tutta la popolazione”. È invece noto che l’espressione di un Giudizio di idoneità è ammessa dal D. Lgs. n. 81/2008 esclusivamente in relazione al rischio specifico, ovvero quello a cui sono esposti i lavoratori (e non la popolazione generale) in funzione della loro attività.
Riguardo l’invocato articolo 2087 del Codice civile il legislatore ha precisato che i datori di lavoro adempiono all’obbligo di massima sicurezza fattibile, adattando alla propria realtà aziendale le prescrizioni contenute nel cosiddetto Protocollo condiviso (art. 29 bis del D.L. n. 23/2020). Al momento, quindi, non è previsto che i Protocolli di Sicurezza AntiContagio comportino che il lavoratore esibisca la Certificazione verde.
A proposito degli ambienti di lavoro sanitari, dove siamo in presenza di un rischio (biologico) specifico, va ricordato che il D.L. n. 44/2021 (istitutivo per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario del cosiddetto obbligo vaccinale) fa esclusivo riferimento ad una finalità di tutela della salute pubblica. La norma, infatti, non fa alcun cenno al D. Lgs. n. 81/2008 e non prevede in alcun passaggio un ruolo del medico competente. Coerentemente con la finalità dichiarata, il percorso delineato attribuisce i compiti di erogazione della sospensione dei soggetti non adempienti alle Aziende Sanitarie Locali, congiuntamente agli Ordini professionali e ai datori di lavoro.
In relazione alla supposta possibilità di utilizzare l’art. 279 del D. Lgs. n. 81/2008, è da rimarcare che una sua non superficiale lettura rende evidente che esso non autorizzerebbe comunque a sottoporre i lavoratori ad una visita di aggiornamento dell’idoneità basata solo sul dato vaccinale, il quale non si configura come una variata o nuova esposizione al rischio. Pertanto, se la visita non è in scadenza il medico competente non può arbitrariamente rivalutare l’idoneità dei soggetti non vaccinati.
A questo proposito, poi, va tenuto presente che, qualora successive disposizioni normative mettessero in carico al medico competente anche la valutazione dello stato vaccinale, si potrebbe arrivare a favorire proprio coloro che (al di fuori dei casi di impossibilità oggettiva) rifiutano l’obbligo. Questo avrebbe il paradossale risultato di consentire l’esclusione del personale volontariamente non vaccinatosi dai reparti maggiormente a rischio, disincentivando la vaccinazione in tutti gli altri operatori (con un serio pericolo per l’assistenza qualora ci si trovasse di fronte a nuove ondate epidemiche, ma anche qualora fosse necessario sottoporsi periodicamente a richiamo vaccinale).
In conclusione, la Società Italiana di Medicina del Lavoro auspica un aggiornamento sollecito del quadro legislativo che coniughi la ulteriore messa in sicurezza degli ambienti di lavoro con il maggior grado possibile di certezza degli adempimenti.
Proprio in quanto consapevole che una norma, per quanto ben scritta, potrà sempre lasciare un qualche spazio al dubbio interpretativo, la nostra comunità continuerà a mettere a disposizione del mondo del lavoro le sue competenze e ad offrire la sua collaborazione leale alle Istituzioni, alle Parti Sociali ed agli altri portatori di interesse.
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Rispondi Autore: BONIZZI GIANNI - likes: 0 | 08/09/2021 (08:34:10) |
Dubbi sulla collaborazione/presenza dei Medici del lavoro ( almeno per quanto conosco). Per il resto, mi sembra vogliono cercare pretesti per restarcene fuori. Qualcosa sarà pur necessario fare, e chi se non loro possono conoscere i dati sensibili sanitari dei lavoratori ? Dopodiche si può disquisire su tutto ( ormai.......) |
Rispondi Autore: Alessandro colombo - likes: 0 | 08/09/2021 (09:28:49) |
Credo che sia uno scarico di responsabilità bella e buona ! Il MC serve eccome a controllare anche le vaccinazioni per un problema di privacy ( dati sensibili sanitari) che di incolumità del lavoratore. Se non lo fa il MC il datore di lavoro si trova nella condizione di non poter sapere e agire ma allo stesso tempo se il lavoratore si ammala e il DL è imputabile di non aver agito a tutela del lavoratore. Ma dai su ! Un po di buon senso e senso del dovere!! |
Rispondi Autore: Oriano Mercante - likes: 0 | 08/09/2021 (15:50:40) |
ottimo articolo, completamente condivisibile. |
Rispondi Autore: Stefano - likes: 0 | 15/09/2021 (17:37:50) |
Sono d'accordo. Nel momento in cui è stato riconosciuto giustamente che si tratta di rischio biologico generico, esentando il DdL da una impossibile valutazione dei rischi e quindi dall'individuazione di misure di protezione, vale, perciò stesso, che il DdL, e con esso il MdL, non abbia una discrezionalità nell'adottare misure che siano altre rispetto a quelle individuate dalle istituzioni preposte alla gestione dell'epidemia. |