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DPI e COVID-19: quale dispositivo è davvero indispensabile

DPI e COVID-19: quale dispositivo è davvero indispensabile

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Categoria: Coronavirus-Covid19

25/05/2020

Riflessioni sui dubbi relativi all’utilizzo di mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale per l’emergenza COVID-19. A cura di Nicholas Giralico e di Alfredo Gabriele Di Placido, tecnici della prevenzione.

 

In relazione ai tanti problemi e dubbi, in tempi di nuovo coronavirus, connessi al rifornimento, all’utilizzo, alla sterilizzazione di mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale per le vie respiratorie, abbiamo deciso di raccogliere e pubblicare alcune riflessioni che arrivano dai nostri lettori, spesso tecnici che si trovano a dover operare scelte difficili: quali dispositivi utilizzare? Quando utilizzarli? E’ possibile riutilizzarli?

 

Dopo aver pubblicato già diversi documenti in materia, una intervista a Virginio Galimberti (sottocommissione DPI dell’UNI) e un primo contributo di Andrea Merusi (nell’articolo “ Mascherine e dispositivi di protezione individuale per proteggersi dal Coronavirus”), ci soffermiamo oggi sul contributo di due nostri lettori, entrambi tecnici della prevenzione nell'ambiente e sui luoghi di lavoro, Alfredo Gabriele Di Placido e Nicholas Giralico.


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DPI di Terza Categoria per le vie respiratorie
Formazione specifica sui D.P.I. (D. Lgs. n.81, 9 aprile 2008, Artt. 37, 77)

 

DPI e COVID-19: facciamo chiarezza su quale dispositivo è davvero indispensabile

 

La grande agitazione derivante dalla situazione di forte emergenza che la pandemia da Covid-19 ha portato nella nostra Nazione si può forse ben sintetizzare con la domanda che ognuno di noi ha sentito porsi almeno una volta in questi mesi: "Quale mascherina possiamo utilizzare per proteggerci?"

Ed è proprio la risposta a questo quesito il fulcro del presente articolo, tema discusso con la competenza e l'ottica del Tecnico della Prevenzione.

 

 

In primis si deve ricordare che gran parte delle mascherine forniteci corrispondono a Dispositivi di protezione Individuale (DPI), definiti all'art. 74 del Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro (D.Lgs 81/08) come:

"Qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo."

 

I DPI seguono un'importante classificazione in 3 categorie:

  • categoria 1 della quale fanno parte tutti quei dispositivi che permettono di proteggere il lavoratore da rischi di lieve entità come agenti atmosferici a seguito di esposizione prolungata nel tempo;
  • categoria 3 della quale fanno parte i dispositivi destinati a proteggere il lavoratore dal rischio di morte o di danni permanenti;
  • categoria 2 della quale fanno invece parte quei dispositivi destinati a proteggere da danni di moderata entità, ovvero danni biologicamente rilevanti ma che non compromettono permanentemente la vita dell'individuo.

 

Elemento indispensabile a garanzia di efficacia e tenuta di un DPI è la marcatura CE, più la categoria è elevata più il dispositivo necessita di specifici test per poter ricevere la conformità, secondo il Regolamento UE 425 del 9 Marzo 2016.

Ed è proprio questa marcatura che ha posto non pochi problemi agli enti preposti alla produzione e commercializzazione dei DPI durante la fase uno dell'emergenza COVID-19.

Il virus COVID-19 è un'agente a trasmissione aerea, ovvero trasmissibile mediante "droplet", termine anglosassone che letteralmente significa "gocciolina" ed in campo epidemico si riferisce alla saliva nebulizzata, parlando con una persona infetta a distanza ravvicinata, oppure all'escreto espulso con un colpo di tosse o uno starnuto. 

È pertanto evidente come i dispositivi necessari siano quelli a protezione delle alte vie respiratorie.

 

Si parla, pertanto, di maschere con filtri FFP2 ed FFP3, utilizzate come elemento di nicchia contro rischio chimico e biologico, in quanto, con filtri di tipo 2 e 3, tali dispositivi proteggono da agenti di dimensioni del millesimo di millimetro.

 

 

Questo genere di DPI, che negli scorsi mesi, sempre più ha visto un largo utilizzo negli ambienti di vita e meno in quelli di lavoro, presenta costi di produzione e commercializzazione decisamente onerosi.

