COVID-19 e radiazione UV: le cautele necessarie e i possibili utilizzi
Modena, 16 Set – Come ricordato in diversi articoli del nostro giornale sull’uso della radiazione UV per il contrasto al virus SARS-CoV-2, la radiazione ultravioletta nell'intervallo tra 100 e 280 nm (UV-C) ha una “documentata efficacia germicida dovuta al meccanismo di rottura degli acidi nucleici (RNA e DNA) dei microorganismi”. Ed infatti la tecnologia di disinfezione mediante UV-C è usata comunemente nelle cappe biologiche di ospedali e laboratori.
Il problema degli UV-C è che “è necessario usare cautela quando il loro utilizzo può implicare l'esposizione umana. La fototossicità della radiazione UV-C può provocare danno alla maggior parte degli organi esterni, come occhi e pelle e i limiti di esposizione per effetti acuti devono essere rispettati per salvaguardare salute e sicurezza delle persone”. E la radiazione UV-C è stata classificata dalla Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro come agente cancerogeno di classe I.
Tuttavia lo scoppio della pandemia COVID-19 ha sollevato la “questione della disinfezione di ambienti domestici e lavorativi, in particolare se condivisi da più persone” e tale problema è particolarmente urgente negli ospedali dove la concentrazione virale può essere molto elevata per la presenza di pazienti COVID-19”. E nonostante “la mancanza di uno studio che determini precisamente la dose letale degli UV-C per il COVID-19, diversi studi negli ultimi anni sono stati condotti per verificare l'efficienza degli UV-C nell'inattivazione di microrganismi molto simili, come quelli appartenenti alla stessa famiglia dei Coronaviridae che causano SARS e MERS”.
Serve dunque cautela “nell'impiego di tecnologie di sanificazione basate sugli UV-C, quando queste comportino la possibile esposizione di persone cercando il giusto compromesso tra l'obiettivo di una efficace disinfezione e la protezione della salute umana, valutando quantitativamente ogni specifica situazione nel rispetto dei limiti di esposizione umana”.
A presentare in questi termini criticità e possibilità della sanificazione con la radiazione UV in tempi di pandemia da SARS-CoV-2 è un intervento raccolto nella pubblicazione “ dBA2020 - La gestione del microclima nei luoghi di lavoro in presenza di una emergenza epidemica” che contiene gli atti, curati da Silvia Goldoni e Angelo Tirabasso, dell’omonimo convegno che si è tenuto online il 3 dicembre 2020 durante la manifestazione Ambiente Lavoro ed è stato organizzato da Regione Emilia Romagna, Inail, Ausl Modena con vari patrocini e collaborazioni.
Un intervento che affronta alcuni concetti importanti, ad esempio con riferimento alla “dose germicida letale che può essere somministrata (irradianza per tempo di esposizione) pur nel rispetto dei limiti di esposizione stabiliti per l'uomo, nelle diverse applicazioni della radiazione UV-C nelle procedure di sanificazione”.
Nell’articolo di presentazione dell’intervento ci soffermiamo sui seguenti argomenti:
- UV-C: gli utilizzi possibili nell'emergenza COVID-19
- UV-C: l’irradiazione per la disinfezione di DPI
- UV-C: la disinfezione dei sistemi di trattamento dell'aria
UV-C: gli utilizzi possibili nell'emergenza COVID-19
L’intervento “La sanificazione per mezzo della radiazione UV: esperienze consolidate, problemi di sicurezza e possibili sviluppi”, a cura di Francesco Frigerio (ICS Maugeri Spa, Centro Ricerche Ambientali), Massimo Borra, Andrea Militello e Angelo Tirabasso (INAIL - Centro Ricerche Monteporzio), ricorda che in un suo rapporto l'Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha affermato che la radiazione UV-C “può essere usata in sicurezza in ambienti chiusi per disinfettare superfici o oggetti se non vi sia il rischio di esposizione umana”. E la possibile esposizione degli operatori “ha scoraggiato l'uso di lampade UV-C anche quando semplici precauzioni tecniche avrebbero potuto minimizzare l'entità dell'esposizione”.
Ci soffermiamo in particolare su quanto indicato relativamente agli utilizzi possibili degli UV nell'emergenza COVID-19.
Si indica, a questo proposito, che diversi ricercatori si sono impegnati nel realizzare dispositivi per la disinfezione di attrezzature o ambienti di lavoro e il contributo riporta alcuni dati ripresi dalla letteratura in particolare relativamente alle dosi germicide.
Gli autori – continua l’intervento - “hanno caratterizzato l'esposizione di operatori impegnati in attività sotto cappa biologica con lampade germicide accese, riportando un confronto dei valori dell'irradianza misurata in varie posizioni qualora gli operatori indossino o meno, dispositivi di protezione individuale (DPI). I tessuti degli indumenti comuni possiedono gradi di attenuazione della radiazione UV molto differenti in base alla composizione e alla massa specifica. Misurazioni eseguite da uno degli autori del presente contributo, hanno permesso di valutare la frazione di radiazione ultravioletta a 254 nm trasmessa attraverso il materiale di alcuni DPI comunemente utilizzati”.