Per tale motivo, avendo avuto un fortissimo incremento della domanda ed una inevitabile riduzione dell'offerta, sono state emanate norme speciali che ammettono l'utilizzo de le mascherine chirurgiche in sostituzione dei più onerosi dispositivi di protezione individuale. Esse non rientrano nella categoria di DPI, ma sono invece dispositivi medici, normati dal Regolamento (UE) 2017/745.

 

All'articolo 34, comma 3 del Decreto legge n. 9 del 2 marzo 2020 (c.d. Decreto "Cura Italia") si legge che "in relazione all'emergenza di cui al presente decreto, in coerenza con le linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e in conformità alle attuali evidenze scientifiche, è consentito fare ricorso alle mascherine chirurgiche, quale dispositivo idoneo a proteggere gli operatori sanitari; sono utilizzabili anche mascherine prive del marchio CE previa valutazione da parte dell'Istituto Superiore di Sanità".

 

Il successivo Decreto legge n.18 del 17 marzo 2020 ribadisce all'articolo 16, comma 1, che "sull'intero territorio nazionale, per i lavoratori che nello svolgimento della loro attività sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro, sono considerati dispositivi di protezione inviduale (…) le mascherine chirurgiche reperibili in commercio (…)".

È importante sottolineare che, sia a livello di luoghi di lavoro che di ambienti di vita, il primo provvedimento per evitare la diffusione del virus COVID-19 è il rispetto ed il mantenimento dell'ormai famoso distanziamento sociale, almeno di un metro.

 

 

Nell'ambito lavorativo, ciò viene ribadito dall'aggiornamento al " Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro", firmato il 24 aprile scorso.

Al punto 6 è riportato: "Qualora il lavoro imponga di lavorare a distanza interpersonale minore di un metro e non siano possibili altre soluzioni organizzative è comunque necessario l'uso delle mascherine (…) conformi alle disposizioni delle autorità scientifiche e sanitarie. (…) è previsto, per tutti i lavoratori che condividono spazi comuni, l'utilizzo di una mascherina chirurgica (...)".

 

È altresì intuitivo come in tutti gli ambienti non è detto che sia possibile il rispetto del distanziamento sociale. Dunque subentrano i DPI propriamente detti ( FFP2 ed FFP3), che proteggono chi li utilizza da possibili contaminazioni e le mascherine chirurgiche, che, invece, permettono di proteggere gli altri ma non sé stessi, in quanto l'aria inspirata non viene in alcuna maniera filtrata.

 

Sempre in relazione alla forte carenza di offerta, attraverso il su citato Decreto legge n.18, all'articolo 15 si consente di "produrre, importare ed immettere in commercio mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale in deroga alle vigenti disposizioni". Non si tratta, però, di una concessione senza condizioni: le mascherine chirurgiche prodotte, importate e distribuite dovranno essere validate ed autorizzate dall'Istituto Superiore di Sanità, mentre i DPI dall'INAIL.

L'iter autorizzativo prevede che produttori, importatori e distributori inviino una autocertificazione nella quale, sotto la propria responsabilità, ne attestano le caratteristiche tecniche e dichiarano che i prodotti rispettano i requisiti di sicurezza. Entro 3 giorni dall'autocertificazione, devono altresì trasmettere una serie di documenti che permettono o meno la validazione. Per le mascherine chirurgiche i documenti sono: schede tecniche dei materiali (incluse eventuali sostanze addizionate); disegno con le dimensioni della mascherina; report delle prove effettuate e delle prove di biocompatibilità sul prodotto finito; contenuto minimo dell'etichettatura. Mentre per i DPI, l'INAIL richiede: relazione descrittiva completa del DPI e dell'uso cui è destinato, con valutazione dei rischi, elenco dei requisiti essenziali di sicurezza, riferimenti normativi; relazione e relativi rapporti di prova sulle prove effettuate per verificare la conformità dei DPI ai requisiti essenziali di sicurezza; copia delle istruzioni e delle informazioni per il datore di lavoro.

Per i prodotti marchiati CE non è necessario richiedere le deroghe. Se però si hanno perplessità sull'autenticità dell'attestazione CE è possibile verificare la conformità attraverso la piattaforma NANDO.

Alla data del 25 aprile, l'INAIL ha validato 62 tipologie di DPI, mentre l'ISS ha rilasciato 355 autorizzazioni, di cui nella maggior parte dei casi il tipo di maschera deve essere confermato a seguito dell'esito delle prove.

 

Posta l'impossibilità di rispettare il distanziamento sociale, è bene soffermarsi su cosa indossare tra mascherina chirurgica e facciale filtrante.

Secondo il Rapporto ISS n.2/2020 sulle protezioni negli ambienti sanitarie e socio-sanitari, le FFP2 ed FFP3 sono obbligatorie solo in determinati contesti: le attività sanitarie che possono generare aerosol (ad es., rianimazione cardiopolmonare, intubazione, estubazione, broncoscopia, tampone nasofaringeo). Per le altre attività, si indica l'utilizzo in alternativa di FFP2 o di mascherina chirurgica.

Nel caso di utilizzo di una FFP2 o FFP3 è necessario effettuare una prova di tenuta, che consiste nell'inspirare profondamente e rapidamente, così da far sì che la pressione all'interno del dispositivo si abbassi e questo aderisca al volto (l'aria deve entrare solo dai filtri e non dai bordi) e nell'espirare rapidamente, per verificare che la pressione all'interno aumenta senza perdite dai bordi.

 

Naturalmente un utilizzo continuativo di DPI o mascherine chirurgiche porta ad una continua richiesta di tali protezioni. La maggior parte dei DPI, assieme naturalmente alle mascherine chirurgiche, sono prodotti non riutilizzabili.

Esistono però delle categorie di DPI riutilizzabili che possono essere sanificati, sostituendo esclusivamente i filtri. Si tratta di prodotti di alta specializzazione e contraddistinti da un costo notevole.

 

Per capire in maniera immediata se un dispositivo può essere o meno riutilizzato, è possibile verificare la presenza della la sigla "Non Riutilizzabile (NR)"  oppure "Riutilizzabile (R)" sul libretto  o sul dispositivo stesso.

 

Finora i produttori di DPI e di mascherine chirurgiche non hanno mai avuto motivo di ricercare metodi di decontaminazione o sterilizzazione dei loro prodotti, dato che l'offerta superava sempre abbondantemente la domanda. Ma ora, in questa situazione emergenziale, a livello europeo sono state effettuate delle prove di sterilizzazione per dispositivi non riutilizzabili.

Il 26 marzo scorso il Centro europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie (ECDC) ha pubblicato un technical report sulla sterilizzazione di maschere non riutilizzabili in caso di carenza delle stesse.

 

Già nel 2006, durante un'epidemia influenzale, l'US National Academy of Sciences aveva tentato di individuare metodologie corrette per una possibile decontaminazione di dispositivi di protezione riutilizzabili. Il risultato è stato scoraggiante: non si è infatti individuato alcun metodo ottimale per la rimozione dei contaminanti virali.

 

Lo studio dell'ECDC, riprendendo a sua volta una pubblicazione statunitense ("Reusability of facemasks during an influenza pandemic: facing the flu") suggerisce di porre una mascherina medica o visiera al di sopra del DPI per evitare contaminazioni della superficie che non permettano il suo riutilizzo.

 

Nei Paesi Bassi è stato condotto uno studio che ha esaminato la sterilizzazione tramite vapore ad una temperatura di 134°C su FFP2. I risultati sono stati un fallimento: le maschere FFP2 si deformavano.

 

Un ulteriore studio condotto questa volta dalla Food and Drug Administration statunitense ha preso in esame la sterilizzazione tramite perossido di idrogeno (acqua ossigenata) di mascherine N95 (che equivalgono alle nostre FFP2) contaminate da un singolo organismo. La maschera ha mantenuto la sua funzione anche dopo 10-20 cicli di perossido di idrogeno, ma ha anche mostrato segni di degradazione, nonché si è registrata una permanenza per più giorni di alte concentrazioni nocive di perossido di idrogeno. Attraverso uno studio pilota olandese, si è giunti alla conclusione che tale metodo è efficace per due soli cicli di decontaminazione affinché non ci sia deformazione strutturale né perdita della capacità di filtrazione, che è stata valutata con un test di adattamento rapido. Però le controindicazioni restano: alla persistenza di concentrazioni nocive di perossido di idrogeno sulla maschera, si aggiunge anche la nota che specifica come tali risultati riguardino soltanto determinati modelli FFP2 fabbricati senza cellulosa.