Riprendiamo dal documento una tabella:
Nell’intervento vengono presentate ulteriori considerazioni e altri dati e tabelle e si segnala che “avendo un adeguato margine di tempo prima di superare i limiti di esposizione è possibile valutare l'opportunità di esporre il personale medico, equipaggiato di un set completo di DPI, ad UV-C germicidi (operazione da condursi in condizioni controllate di irraggiamento nel rispetto dei limiti di esposizione), per la sanificazione degli stessi prima delle operazioni di svestizione, operazione questa che rappresenta una importante occasione di contagio per gli operatori sanitari”.
Pur ricordando che l'esposizione a radiazioni UV è “potenzialmente molto dannosa per l'uomo” e che “l'uso di lampade germicide in presenza di persone andrebbe di norma evitato, tuttavia, in condizioni di dosi controllate, una attenta valutazione del rapporto tra il rischio che consegue all'esposizione e la mitigazione del rischio di contagio potrebbe far considerare l'esposizione controllata ad UV una pratica vantaggiosa e giustificabile”.
In questo senso “per il trattamento di ambienti e superfici potenzialmente contaminate da agenti biologici pericolosi, la disinfezione con UV risulta molto promettente. In alternativa all'istallazione di lampade in posizioni prefissate, la tecnologia propone soluzioni più sofisticate che fanno uso di dispositivi robotizzati con lampade installate a bordo capaci di igienizzare con le necessarie dosi di ultravioletto i locali secondo protocolli predefiniti in modo automatico interrompendo le operazioni quando vi sia presenza di personale”.
UV-C: l’irradiazione per la disinfezione di DPI
L’intervento si sofferma anche sul possibile uso di radiazione ultravioletta per la disinfezione di DPI (guanti, occhiali, visiere di protezione, camici, mascherine filtranti).
Si ricorda, in generale, che i DPI “possono essere riutilizzati solo se espressamente previsto dal produttore e con specifico protocollo di sanificazione validato e previsto dallo stesso che può includere oppure no l'uso di UV”. In ogni caso l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) “considera tra gli altri l'uso di UV-C per la disinfezione di DPI nei casi di scarsa disponibilità nel reperimento degli stessi”.
In ogni caso nella progettazione di metodi che utilizzino gli UV-C per la disinfezione dei DPI “vanno affrontati gli stessi problemi di cui si è discusso riguardo la disinfezione di piccoli oggetti, ovvero considerando che alcune superfici potrebbero non ricevere la dose germicida necessaria. Tuttavia, con l' irradiazione UV-C, non sarebbero necessari agenti chimici i cui residui richiederebbero un'accurata valutazione a seguito del trattamento; inoltre, in linea di principio, la dose germicida può essere raggiunta in tempi molto brevi”.
Si riportano specifiche considerazioni riguardo ad alcuni particolari dispositivi:
- guanti: “sono tra i DPI più comuni ed economici. I guanti monouso utilizzati negli ambienti sanitari possono essere di vari materiali (nitrile, lattice, polietilene); queste sostanze sono di norma degradate facilmente dagli UV [Lambert et al., 2013; Noriman et al., 2010; Yousif et al., 2013], causando la perdita in elasticità e forza tensiva dei guanti stessi [Handke, 2019]. In virtù del loro basso costo, in caso di una sufficiente disponibilità, il loro riutilizzo è da ritenersi pertanto ingiustificato”;
- occhiali e visiere protettivi: “goccioline di liquido e schizzi potenzialmente infetti diretti verso gli occhi possono essere bloccati da specifici occhiali di protezione o da visiere che coprono la faccia fino al mento. La parte ottica, ovvero le lenti degli occhiali, è realizzata normalmente in policarbonato per le sue ottimali caratteristiche ottiche e meccaniche. Come altri materiali plastici anche il policarbonato, se esposto a radiazione UV, può subire processi di fotodegradazione [Rivaton, 1986; Factor, 1996] che causano ingiallimento, perdita di durezza, infragilimento e rottura [Tjandraatmadja, 1999]. Anche in questo caso, come per i guanti, è ancora da stabilire per quali dosi gli effetti di fotodegradazione raggiungono livelli di alterazione delle caratteristiche ottiche e meccaniche tali da ridurre l'efficacia dei dispositivi di protezione a livelli inaccettabili”. Si segnala che lo standard EN166:2000, stabilisce che “nei DPI oculari, il fattore di trasmissione della luce debba restare pressoché invariato dopo un'esposizione ad UV condotta secondo un protocollo definito nella norma”. In definitiva per questa tipologia di DPI “la sterilizzazione con UV potrebbe pertanto essere applicabile per un notevole numero di cicli”;