 

Altro metodo che è stato analizzato prevede l'utilizzo di radiazioni gamma, già utilizzate per la sterilizzazione di dispositivi medici e nell'industria alimentare. Data la pericolosità, la strumentazione non è ovviamente disponibile dappertutto.

Uno studio pubblicato sul Journal of Hospital Infection ("Persistence of coronaviruses on inanimate surfaces and their inactivation with biocidal agents") ha dimostrato che una dose di 20 kGy è sufficiente per l'inattivazione del coronavirus. I risultati di test condotti su respiratori FFP2 hanno dato esiti discordanti: in uno, dopo l'esposizione ad una dose di 24 kGy i respiratori hanno subìto una deformazione; un altro non ha mostrato alcuna deformazione per dosi di 25 kGy, anche se il test di adattamento dopo il processo di decontaminazione non è riuscito, specifica il tecnichal report dell'ECDC.

 

In conclusione si può affermare che, a seguito di tutti i test effettuati, delle conoscenze scientifiche sviluppate e del costo per la produzione e la commercializzazione dei DPI, alla fatidica domanda posta in principio viene razionalmente spontaneo rispondere che il tipo di dispositivo più adatto è quello che meglio si pondera al luogo di lavoro o all'ambiente preso in esame.

 

Un'elevata esposizione al rischio COVID-19 (ad esempio, procedure con generazione di aerosol) obbliga all'utilizzo di FFP2 o FFP3.

 

Nelle altre situazioni di lavoro e di vita quotidiana può dirsi sufficiente l'utilizzo di mascherine chirurgiche. Così come si può far ricorso anche a mascherine monouso o lavabili, anche auto-prodotte, in materiali multistrato idonei a fornire una adeguata barriera e, al contempo, che garantiscano comfort e respirabilità, forma e aderenza adeguate che permettano di coprire dal mento al di sopra del naso (Articolo 3, comma 3, DPCM 26 aprile 2020).

 

Come ricorda un altro technical report dell'ECDC dell'8 aprile scorso, resta inteso che l'uso di maschere facciali nella comunità dev'essere considerato come misura complementare e non sostitutiva delle misure primarie, ovvero l'igiene frequente delle mani; il distanziamento sociale; il non toccarsi bocca, naso ed occhi; il restare a casa se si accusano sintomi e, se possibile, il telelavoro.

 

Dott. Alfredo Gabriele Di Placido

Tecnico della Prevenzione nell'ambiente e sui Luoghi di Lavoro

 

Dott. Nicholas Giralico

Tecnico della Prevenzione nell'ambiente e sui Luoghi di Lavoro

 

 

Scarica la normativa di riferimento:

DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 17 maggio 2020 - Disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, e del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, recante ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19

 

DECRETO-LEGGE 16 maggio 2020, n. 33 - Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19

 

DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 26 aprile 2020 – Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale.

 

DECRETO-LEGGE 17 marzo 2020, n. 18 - Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19.

 

Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro.

 

 