- mascherine monouso con filtro facciale: “diversi studi hanno valutato la possibilità di riutilizzare le mascherine testandone l'efficienza dopo il processo. Si ritiene che l'uso di UV sia tra i metodi di sanificazione più promettenti, sebbene la sua efficacia sia fortemente dipendente dalla dose UV capace effettivamente di penetrare il tessuto filtrante [Vo et al., 2009] e dalla forma della mascherina [Heimbuch et al., 2019]”. Trattandosi di DPI monouso il loro riutilizzo, anche previa sterilizzazione UV, andrebbe “valutato solo dopo un'attenta verifica dell'efficacia del sistema di sanificazione ed esclusivamente nei casi di scarsa disponibilità di dispositivi filtranti di ricambio”;
- camici: “i camici medici possono essere fatti di diversi materiali in base alla loro riutilizzabilità. I camici riutilizzabili sono in cotone mentre quelli monouso sono generalmente in materiale plastico (propilene o polipropilene). Anche se l'uso di UV per la disinfezione di camici in cotone potrebbe essere efficace e non portare a un deterioramento apprezzabile delle fibre [Perincek et al., 2014], il loro trattamento disinfettante d'elezione rimane quello con acqua calda, sapone e disinfettanti, ad esempio a base di cloro [WHO, 2020]. Inoltre, come nel caso delle mascherine, non è sicuro che gli UV sarebbero in grado di eliminare tutti i patogeni dai camici, a causa delle zone in ombra create dalle pieghe del tessuto. Il pretrattamento con UV prima della svestizione resta comunque un'ipotesi da considerare soprattutto nelle situazioni di elevata contaminazione biologica quale quella che si può riscontrare nei reparti di malattie infettive per abbattere significativamente l'eventuale carica virale e batteriologica”.
UV-C: la disinfezione dei sistemi di trattamento dell'aria
L’intervento si sofferma, infine, sulla disinfezione con UV-C dei sistemi di trattamento dell'aria, con particolare riferimento a lampade UV-C posizionate nella parte alta della stanza e con l'irradiazione diretta verso il soffitto (in questa condizione, “occhi e pelle degli occupanti sono al di fuori della direzione di propagazione del flusso diretto di radiazioni e sono esposti solamente al campo di radiazione diffuso”).
Recentemente, durante la pandemia COVID-19, “lampade UV-C per l'irradiazione del volume superiore sono state proposte per disinfettare l'aria all'interno di aeroplani, treni e bus”.
Si indica che nelle linee guida ASHRAE (American Society of Heating, Refrigerating and Air-Conditioning Engineers) una “irradianza massima di Evol-sup= 4 mW/m2 all'altezza dell'occhio è considerata uno standard di progetto accettabile e le linee guida riferiscono che a questi livelli di radiazioni non sono stati osservati effetti avversi sulla salute. Bisogna ricordare che con una Evol-sup di 4 mW/m2, la massima dose consentita di radiazione UV-C su occhi e pelle non protetti è raggiunta approssimativamente in 4 ore. Il sistema deve essere dimensionato in modo che la dose limite "efficace" di UV, pari a 30 J/m2 non venga superata, tenendo in considerazione il tempo massimo di permanenza nel locale degli occupanti”.
In particolare l'irradiazione UV-C del volume superiore “è una buona soluzione quando il tempo di esposizione degli occupanti non è prolungato, ad esempio in treni, metropolitane, bus, aeroplani. Questa soluzione andrebbe evitata se i lavoratori sono presenti per una significativa frazione del turno di lavoro”.
Rimandiamo, in conclusione, alla lettura integrale dell’intervento che si sofferma anche sulla disinfezione in conduttura e riporta ulteriori indicazioni riguardo a diversi altri aspetti:
- parametri per quantificare l'inattivazione di microrganismi;
- dipendenza dell'efficacia germicida dalla lunghezza d'onda;
- problemi di sicurezza fotobiologica;
- sorgenti alternative alle lampade a vapori di mercurio.
Tiziano Menduto
Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:
Regione Emilia Romagna, Inail, Ausl Modena, “ dBA2020 - La gestione del microclima nei luoghi di lavoro in presenza di una emergenza epidemica”, a cura di Silvia Goldoni e Angelo Tirabasso, pubblicazione che raccoglie gli atti dell’omonimo convegno - Ambiente Lavoro, 03 dicembre 2020 (formato PDF, 33.2 MB).
Vai all’area riservata agli abbonati dedicata a “ I rischi degli agenti fisici e l’emergenza epidemica - 2020”.
I contenuti presenti sul sito PuntoSicuro non possono essere utilizzati al fine di addestrare sistemi di intelligenza artificiale.