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Rispondi Autore: Carola alberti - likes: 0
25/05/2020 (08:37:52)
Buon giorno scusate la domanda a cui magari è già stata data risposta, ma per ridurre rifiuti anche di mascherine chirurgiche, è stato fatto qualche tipo di esperimento per riutilizzarle, sterilizzarle, nel caso le utilizzassi non a contatto diretto ma come filtro in mascherine "fatte in casa" e in un contesto idoneo per le chirurgiche?
Rispondi Autore: VALERIO - likes: 0
25/05/2020 (12:43:52)
buongiorno, a me sembra che, purtroppo Inail, indicando " è previsto, per tutti i lavoratori che condividono spazi comuni, l'utilizzo di una mascherina chirurgica (...)", senza specificare cosa si intende per spazi comuni e senza indicare una distanza fra lavoratori, di fatto lascia aperta solo l opzione mascherine chirurgiche o superiori da "dover" usare nei luoghi di lavoro.
Rispondi Autore: ROBERTA ARMENISE - likes: 0
25/05/2020 (15:31:44)
Salve,
Sono un soggetto fragile, chiedo se il datore di lavoro è tenuto a fornirmi le mascherine ffp. Lavoro in PA e solo da poco ci hanno dato le mascherine chirurgiche, ma in numero molto limitato (sono 3!)
Ringrazio anticipatamente
Roberta
Rispondi Autore: avv. Dubini Rolando - likes: 0
26/05/2020 (10:53:28)
Articolo davvero pregevole. È utile sottolineare che l'obbligo delle mascherine ffp3 e ffp2 è obbligatorio negli ambienti polverosi, e vengono usate anche, per altri motivi, a chi fa assistei tecnica sui personal computer a.
Autore: Mario Alfonso birgolotti
02/10/2020 (17:11:05)
Sono un soggetto fragile accertato dal medico competente del lavoro con idoneità alla mansione e prescrizione misure protettive anticovid19. Il datore di lavoro mi fornisce mascherina chirurgica. Domanda: visto alto rischio contagi a scuola dove lavoro, il DPI dovrebbe essere mascherina FFP2/FFP3 ed anche visiera o è sufficente la mascherina chirurgica?
Rispondi Autore: Giovanni Ravasio - likes: 0
26/05/2020 (15:08:54)
Buongiorno, volevo segnalare che deve essere precisato che nella Fig.2 mentre a destra viene riportata la classificazione dei facciali filtranti FFP1-2-3 in base alla loro efficienza filtrante da polveri, fibre e agenti biologici, quella di sinistra si riferisce alle tre classi di capacità di protezione (1-2-3), cioè 1000-5000-10000 ppm (concentrazione massima di utilizzo) però specifica (e solo) per protezione da gas e vapori. Per il rischio biologico (che non è un gas o un vapore) devono essere utilizzati Facciali filtranti o filtri da innestare su semi maschere o maschere che devono riportare la sigla P (P1-P2-P3).
Rispondi Autore: Tedone Massimo - likes: 0
26/05/2020 (23:40:15)
Scusate, ma recentemente ho visto un servizio nel quale si parlava di milioni di mascherine chirurgiche in fondo ai mari. Non credevo a quanto vedevo e sentivo, quindi come appassionato ho cercato di informarmi. Quindi:
1 - le mascherine sono in plasticaccia e non in tessuto
2 - facciamo protocolli per salvare l'ambiente e poi lo riempiamo di materiali che rimarranno li per chissà quanti anni
... Allora mi domando se i normatori (UNI UNI EN ISO ecc) hanno comunque accettato l'uso di quel materiale assolutamente non riciclabile oppure se fosse possibile trovare un tessuto "vero" che possa avere lo stesso effetto protettivo di quelle normalmente utilizzate
Rispondi Autore: FRANCESCA PELEGATTI - likes: 0
01/06/2020 (08:49:21)
Buongiorno,
esistono evidenze in merito alla sterilizzazione delle mascherine (chirurgiche o FFP2) mediante ozono ad alte concentrazioni? Grazie.
Rispondi Autore: Donatella - likes: 0
18/09/2020 (11:55:21)
Io non riesco a trovare una logica quando si dice che l'aria che inspiriamo attraverso la mascherina chirurgica non viene filtrata e quindi passa tale quale, quindi lasciando passare anche un eventuale virus, mentre il passaggio opposto, l'espirazione attraverso la stessa, non lascerebbe passare un eventuale virus quindi per questo motivo la mascherina sarebbe più di protezione per gli altri che non per sè stessi. Starebbe a significare che la mascherina è fatta con uno strato esterno diverso da quello interno? Il colore azzurro esterno starebbe appunto ad evidenziare una porosità diversa dallo strato bianco interno con pure una sua specifica porosità? Ma queste mascherine risultano essere così sottili che è difficile riuscire a vedere un doppio strato così articolato, considerato che poi sono anche quelle che costano meno di tutte le altre.
Inoltre, le mascherine autoprodotte purchè multistrato, sono da ritenersi alla pari o addirittura inferiori come efficacia sul trattenimento del virus anche se solo in uscita, a quelle chirurgiche?
Rispondi Autore: Pippo - likes: 0
08/01/2021 (03:04:33)
No Donatella, la chirurgica attenua l'espirazione ma viene comunque attraversata. Normalmente hanno tre strati, ben distinguibili. Poi esistono di varia manifattura.
Quelle autoprodotte, dipende dal materiale. In ogni caso non sono certificate, non rispondono a nessuno standard. Potrebbero essere inferiori.

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